DI ROSANNA SPADINI
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La sagra del maiale è cominciata e la posta in gioco si alza, promesse da saldi goderecci da parte di tutti i partiti: via riforma Fornero, studi di settore, tasse universitarie, vaccini, Buona Scuola, bollo auto, Iva sui cibi per i cani fino alla cancellazione della povertà … cosa potranno inventarsi ancora da qui al 2 marzo?
Intanto il nuovissimo Berlu, asfaltato e incatramato, tirato a lustro con una cera color terracotta/guerlain, ha annunciato che il centrodestra avrà il 45% e che c’è «un supercandidato segreto». Del resto negli ultimi tempi la vita gli va a gonfie vele, ottuagenario riabilitato, ha ottenuto prima la benedizione di Scalfari, per esorcismo contro Di Maio/Belzebù, poi l’okay da parte del giornalista britannico Bill Emmot, che da direttore de L’Economist lo aveva ben picconato, con quella celebre copertina dal titolo «Why Berlusconi is unfit to lead Italy».
Aggiunge che «con una legge elettorale che rende quasi impossibile la proclamazione di un vincitore, dopo il 4 marzo il Cavaliere potrà scegliere direttamente il premier o, più probabile, essere l’uomo chiave nei negoziati per un governo di coalizione tra centrodestra e centrosinistra». Entrambi gli esiti sarebbero comunque più rassicuranti per l’Europa dell’alternativa «governo a 5 Stelle» … «E se Silvio Berlusconi finisse per essere il salvatore politico dell’Italia? Non escludetelo», conclude Emmott, che definisce il leader di Forza Italia come il «kingmaker» … «Mancano ancora otto settimane alle elezioni. E lui è sempre stato abilissimo in campagna elettorale».
I sondaggi ora danno il Pd in caduta libera al 23%, il Cdx al 36% in vantaggio, e il M5s primo partito al 29%. Quindi alle prossime elezioni il Presidente della Repubblica Mattarella, al momento delle consultazioni, si troverà di fronte al dilemma della formazione di Governo.
Grazie al Rosatellum gli esiti elettorali saranno probabilmente confusi, e magari non sarà semplice avere una maggioranza qualificata che elegga il Presidente del Senato e il Presidente della Camera. Oltre a ciò il Presidente dovrà sciogliere la questione di affidare l’incarico al Leader del Partito che ha vinto con il maggior numero di voti o al Leader della coalizione che ha la più ampia rappresentanza in Parlamento?
Naturalmente la presenza di Gentiloni durante l’interregno garantirà il tempo necessario per ovviare a diverse incombenze: la famosa sentenza della Corte europea riabilitativa per l’interdizione del Berlu, l’ulteriore necessaria conferma da parte di una Corte italiana, l’ostracismo concordato per una possibile maggioranza, in modo tale da rimandare le elezioni a settembre/ottobre, quando il Berlu potrà essere candidabile.
Per altro l’ottuagenario incatramato ha già iniziato la sua campagna elettorale, ma non attacca mai il PD, suo naturale alleato, quanto soltanto Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle, perché potrebbero distruggere i suoi piani.
Probabilmente Mattarella il primo incarico «esplorativo» non potrà evitare di darlo a Di Maio, leader del primo partito, il quale potrebbe anche trovare accordi con la Lega, e con alcuni partiti di sinistra alla ricerca del fatidico 40%, ma l’alchimia si presenta molto complicata. Fallito il primo giro si consumerebbe il tentativo col centrodestra, ma il passaggio è pieno di insidie, perché la leadership di Renzi potrebbe essere travolta dalla sconfitta, impedendo le larghe intese.
Ma l’Italia è un Paese democratico? Se i media sono asserviti al potere, l’editoria anche, la partitocrazia governa a danno dei cittadini, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il Parlamento, perché eletto col Porcellum, in cui c’erano dei chiari, evidenti segni di incostituzionalità? Per di più anche le altre due leggi sono state dichiarate illegittime, Mattarellum e Italicum. Perché l’Italia sforna leggi che poi vengono definite incostituzionali e comunque continuano a fare danni senza che ci sia una sollevazione popolare?
Il golpe della rana bollita procede lentamente ma inesorabile, finché la rana sarà cotta al punto giusto. Anche le elezioni non sono democratiche, perché con un telefonino si può fotografare e rivendere il proprio voto. La storia della vittoria di Prodi per 24 mila voti nel 2006 lo dimostra. C’erano 2 mila sezioni elettorali che sperimentavano per la prima volta il voto elettronico, poi non se n’è mai più parlato. Quei voti determinarono le fortune di qualcuno del PD, che in una notte fece la spola da Roma a Napoli, l’onorevole Minniti, per parlare con Bassolino, che poi venne nominato Commissario straordinario con poteri assoluti per il problema della spazzatura. Quella notte fu lunghissima e i dati definitivi arrivarono solo alle ore 3,48.
