Matthew Ehret
strategic-culture.org
“Il modo migliore per prevedere il futuro è crearlo.”
-Abraham Lincoln
Dovrebbe essere ovvio che il mondo sta venendo risucchiato in una nuova Guerra Fredda, con cortine di ferro alla vecchia maniera, retorica anticomunista e persino con il tintinnar di spade nucleari, un conflitto spinto in Occidente dai falchi di guerra dell’unipolarismo. A differenza della prima Guerra Fredda, questa nuova variante vede Russia e Cina lavorare a stretto contatto insieme all’Iran e ad un coro crescente di nazioni che si stanno integrando sempre più nella Belt and Road Initiative.
Quale crimine hanno commesso le nazioni eurasiatiche per essere prese di mira dal complesso militare industriale degli Stati Uniti e della NATO?
Hanno semplicemente scelto di non sottomettersi ad una dittatura scientifica tecnocratica unipolare.
Invece di abbracciare un destino distopico chiuso in una gabbia geopolitica sempre più piccola, come Boris Yeltsin o Zhao Ziyang erano stati felici di fare non molto tempo fa, l’intellighenzia eurasiatica di oggi ha riconosciuto che l’unica soluzione alla crisi multiforme che minaccia la civiltà si trova nel futuro. Questo ad alcuni potrà sembrare una banalità, ma, da un punto di vista geostrategico, il futuro è dove risiede la creatività.
Quando le risorse sono monopolizzate e i sistemi di regole modellati da un’élite sociopatica antagonista dei diritti fondamentali dell’umanità, l’unica via di resistenza praticabile per impegnarsi in un combattimento vittorioso è cambiare le regole del gioco truccato e creare nuove risorse. Questo si può ottenere aumentando l’opportunità di 1) fare nuove scoperte che 2) creino nuove risorse, 3) traducano i principi appena scoperti in nuovi miglioramenti tecnologici che, 4) a loro volta aumentino la capacità produttiva (mentale, spirituale e fisica) dell’umanità. Se i passi 1-4 non esistono nel presente, allora dove si possono trovare?
Lo ripeto: nel futuro.
Il concetto di ideali futuri positivi che spingono teleologicamente (1) la società in avanti era un concetto potente, che un tempo aveva governato gran parte della civiltà occidentale. L’idea che l’uomo fosse fatto a immagine e somiglianza di un Creatore, capace di partecipare al processo continuo della creazione stessa, era una nozione potente, che aveva animato alcuni dei più grandi progressi nel campo scientifico, nella libertà, nella sovranità, nell’aumento della qualità della vita e nella crescita della popolazione. Nei primi Stati Uniti, questo concetto era stato denominato “Destino Manifesto”… il progetto di Dio per espandere il meglio della civiltà ed estendere i frutti del progresso a tutti, al fine di adempiere il mandato biblico che raccomandava all’umanità di “essere feconda e moltiplicarsi” e “riempire la Terra e sottometterla.”
Anche se da questa idea erano derivati molti progressi per l’umanità, si era purtroppo rivelata un’arma a doppio taglio, potendo arrecare gravi danni, se usata da tiranni, proprietari di schiavi o imperialisti che ignoravano la realtà che TUTTA l’umanità era stata dotata dal Creatore di diritti inalienabili, e non solo pochi selezionati che sentivano di avere dalla loro l’etnia, la religione, la lingua o le giuste caratteristiche razziali.
Si risveglia un nuovo Destino Manifesto eurasiatico
In Russia, questa visione del futuro ha preso la forma di una sorta di “Destino Manifesto russo” del 21° secolo, che mira ad estendere la civiltà nell’Estremo Oriente siberiano e nell’Artico, in Asia centrale, in Mongolia, in Giappone, in Cina ed oltre. Anche se molti sono abituati ad analizzare miopemente gli eventi mondiali con un approccio “dal basso in alto” [un processo di sintesi, da elementi base fino ad un sistema complesso], è chiaro che, dal 2018, le ambizioni di sviluppo orientali della Russia si sono sempre più intrecciate con il progredire verso nord della BRI cinese, soprannominata La via della seta polare, che ha amplificato la crescita di ferrovie, strade, centri di telecomunicazione, porti, progetti energetici e corridoi marittimi attraverso regioni a lungo ritenute inospitali per la civiltà umana.
