DIRITTI E DOVERI, UNA RIFLESSIONE INTEGRATIVA

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DI ANDREA CAVALLERI

Comedonchisciotte

 

Vorrei aggiungere una premessa all’articolo di Tonguessy, quanto mai attuale nella dialettica politica in senso lato.

Mai come oggi, infatti, qualunque discorso sulla convivenza civile (o talvolta incivile), verte sulla nozione di “diritto”: della persona, del cittadino, della minoranza e così via.

Ciò su cui non si riflette mai è cosa sia un diritto e da chi o da cosa possa essere garantito.

Altra caratteristica tipica del dibattito politico di oggigiorno è quella di soprassedere sui doveri, fingendo di dimenticarne l’esistenza (per poi riscuoterli con gli interessi quando i nodi vengono al pettine).

Natura dei diritti.

Concettualmente un diritto è una spettanza appropriata a persone e situazioni concomitanti, che dunque attiene alla sfera della giustizia -teorica-, non necessariamente infatti si mette in pratica ciò che viene reputato giusto.

 Bisogna distinguere i diritti in due grandi categorie, che per comodità chiamerò diritti innati e diritti acquisiti.

I diritti innati riguardano quei beni che possediamo senza aver fatto nulla per averli, ad esempio la nostra vita.

Diritti acquisiti sono quelli che attengono a beni o situazioni che il soggetto (o gruppo) ha concorso a produrre, come i diritti di proprietà intellettuale (ho scritto un romanzo ergo è mio) oppure i diritti sociali (il nostro gruppo ha costruito ospedali ergo abbiamo il diritto di usarli per curarci).

Ovviamente l’oggetto dei diritti innati può solo essere tutelato, nel senso di conservato, mentre i diritti acquisiti possono essere promossi.

Le ragioni per cui ci sembra giusto tutelare i diritti innati sono differenti a seconda della posizione di chi giudica: per chi ha la fede essi sono doni di Dio, ad esempio la vita umana per questa ragione viene considerata sacra; per chi si pone su un piano puramente naturale si tratta di situazioni oggettive date (prodotti della natura) ed è conveniente tutelarli perché salvaguardando quei beni per tutti, li si garantisce anche a se stessi.

L’esito diverge quando si parla dei diritti acquisiti, in quanto chi crede in un ordine cosmico (per esempio la creazione da parte di Dio) deduce da questo ordine una morale oggettiva in base a cui si definiscono i diritti. Chi invece considera il cosmo un puro dato naturale in cui i fatti si verificano come conseguenza esclusiva delle forze in gioco, vedrà i diritti come garanzia di un’utilità (personale o di gruppo) che potrà essere ottenuta attraverso pressioni, rivendicazioni e conflitti; ma in questo secondo caso il diritto di cui godrà il soggetto o gruppo prescinderà dagli esiti di giustizia che avrà sugli altri (potrà, anzi, molto spesso essere acquisito a spese altrui).

Doveri e tutela dei diritti.

I doveri non sono praticamente mai un’imposizione astratta, ma sono concepiti come risposta a una condizionalità, esplicita o sottintesa per raggiungere un certo obiettivo: se vuoi prendere un bel voto devi studiare, se vuoi vincere la gara ti devi allenare etc etc.

Questo vale anche per i credenti, dato che secondo la Bibbia, all’atto di dare i comandamenti, Dio li pone come via e condizione per il conseguimento delle sue promesse (in Esodo se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete… e in Deuteronomio Ora dunque, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, …, perché viviate e…).

Ora, un fatto molto interessante da notare è che una gran massa di doveri insorge proprio per garantire i corrispondenti diritti: se vuoi la pensione devi pagare i contributi, se vuoi lo stipendio devi lavorare e così via.

Questa osservazione ci conduce dritta alla domanda: chi garantisce i diritti?

Normalmente è lo Stato, che lo fa con gli strumenti della legge e l’apparato che ne impone il rispetto. Ma lo Stato è semplicemente una forma di organizzazione della società, quindi, portando il discorso alle sue estreme conseguenze, si può dire che il mio diritto sia garantito dai doveri degli altri (e viceversa).

Nei confronti dei diritti innati, come ho già detto, il diritto viene garantito passivamente, tramite il rispetto del bene dovuto e già in essere. Ma nei confronti dei diritti acquisiti non esistono doveri passivi, quindi bisogna fare molta attenzione perché non esistono concessioni gratuite: la tipica frase “io non lo farei mai, ma non posso impedire ad altri di…” è la frase di uno sciocco illuso che non vede le conseguenze per sé e in termini costrittivi, del diritto che si accinge a garantire ad altri.