Intanto il solito depistagio mediatico. Perché l’insider trading Renzi-De Benedetti è stato nascosto da giornaloni italiani? Perché i media appannano gli occhi con le mirabolanti promesse elettorali dei soliti squallidi politicanti? Perché interessa più parlare della minuscola lista petalosa della Lorenzin dal profumo di peonia, che dello scandalo del PD? O postare le immagini di Roma invasa da cinghiali e maiali alla ricerca dei rifiuti abbandonati dall’incompetenza della gestione spelacchio?
Emilio Carelli, ex direttore di Sky Tg24, ha scritto sulla propria pagina Facebook: «Cari amici, sono rimasto sorpreso che una notizia a mio parere politicamente importante sia stata sottaciuta o quasi ignorata da molti giornali e perfino dall’informazione del servizio pubblico. Parlo del caso #Renzi – #DeBenedetti. Tutto parte da una telefonata agli atti della commissione d’inchiesta sul #sistemabancario, resa pubblica da alcuni bravi cronisti. Sia ben chiaro, per la Procura non si tratta di un reato ma, se andiamo a verificare i contenuti, è evidente la gravità dell’episodio dal punto di vista politico. Nel corso della telefonata l’editore de #laRepubblica parla col suo broker. «Il governo farà un provvedimento sulle popolari» dice De Benedetti al telefono.
La telefonata rivela che Renzi ha parlato con De Benedetti dando un’informazione fondamentale che ha consentito all’editore de la Repubblica, La Stampa e l’Espresso di lucrare plusvalenze di 600 mila euro in tre giorni, mentre andavano in fumo i risparmi di migliaia di piccoli risparmiatori. Un legame che i cittadini #e lettori devono conoscere e che riporta in primo piano il dovere di fare una corretta #informazione».
Il 16 gennaio 2015 l’ingegnere Carlo De Benedetti chiama il suo broker Gianluca Bolengo per invitarlo a comprare azioni di banche popolari, e gli spiega di aver saputo che a breve il governo varerà la riforma del settore, è stato il premier in persona a riferirglielo proprio il giorno prima. La clamorosa rivelazione è contenuta nella richiesta di archiviazione della Procura di Roma nei confronti di Bolengo, amministratore delegato di Intermonte Spa, indagato per ostacolo alla vigilanza, e consegnata alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche.
La vicenda è una miscela esplosiva pronta a deflagrare a poco più di un mese dalle politiche. Il 20 gennaio 2015, il governo Renzi approva la riforma delle banche popolari. L’opera di privatizzazione si compie tra l’assoluta indifferenza degli italiani, benché il premier li stia borseggiando.
Cancellato l’articolo 30 del testo unico bancario, eliminato così il voto per socio, e non per azione, e il limite di quota dell’1% per azionista, caratteristiche alla base della realtà del credito popolare e cooperativo, per il settore banche del territorio suonano le campane a morto. Le prime 10 si trasformano in Spa e si quotano in Borsa, abbandonando il voto capitario (una testa un voto a prescindere dal numero di azioni) che le rendeva non scalabili, e un pezzo del credito italiano viene consegnato al mercato.
La settimana prima del decreto, elaborato da Bankitalia, i titoli di alcune popolari già quotate hanno strani rialzi (Etruria sale del 65%). Qualcuno ha saputo prima e ha comprato grazie a informazioni privilegiate? Si chiama insider trading ed è un reato grave. L’11 febbraio alla Camera il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, spiega che prima dell’approvazione del decreto, alcuni «soggetti hanno effettuato acquisti prima del 16 gennaio, eventualmente accompagnati da vendite nella settimana successiva», creando «plusvalenze effettive o potenziali stimabili in 10 milioni di euro».
La Consob apre un’istruttoria sull’ipotetico insider trading di «secondo livello» (dal 2004 depenalizzato a illecito amministrativo) e poi passa le carte alla Procura, l’indagine dell’Authority si concluderà poi con la decisione di archiviare il procedimento (Vegas si è astenuto). Sembra assurdo, ma viene archiviata l’inchiesta sull’insider trading di Renzi perché DeBenedetti ci ha guadagnato «solo» 600 mila euro, ora s’indaga sulla fuga di notizie.