La Cina ha visto nascere la propria versione del “Destino Manifesto” sotto forma della Belt and Road Initiative, presentata nel 2013, mostrando un potere di trasformazione, interconnettività e cooperazione a reciproco vantaggio al di là di qualsiasi cosa immaginabile otto anni fa dai suoi più ferventi ammiratori. In un breve periodo di tempo, sono stati spesi oltre 3.000 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali di piccole, medie e grandi dimensioni che ora coinvolgono 140 nazioni (con diversi gradi di partecipazione).
Dando un’occhiata alle migliaia di progetti della BRI che spuntano in tutto il mondo, troviamo un enorme complesso di linee ferroviarie (comprese quelle ad alta velocità: maglev e convenzionali), corridoi di sviluppo integrato, nuove città intelligenti, nuovi centri industriali, gasdotti e iniziative scientifiche avanzate che toccano l’esplorazione dello spazio, l’energia atomica, la ricerca sulla fusione, il calcolo quantistico e molto altro.
Questi corridoi di sviluppo si sono estesi a nord attraverso la Russia e gli stati dell’Asia centrale, che comprendono il “Corridoio centrale della BRI.” Più di recente, abbiamo visto il fiorire di un percorso meridionale, dalla Cina al Pakistan, Iran, Iraq, Siria e Libano, fino a comprendere anche la Siria il 12 gennaio 2022. Anche le nazioni africane sono salite a bordo con entusiasmo, con oltre 48 delle 54 nazioni africane che hanno deciso di aderire alla BRI. Attualmente, 18 stati iberoamericani [un’organizzazione internazionale, che comprende le nazioni dell’America e dell’Europa che parlano il portoghese o lo spagnolo, più la Guinea Equatoriale in Africa N.D.T.] e 20 Paesi arabi hanno aderito al programma.
Bisogna sacrificare la diversità in nome dell’unità?
Cina e Russia sono nazioni estremamente grandi, con un vasto potenziale in termini di risorse non sviluppate, manodopera e necessità tecnologiche, ma ospitano anche una vasta gamma di piccoli gruppi culturali, religiosi, linguistici ed etnici di tutti i ceti sociali.
La stragrande maggioranza dei 146 milioni di cittadini russi vive nella parte più occidentale del Paese (il 20% del territorio), e l’80% della popolazione risiede in zone urbane o nelle loro vicinanze, dal Baltico al Mar Caspio. Nelle vaste e spopolate regioni nord-orientali della Siberia (che occupano una superficie pari a 1,3 volte il Canada), vivono solo 24 milioni di cittadini.
La Cina ha problemi simili, con la maggior densità di popolazione e i settori sviluppati concentrati non ad ovest, ma a ridosso della costa orientale del Pacifico. Quasi il 94% della popolazione cinese vive ancora ad est della linea Heihe-Tengchong, mentre il vasto cuore interno ne ospita solo il 6%.
In Russia vivono 193 gruppi etnici che comprendono quasi il 20% della popolazione, mentre in Cina, anche se la popolazione Han è di gran lunga la più cospicua dal punto di vista demografico (rappresenta il 91% della popolazione), esistono 56 gruppi etnici distinti per un totale di 113 milioni di persone, molte delle quali vivono sparse in Tibet, Xinjiang e Mongolia interna.
Il pressante dilemma affrontato dai leader eurasiatici che devono pianificare i loro programmi di espansione verso l’esterno può essere espresso nel modo seguente: come è possibile estendere lo sviluppo scientifico e industriale attraverso territori multietnici e multilingue, sia a livello nazionale che internazionale, senza distruggere lungo il cammino l’eredità culturale di centinaia, se non migliaia, di gruppi culturali più piccoli? Lo sviluppo deve sempre avvenire a spese della diversità culturale dei gruppi etnici minori, come è stato troppo spesso il caso nella storia del mondo, o c’è un modo organico per bilanciare entrambi i fattori?
Come NON attuare il Destino Manifesto
L’ironia è che, fino a poco tempo fa, il concetto di Destino Manifesto era stato tradizionalmente associato agli Stati Uniti, che, con la grande maggioranza della popolazione concentrata nella metà orientale del continente, condividono molte caratteristiche demografiche sia con la Cina che con la Russia,.