Infine, una caratteristica dei diritti acquisiti è quella che, per riconoscerli, si deve esibire anche un metodo di fattibilità per lo status garantito, per scongiurare il rischio di enunciare un diritto impossibile da attuare, che porterebbe a screditare la legge e a incrinare la fiducia nel patto sociale.

Diritti di destra e di sinistra?

Se tentiamo di attribuire un significato generale ai termini di destra e sinistra politiche, si può dire che la sinistra enfatizza il concetto di giustizia nei rapporti sociali, mentre la destra si fa paladina del concetto di libertà individuale.

Non ripeterò mai abbastanza che rendere esclusivi questi due valori conduce dritti all’utopia e alla contraddizione.

La giustizia ad ogni costo, imposta, viene a negare la libertà; ma la privazione della libertà è un atto ingiusto.

Al contrario l’esasperazione della libertà individuale, compresa quella di prevaricare sugli altri ingiustamente, espone chi la professa a subire lo stesso trattamento, vedendosi così privato della libertà.

Se invece si vuole utilizzare un significato di destra e sinistra politiche tratto dagli esempi storici, le cose vanno di male in peggio.

Infatti la destra del “self made man” del libero mercato duro e puro senza pasti gratis, ha sempre prodotto una classe di maestri e garanti del libero mercato, totalmente sovvenzionata dai contributi pubblici.

Mentre la sinistra giusta, dell’eguaglianza per tutti, ha sempre generato una classe di custodi della giustizia immancabilmente “più uguale degli altri” che ha goduto di privilegi più o meno scandalosi, comprendendo tra essi quello di esercitare un potere dispotico e arbitrario.

Del resto, se guardiamo a casa nostra nell’ultimo secolo, i risultati di welfare sociale di gran lunga più significativi sono stati ottenuti dal fascismo, mentre la rendita capitalistica non è mai stata garantita come sotto i governi di sinistra (si vedano gli ultimi).

Quindi, escluse le campagne elettorali, concepite da almeno trent’anni come un’operazione di tifoseria calcistica, direi di abbandonare i termini obsoleti di destra e sinistra e di concentrarsi sui diritti necessari a vivere dignitosamente, che sovente vengono messi in disparte, disattesi e conculcati, utilizzando come cortina fumogena la concessione di diritti impossibili o pseudo diritti che vanno dal diritto (?) di suicidarsi, alla carta dei diritti dell’animale (di cui, con tutto il rispetto per gli animali,…chi se ne frega!).

Diritti e finitezza della risorse.

Quando si pensa all’attuabilità dei diritti acquisiti, bisogna fare i conti con dei limiti.

Ad esempio si può dire che sarebbe giusto e bello offrire l’istruzione gratuita per tutti, ma non si può, perché non ci sono le risorse.

Il che accade analogamente per svariate tematiche.

E perché non ci sono le risorse?

Questo diagramma, tratto da uno studio del Credit Suisse del 2014, può aiutarci a rispondere.

Come si nota lo 0,7 della popolazione mondiale al vertice della piramide possiede il 44% della ricchezza totale, mentre il 69,8% della popolazione globale campa con il 2,9% della ricchezza.

Dunque, se si vogliono estendere i diritti dei più, occorre limitare l’eccessiva detenzione di risorse da parte della élite, cominciando a incidere su quei meccanismi che hanno prodotto una così scandalosa concentrazione di ricchezza. Meccanismi che, solo marginalmente e secondariamente consistono nella proprietà dei mezzi di produzione, e che invece primariamente concernono l’emissione monetaria, il saggio di interesse, e l’accumulabilità del denaro.

Modifica di meccanismi che, apparentemente, penalizzerebbe anche il piccolo risparmiatore, in nome del quale puntualmente si difendono i privilegi indifendibili degli straricchi.

Che fine faranno i miei risparmi? È il grido di dolore tramite cui si cercano di impedire le riforme (quelle vere).

Nessuno pensa mai a cosa servono i risparmi: se servono per tutelarsi dai tempi bui, che dipendono dal diagramma di cui sopra, a cosa serviranno nei tempi prosperi, quando ad esempio si saranno invertite le cifre? (2,9% della ricchezza per lo 0,7% della popolazione e 44% per il 69,8%).

Ed è meglio difendere il piccolo risparmio accumulato con dolorose privazioni o il potere d’acquisto dello stipendio che consente, volendo, di risparmiare senza significativi sacrifici?

 

Morale: scegliere bene i diritti per cui battersi.

 

Andrea Cavalleri

22.12.2018

Fonte: comedonchisciotte.org

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