Renzi naturalmente nega, sostenendo che De Benedetti fu informato del decreto da un’agenzia di stampa. Quale sarebbe questa agenzia? Se non può dimostrarlo il suo è un reato politico a favore dell’editore di Repubblica, giornale che ovviamente ha censurato tutto.
La saga del «Giglio Tragico» si complica e svela il metodo di potere che ha violentato per anni le istituzioni repubblicane: prima Maria Elena Etruria viene smascherata dalle rivelazioni di Vegas, Visco e Ghizzoni «la Boschi è solo la punta dell’iceberg di un sistema molto più ramificato», poi arriva lo scandalo Renzi, a dimostrazione che le giustificazioni fanno acqua da tutte le parti.
Il grande vecchio si chiama proprio De Benedetti, che l’11 febbraio 2016 parlava così «Normalmente con Renzi facciamo breakfast insieme a Palazzo Chigi e con Maria Elena Boschi sono molto amico, ma non la incontro mai a Palazzo Chigi. Lei viene sovente a cena a casa nostra (..) del governo vedo sovente la Boschi, Padoan. Anche lui viene a cena a casa mia e basta». Mentre il 15 gennaio dell’anno del decreto De Benedetti vede Renzi alle 7 del mattino: «Anche lui accompagnandomi all’ascensore di Palazzo Chigi mi ha detto: “Ah! Sai, quella roba di cui ti avevo parlato a Firenze, e cioè delle Popolari, la facciamo”. (…) ero già con un piede sull’ascensore; non mi ha detto se le faceva con un decreto, con disegno, quando». Altra responsabilità dell’ingegnere sembra essere stata il Jobs Act: «Io gli dicevo che lui doveva toccare, per primo, il problema lavoro e il jobs act è stato … qui lo dico senza vanto, anche perché non mi date una medaglia, ma il jobs act gliel’ho… gliel’ho suggerito io all’epoca come una cosa che poteva, secondo me, essere utile e che poi, di fatto, lui poi è stato sempre molto grato perché è l’unica cosa che gli è stata poi riconosciuta».
Quindi anche se Renzi continua negarlo, il neoliberismo ha trovato piena espressione nella sua politica, che ha potuto produrre ciò che la destra di Berlusconi non ha mai avuto la possibilità di realizzare. Il delfino del Berlu è riuscito a disintegrare gli eredi del Partito Comunista, D’Alema e Bersani, annichilire i sindacati, eliminare l’articolo 18 e liberalizzare i licenziamenti, produrre la riforma del lavoro «Jobs Act», che precarizza a vita i lavoratori e distrugge l’occupazione.
Renzi incontrerà il suo mentore ad Arcore, nel 2010, per chiedere che nella finanziaria venissero inseriti aiuti per Firenze, incontro che durerà tre ore, un tempo doppio rispetto a quanto era stato previsto. Ora è arrivato il momento di sdoganare definitivamente il Berlu, dopo averlo ricevuto addirittura nella sede del PD, ai tempi del patto del «Nazareno» (lì vicino c’è la sede di Mediaset, l’ufficio di Confalonieri e quello di Gianni Letta), dopo averlo legittimato come autorevole avversario politico, da lì la sua resurrezione. E il suo recupero lo si deve al Segretario del PD, che avrebbe avuto tutto l’interesse a seppellirlo politicamente, ma non poteva certo rinunciare ai voti di Forza Italia a sostegno del suo governo.
Il connubio ha prodotto anche il decreto legge sulle popolari, convertito poi in legge nel giro di 24 ore, mentre un decreto legislativo avrebbe preteso 60 giorni per la conversione in legge. E visto che Napolitano si era dimesso, Renzi costrinse il Presidente del Senato Grasso a firmare quel decreto legge e Grasso lo firmò.
L’Autorità di Vigilanza sulla Borsa ha archiviato il dossier e lo stesso si appresta a fare la Procura di Roma, che aveva avviato le indagini su segnalazione d’ufficio della stessa Consob. Il pm Stefano Pesci e il procuratore capo Giuseppe Pignatone hanno chiesto l’archiviazione e si aspetta solo la decisione finale del gip. Insomma, ennesima pagina buia nel rapporto tra finanza, editoria e politica, con rappresentanti delle istituzioni che parlano disinvoltamente al telefono con editori e industriali interessati a ricevere informazioni riservate.
Il teatrino della politica è una commedia dell’arte. Ma perché il pasticcio Renzi/De Benedetti è scoppiato proprio ad un mese e mezzo dalle elezioni? E soprattutto per chi dovremmo votare?
Rosanna Spadini
Fonte: www.comedonchisciotte.org
13.01.2018