Apice della storia o punto di non ritorno?

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DI BRUNO SEBASTIANI

comedonchisciotte.org

Su questo sito sono già apparsi due miei scritti (“È meglio essere nati o sarebbe stato meglio non essere mai nati” e “Il vero responsabile”) ripresi da “Effetto Cassandra”.

Con il presente articolo inizio ora la mia collaborazione diretta, attraverso la quale cercherò di esporre ai lettori di ComeDonChisciotte le mie idee e la teoria che sto sviluppando, il Cancrismo.

Nell’argomentare pacatamente questa teoria spero di incontrare commenti ed osservazioni altrettanto ragionati e stimolanti.

Come primo contributo mi soffermerò su quello che ritengo un punto fondamentale su cui riflettere.

Per sintetizzarlo ho utilizzato il titolo di un capitolo di un mio libro: “Apice della storia o punto di non ritorno?”

Cosa si nasconde dietro a questa antinomia?

I temi del degrado ambientale, del riscaldamento globale e di ogni altra nefasta attività antropica ai danni della biosfera, nel corso di quest’anno sono stati al centro dell’attenzione mondiale come non mai.

Centinaia di milioni di giovani si sono mobilitati in ogni angolo del globo per coinvolgere i governanti e la pubblica opinione su questi argomenti, giustificando le proprie rivendicazioni e proposte con dati di fatto inconfutabili.

Sennonchè altrettante centinaia di milioni di persone in questo stesso periodo stanno godendo di un benessere diffuso altrettanto inconfutabile. E i miliardi di persone che non godono ancora di questo benessere, vi aspirano ardentemente e fanno di tutto per tentare di raggiungerlo.

Il “benessere” di cui parlo, per inciso, è stato reso possibile da quel progresso scientifico e tecnologico che ha condotto a spremere come un limone le risorse del pianeta, sino al punto in cui ci troviamo, da alcuni ritenuto di “non ritorno” o – concetto analogo – “a un passo dal baratro”.

Ma è un benessere innegabile. Gli scaffali pieni dei supermercati ne sono testimonianza evidente, come le auto di grossa cilindrata che sfrecciano sulle nostre strade. E che dire della rivoluzione più recente, quella della connettività globale, che spinge la testa di miliardi di persone (giovani contestatori compresi) a chinarsi costantemente sullo schermo parlante dei propri telefonini?

Il lettore avrà compreso che dietro a questi concetti appena abbozzati si nasconde l’intero dramma della modernità: da una parte il “progresso”, da sempre ritenuto mèta ed orgoglio dell’essere umano, dall’altra il precipizio dietro l’angolo, direzione obbligata a causa dell’esaurimento delle risorse indotto dalle crescenti necessità di una popolazione mondiale in continuo aumento.

Di fronte a questo dilemma – che è l’autentico Dilemma con la d maiuscola della nostra generazione e delle prossime – assistiamo sostanzialmente a due tipi di atteggiamento.

Il più diffuso è l’indifferenza: godo (o cerco di raggiungere) il benessere, non penso al futuro o, se ci penso, immagino che l’uomo troverà soluzioni alle crisi attuali e a quelle future, come ha sempre fatto in passato.

Vi è poi la matura consapevolezza dei più “altruisti” (una netta minoranza): mi applico a ridurre i consumi, ad evitare gli sprechi e cerco di vivere secondo stili di comportamento semplici e poco dispendiosi in termini di risorse.

Entrambe queste posizioni non intendono però mettere in discussione il valore assoluto della preminenza umana nei confronti degli altri esseri viventi.

L’investitura divina che ci avrebbe concesso il Creatore nei secoli si è andata trasformando nel vertice della catena evolutiva raggiunto dalla nostra specie, ma nel comune sentire restiamo sempre saldamente collocati sul trono di re del mondo e da questa posizione non intendiamo abdicare.

Qui si inserisce la mia teoria che vorrebbe ribaltare la comune percezione dell’esistenza, indicando all’essere umano una possibile alternativa alla sua glorificante auto-valutazione.

Se è vero, come è vero, che ci siamo riprodotti in maniera incontrollata e iperbolica, se è vero, come è vero, che abbiamo raggiunto ogni angolo dell’organismo–pianeta che ci ospita, se è vero, come è vero, che ovunque abbiamo distrutto i tessuti sani di tale organismo (foreste e altre cellule animali), allora perché non pensare a Homo sapiens come a una cellula il cui DNA sia mutato al punto da alterarne il comportamento e da renderla maligna per l’organismo ospitante?

Questa è l’essenza del Cancrismo. Dopo di che c’è da chiedersi: dove conduce l’accettazione di una tale ben disperata teoria?

Non vi è qui lo spazio necessario per approfondire la questione, che vedrò di riprendere e sviscerare più a fondo in altri scritti. Chi volesse farlo autonomamente può trovare abbondante materiale nel mio blog Il Cancro del Pianeta.

Ma per non lasciare il lettore con la sgradevole sensazione di un discorso abbozzato e non concluso, dirò che nelle mie intenzioni la diffusione del Cancrismo dovrebbe indurre l’essere umano ad “abbassare le ali”, a riconsiderare tutta la sua storia, presente e passata, in un’ottica ben diversa da quella attuale. Dovrebbe rappresentarsi ogni “scoperta” tecnica e scientifica, ogni passo in direzione del “progresso”, come un nefasto allontanamento da quelle leggi di natura autoprodottesi nel corso di milioni di anni a garanzia dell’equilibrio della biosfera.

E da tale rappresentazione cosa ne potrebbe discendere? Questa è una domanda a cui non so rispondere. Ciò che so per certo è che il convincimento di essere a buon diritto i dominatori dell’Universo non può che spingere i nostri passi oltre il punto di non ritorno.

Bruno Sebastiani

Fonte: www.comedonchisciotte.org

10.11.2019

 

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