Purtroppo, le forze che avevano plasmato l’espansione americana, specialmente durante quei primi 125 anni in cui il Destino Manifesto aveva avuto la sua maggiore influenza, hanno troppo spesso fallito miseramente questo test. Nei loro primi 120 anni di vita, gli Stati Uniti erano cresciuti da 13 colonie arretrate nel 1776 a 45 stati industrialmente avanzati nel 1900. Durante quegli anni, le voci antischiaviste più sagge di Benjamin Franklin, John Jay, John Quincy Adams, Abraham Lincoln, Charles Sumner, William Seward e William Gilpin erano state troppo spesso sovvertite da una classe di parassiti dello stato profondo anglofilo che gestiva sia Wall Street nel nord che il potere schiavista del sud.
Questa idra multicefala in agguato nel cuore degli Stati Uniti aveva le proprie idee perverse di “Destino Manifesto,” diametralmente opposte alle ambizioni dei grandi statisti elencati sopra.
Laddove figure leader abolizioniste, come Benjamin Franklin e Alexander Hamilton, incoraggiavano la condivisione della conoscenza, delle abilità tecniche, della scienza e dei frutti del progresso tecnologico, sia nei confronti dei neri che dei nativi, senza forzare conversioni religiose o schiacciare le loro tradizioni locali, lo stato profondo, sia nelle zone di influenza del nord che in quelle del sud, cercava di espandere il proprio potere solo attraverso la frusta dei conquistatori.
La perversione meridionale del Destino Manifesto promossa da Andrew Jackson, Jefferson Davis e Albert Pike prevedeva un aumento della schiavitù dei neri e dei nativi americani schiacciati sotto il tallone della razza bianca “superiore,” chiusi in gabbie, come piantagioni o riserve, senza alcuna voce in capitolo sul proprio destino. L’Indian Removal Act di Jackson del 1830 aveva liberato terre fertili, che erano subito state consegnate ai piantatori di cotone del sud, che avevano incrementato l’afflusso di schiavi neri dall’Africa inasprendo le tensioni tra stati liberi e schiavisti, fino all’inevitabile guerra civile del 1861-65.
Si dimentica spesso che, sotto la presidenza di Franklin Pierce (1853-1857), legato alla massoneria mazziniana, l’allora segretario alla guerra Jefferson Davis (poi presidente confederato) e il generale Albert Pike avevano avuto l’incarico di promuovere attraverso gli stati schiavisti una “alternativa meridionale” alla ferrovia transcontinentale. A differenza della linea del nord (iniziata da Lincoln nel 1863) che era stata progettata per diffondere la crescita industriale ed infine collegarsi con la Cina, (2) la versione meridionale avrebbe semplicemente dovuto servire come una gabbia di ferro per mantenere gli schiavi sotto il controllo dei padroni. In questo modo, il “Destino Manifesto” confederato non era diverso dalla visione razzista di Cecil Rhodes della linea ferroviaria da Città del Capo al Cairo, che aveva lo scopo di mantenere il continente sotto il tallone britannico o dell’odierna “Green Belt Initiative”/Piano OSOWOG [One Sun, One World, One Grid] di Londra per sfruttare le reti di energia verde dall’Africa all’India.
Durante la Guerra Civile, gli Inglesi erano stati più che felici di fornire armi, navi da guerra, supporto logistico, centri di intelligence in Canada e finanziamenti ai ribelli, arrivando inizialmente quasi al risultato di costringere Lincoln a combattere una guerra su due fronti (uno contro il sud e l’altro contro l’Impero Britannico) (3).
Mentre i legittimi difensori del Destino Manifesto americano cercavano di evitare la guerra, affidandosi invece alla diplomazia per far crescere i loro territori (vedi: l’acquisto della Louisiana nel 1804, il territorio dell’Oregon nel 1848, o l’acquisto dell’Alaska nel 1867), l'”America” di Wall Street e il potere schiavista della Virginia erano sempre felici di attaccare un vicino per espandere le loro ambizioni imperiali (vedi la guerra messicana del 1846-48, o il rovesciamento della monarchia delle Hawaii nel 1893).
Sfortunatamente, le tradizioni americane che un tempo resistevano all’imperialismo sono appassite e l’odierna repubblica è solo un misero retaggio del passato, senza autentici patrioti nelle posizioni di potere federale. Gli Stati Uniti di oggi hanno svuotato la loro base industriale, distrutto il loro legame culturale con i valori cristiani e la loro fede nel progresso scientifico, trasformandosi in una nazione alienata di consumatori nichilisti privi di una visione del futuro.
