A grandi passi verso la Crisi

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DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

Si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo: i partiti “sovranisti” aumentano i seggi, ma restano ininfluenti nel nuovo emiciclo, dove la grande coalizione di popolari e socialisti si allargherà ai liberali. Regno Unito e Italia appaiono però sempre più distanti dal Continente: l’exploit del partito Brexit rafforza lo scenario di un’uscita inglese dall’Unione Europea senza accordo, mentre l’affermazione della Lega isola ulteriormente l’Italia, incamminata verso una silenziosa uscita dall’eurozona. Gli angloamericani lanceranno in autunno l’assalto decisivo all’Unione “a trazione tedesca”: è probabile che Berlino cerchi di costruire un cordon sanitaire attorno all’Italia.

Italexit in corso

All’inizio dell’anno ci eravamo proposti di seguire gli avvenimenti con pochi articoli, che si sarebbero dipanati dalla nostra analisi per il 2019: una scelta indubbiamente felice, perché ci consente di aggiungere soltanto qualche breve e snello articolo, di tanto in tanto, al nostro solido impianto analitico. Quando scrivemmo la nostra analisi di lungo periodo non ci soffermammo sulle elezioni europee svoltesi in questi giorni: il loro impatto in termini (geo)politici sarebbe stato, ed infatti è stato, nullo. Le consultazioni europee hanno soltanto confermato, e rafforzato, dinamiche già in corso, che matureranno probabilmente entro l’anno: Londra e Washington hanno dichiarato un guerra informale all’Unione Europea, moltiplicatore della rinata potenza tedesca, e si servono dell’Italia, terza economia del Continente, altamente indebitata, per destabilizzare l’eurozona. Eravamo già anche scesi più nei dettagli lo scorso autunno, parlando di “crisi asiatica” per l’Europa: per il continente era in serbo una crisi finanziaria/valutaria non dissimile da quella che Soros & soci avevano riservato al Sud-Est asiatico nel 1997. L’Italia sarebbe stato “l’ordigno” e la “No Deal Brexit” sarebbe stata l’innesco.

Dell’ammuina britannica per arrivare ad un clamoroso divorzio senza accordo abbiamo già scritto: affidando alla scialba Theresa May il compito di negoziare un’uscita ordinata e lasciando che la premier si impantanasse nei veti incrociati dal Parlamento, Londra ha gettato le basi di una “hard brexit” che avrà pesantissime ripercussioni finanziarie e economiche in tutta Europa. Nigel Farage, un sorta di “pungolo” la cui funzione è spostare l’intero baricentro della politica inglese su posizioni sempre più intransigenti, ha fondato nel gennaio 2019 il “Brexit Party” che, catalizzando le frustrazioni dell’elettorato per la situazione economica e l’andamento delle trattative, ha raccolto il 31% delle preferenze, svuotando il partito conservatore. La May, già dimessasi, sarà quindi rimpiazzata da un tory radicale ed eurofobo, pronto a traghettare il Regno Unito fuori dalla UE entro la nuova scadenza del 31 ottobre, con o senza accordo: una figura che corrisponde perfettamente a quella di Boris Johnson, rimasto sinora strategicamente a bordo campo, in attesa di rientrare al momento giusto, quasi come un novello Wiston Churchill dopo le titubanze di Neville Chamberlain.

Anche sulla natura del governo gialloverde, assemblato da “alumni” di Goldman Sachs (Steve Bannon, Lewis Eisenberg, etc.) e sulla sua funzione di strumento per destabilizzare l’Europa a trazione tedesca, abbiamo già scritto. Il travaso di voti dal Movimento 5 Stelle alla Lega Nord (17 e 34%) ha mantenuto circa la metà dell’elettorato su posizioni euro-scettiche e sovraniste: si noti che la Lega deve soprattutto le sue fortune all’ondata migratoria del 2014-2017 e al costante “pericolo” di nuovi sbarchi. La Lega intercetta i timori dell’elettorato sull’immigrazione (un fenomeno innescato dalla guerra in Libia del 2011 e dalla creazione di un vero e proprio servizio di traghetti nel canale di Sicilia da parte delle ong sorisiane) e li “trasforma” in voti anti-UE: l’Italia ha quindi intrapreso un silenzioso percorso di uscita dall’eurozona benché la maggior parte dell’elettorato non ne sia consapevole e, forse, neppure d’accordo. Il risultato del 26 maggio conferma comunque il definitivo distacco dell’Italia dal nocciolo europeo: i partiti maggioritari nella penisola sono minoritari a Bruxelles ed i nuovi equilibri saranno decisi senza il contributo di Roma. Soprattutto, il governo pentaleghista non potrà contare su nessuna Commissione “amica” (ma davvero Salvini credeva che i sovranisti sarebbero stati maggioritari nel nuovo Parlamento?) per la riscrittura unilaterale dei vincoli europei.

All’orizzonte si profila quindi una guerra commerciale tra USA e Cina, con immediate ricadute sulla crescita mondiale e sui mercati finanziari, una “No Deal Brexit” con effetti altrettanto esplosivi ed un braccio di ferro tra il governo italiano e la Commissione europea per la stesura della prossima legge di bilancio, scontro che ha alte probabilità di degenerare: insomma, tutti gli ingredienti per una tempesta perfetta. Non resta che chiederci come reagirà la Germania di fronte alle manovre angloamericane e, per rispondere al quesito, ci rifacciamo al precedente del 1992. Quanto “i mercati” attaccarono allora lo SME, affondando la sterlina e la lira, la Germania scelse di salvare la Francia, puntellando il franco e lasciando che Bankitalia svalutasse. È probabile che la storia si ripeta, tanto più che Roma, a differenza del 1992, lavora oggi attivamente per destabilizzare il sistema: Berlino tenterà di costruire un cordon sanitaire attorno alla penisola, per impedire il contagio all’intera eurozona e, soprattutto, il crollo del sistema bancario francese, esposto per quasi 250 miliardi di euro verso l’Italia.

 

Federico Dezzani

Fonte: http://federicodezzani.altervista.org

Link: http://federicodezzani.altervista.org/a-grandi-passi-verso-la-crisi/

27.05.2019

 

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