La crescita dell’eco-colonialismo nel 20° secolo
Il programma razzista di ghettizzazione dei nativi sotto forma di riserve tribali ha segregato per generazioni le tribù delle Prime Nazioni dal resto della società, tenendole bloccate in cicli di dipendenza, povertà, tossicodipendenza, tassi di mortalità infantile e suicidi superiori alla media nazionale.
Questa manipolazione dei Nativi Americani ha anche visto queste persone abusate usate dai padroni del discorso, nel loro tentativo di bloccare i più ampi progetti di sviluppo continentale in nome di una politica di “gestione degli ecosistemi umani.” Dalla fine degli anni ’60, è diventato sempre più di moda trattare le popolazioni native come semplici estensioni dei loro ecosistemi locali, che vengono previsti in equilibrio stazionario nei modelli informatici utilizzati da decenni per verificare lo stato delle zone protette e la crescita ottimale della popolazione.
Per chiunque cerchi di capire perché la politica di crescita economica su larga scala avanzata da personaggi del calibro di Franklin Roosevelt e JFK fosse deragliata alla fine degli anni ’60 con l’inizio della guerra del Vietnam, è vitale comprendere questo uso razzista delle riserve naturali e della gestione degli ecosistemi. La vasta crescita dei parchi naturali e delle terre federali tenute fuori da ogni investimento infrastrutturale non era dovuta all’opera di amanti della natura dal cuore tenero, come molti sono stati portati a credere, ma era stata l’effetto di una politica fredda e calcolata di giocatori geopolitici intenti a mantenere la società chiusa in un piccolo mondo controllato di “risorse limitate.”
Anche se gli imperialisti liberali avevano versato lacrime di coccodrillo sulla situazione dei nativi a lungo abusati dagli egoisti colonizzatori bianchi, per tutti gli anni ’70 erano stati più che felici di sostenere la sterilizzazione di massa delle donne native e di mantenere i nativi senza acqua potabile, energia elettrica affidabile, assistenza sanitaria o anche l’accesso a lavori di qualità.
Uno dei più accesi sostenitori della ferrovia transcontinentale (che avrebbe dovuto arrivare in Eurasia) era stato un alleato di Lincoln, William Gilpin (governatore del Colorado durante la Guerra Civile) che, astutamente, aveva indentificato le riserve come “come blocchi di pietra nel muro di una prigione sulla linea di frontiera.”
Sotto il velo di questo nuovo tipo di colonialismo moderno, il denaro è stato spesso infuso nelle casse di leader tribali corrotti, più che felici di lasciare che i cartelli petroliferi sfruttassero le risorse della loro terra, mantenendo il popolo bloccato in cicli di dipendenza e di zero crescita tecnologica.
Da questa prospettiva, si può vedere un chiaro parallelo nell’applicazione all’Africa di una simile politica neocoloniale.
La Cina: un Destino Manifesto con dignità
Nonostante le pesanti denunce da parte della classe politica occidentale gestita dai Cinque Occhi, l’approccio della Cina sia verso i partner africani della BRI che verso i propri gruppi minoritari è in netto contrasto con questa nefasta tradizione di sfruttamento e genocidio culturale messa in atto per generazioni dall’oligarchia occidentale.
Quello che abbiamo visto in luoghi e centri di patrimonio culturale come il Tibet e lo Xinjiang sono i tassi di alfabetizzazione in costante crescita, la celebrazione e l’insegnamento delle lingue tradizionali, delle canzoni, delle storie e delle danze con il totale patrocinio del governo.
Mentre l’evidenza di questa crescita culturale è palese in tutte le zone etniche minoritarie, abbiamo anche assistito ad un incremento nella longevità, nella densità della popolazione, nella qualità della vita, nella riduzione della povertà, nell’abbattimento della mortalità infantile e nell’accesso a competenze industriali avanzate, all’acqua pulita, a internet e a forniture abbondanti di energia elettrica.
A livello religioso, nello Xinjiang esistono attualmente più di 24.400 moschee, per non parlare di 59 templi buddisti e 253 chiese. In soli otto anni, In Cina la piaga del terrorismo finanziato dai Sauditi e dagli Stati Uniti è stata affrontata senza che un solo stato arabo fosse bombardato e ridotto all’età della pietra, il che non è un risultato da poco.
In Tibet, l’alta velocità e la ferrovia convenzionale collegano ora le comunità locali, che avevano vissuto a lungo in povertà, a mercati globali più ampi, con il parallelo sviluppo di competenze tecniche durevoli e processi di formazione in costante crescita tra la popolazione più giovane.
Anche i templi buddisti stanno prosperando con il pieno sostegno del governo. La propaganda controllata dalla NED in entrambe le regioni vorrebbe che rimaneste ciechi di fronte a questi incontrovertibili fatti della vita cinese.
Anche se le concessioni che favoriscono le imprese cinesi sono certamente incorporate nella maggior parte dei progetti legati alla BRI che spuntano in tutta l’Asia sud-occidentale, in Africa ed oltre, il fatto è che le infrastrutture (sia hard che soft), i nuovi poli industriali e le opportunità educative stanno nascendo a velocità mozzafiato.
In tutta l’Africa, abbiamo visto le tradizioni culturali locali prosperare in tandem con la stessa politica presente in Tibet e nello Xinjiang. Se questa per voi è una novità, provate a mettere giù l’Epoch Times e guardate qualche notiziario locale africano o i canali africani della CGTN.
L’approccio della Cina è in netto contrasto con quei programmi del FMI-Banca Mondiale-USAID che hanno sistematicamente mantenuto per decenni le nazioni povere in una schiavitù di debiti usurari, fornendo denaro per comprare qualche pesce, ma senza mai permettere la capacità di pescare da soli. La Cina, d’altra parte, ha incoraggiato la crescita di vasti progetti di costruzione, centri di produzione e, cosa forse più importante, competenze ingegneristiche avanzate.
Superare gli ostacoli monetari della Russia
In Russia, un sistema bancario centrale privatizzato ancora largamente influenzato dai protocolli monetari del FMI ha reso la realizzazione della visione dell’Estremo Oriente di Putin molto più difficile che in Cina, dove un vivace sistema bancario statale fornisce un prezioso strumento di crescita a lungo termine. La banca centrale privata russa, istituita (nella sua forma attuale) nel 1990, soffre ancora di radicati legami strutturali con il FMI e il WTO, mentre gli ideologi liberali che brulicano nel paesaggio burocratico fanno di tutto perchè una dottrina di “budget bilanciati” e di libero mercato abbia la precedenza sull’emissione di credito produttivo.
Nonostante questi blocchi, la versione unica del Destino Manifesto della Russia ha iniziato a prendere forma con il “grande piano regolatore per la Siberia” di Sergei Shoigu, che vedrà la costruzione di cinque nuove città che avranno da 500.000 a un milione di abitanti.
Inoltre, i piani per espandere e migliorare sia i 9300 km della Ferrovia Transiberiana che i 4300 km del ramo meridionale Baikur-Amal riguardano la modernizzazione, il doppio binario e l’integrazione sempre più profonda di questa rete con Mongolia, Cina e persino Giappone. Questa infrastruttura si collegherà poi al Corridoio internazionale di trasporto nord-sud in espansione da Mosca all’India attraverso l’Asia centrale e l’Iran, che ora dovrebbe essere vista come un’altra dimensione sia del progetto BRI che di quello relativo all’Estremo Oriente [vedi mappa sotto]. Con l’avanzare del progetto, il traffico merci lungo queste linee ferroviarie aumenterà da 120 milioni di tonnellate/anno a 180 milioni di tonnellate/anno nel 2024.
Questa espansione ferroviaria è strettamente legata al piano di sviluppo della Russia per la rotta del Mare del Nord, adottato nel 2019, che ha l’obiettivo di portare il traffico marittimo annuale a 80 milioni di tonnellate entro il 2024. Oltre ai porti e ai nuovi hub minerari artici, questo piano prevede la costruzione di 40 nuove navi (tra cui rompighiaccio nucleari), ferrovie e porti marittimi settentrionali con un tempo medio di percorrenza di 10 giorni per il trasporto delle merci tra la Cina e l’Europa.
Se questo non bastasse, il 15 gennaio 2022, Putin ha annunciato che i progetti per la tanto attesa ferrovia artica fino al Mare di Barents dovranno essere presentati entro il 10 maggio 2022. Questa ferrovia arriverà fino al porto di Indiga, nella regione di Nenets, che disporrà un porto sull’Artico aperto anche in inverno con una capacità di trattare 80-200 milioni di tonnellate di merci all’anno.
Nel 2019 Cina e Russia avevano concordato centri di ricerca scientifica nell’Artico per “promuovere la costruzione della ‘Via della seta sul ghiaccio'”, mentre il progetto per una nuova base di ricerca scientifica internazionale a Yamal, chiamata Snezhinka (Fiocco di Neve) sarà pronto nel 2022. In tutti questi centri si farà ricerca scientifica pura sull’astro-climatologia (l’Artico è la regione con la più alta concentrazione di radiazione cosmica interstellare, che gioca un ruolo determinante nel cambiamento climatico), sull’evoluzione delle specie e sulla chimica in generale. Forse i campi di ricerca più eccitanti riguarderanno la sperimentazione di nuovi progetti di ecosistemi artificiali, necessari per sostenere la vita umana non solo nell’Artico ma anche su altri corpi celesti, come la Luna o Marte. Entrambe le nazioni, dopo tutto, hanno concordato di collaborare allo sviluppo di una base lunare permanente, che dovrebbe essere operativa nel prossimo decennio.
Se potremo evitare una guerra nucleare, allora le scoperte che saranno fatte nel corso di questo nuovo ed eccitante capitolo dello sviluppo inter-civilizzativo andranno oltre le capacità predittive di qualsiasi modello informatico, ma accadranno comunque. Lo scatenarsi di scoperte creative da parte di menti umane istruite, ispirate e orientate agli obiettivi risveglierà nuove tecnologie e ridefinirà il rapporto dell’umanità con la tavola periodica degli elementi, man mano che si scopriranno nuovi usi per l’atomo e per le migliaia di isotopi che devono ancora trovare un ruolo nei nostri sistemi economici. In questo modo, lo spazio e il tempo stesso saranno condensati mentre entreranno in uso le ferrovie a levitazione magnetica, i sistemi di propulsione nucleare e le nuove fonti di energia, ridefinendo in modo drammatico il nostro concetto di “vicino,” “lontano,” “lento” e “veloce.”
Basti pensare ai molti mesi necessari per viaggiare dal vecchio al nuovo mondo ai tempi del colonialismo e alle poche ore che un tale transito richiede oggi con un aereo di linea. Questo è il tipo di salto quantico che potremmo aspettarci quando i 300 giorni di viaggio attualmente necessari per arrivare su Marte con i razzi chimici scenderanno a poche settimane con la propulsione nucleare.
Forse potrei essere accusato di eccesso di idealismo, e allora?
Questo processo si sta già svolgendo davanti ai nostri occhi, poiché realtà politiche e scientifiche che molti ritenevano impossibili solo un decennio fa, hanno già iniziato a cambiare la traiettoria del nostro futuro collettivo. Se il cambiamento di fase dell’umanità verso una specie matura e autocosciente verrà sovvertito ancora una volta… in un momento in cui le armi termonucleari sono disseminate in tutto il globo, non c’è garanzia che avremo un’altra possibilità.
Matthew Ehret
Note
(1) Il termine “teleologico” si riferisce all’idea che c’è uno scopo intrinseco o un disegno specifico alla base del mondo materiale e che il concetto umano di legge e persino le ambizioni economiche sono valide solo nella misura in cui si accordano con questo scopo intrinseco al tessuto dell’universo.
(2) Uno dei sosotenitori più vigorosi delle Ferrovie Transcontinentali era stato il senatore Charles Sumner, che aveva fatto approvare una risoluzione in difesa dell’acquisto dell’Alaska del 1867 (attraverso la quale avrebbero dovuto passare le linee ferroviarie e telegrafiche che avrebbero collegato le Americhe all’Eurasia attraverso lo stretto di Bering): “Unire l’Est dell’Asia con l’Ovest dell’America è l’aspirazione del commercio ora come quando il navigatore inglese (Meares) aveva effettuato il suo viaggio. Naturalmente, qualsiasi cosa aiuti questo risultato è un vantaggio. La ferrovia del Pacifico è un tale vantaggio; perché, pur correndo verso ovest, sarà, una volta completata, una nuova autostrada per l’est.”
(3) Questo secondo fronte contro la Gran Bretagna era quasi diventato realtà nel 1861, a causa dell’Affare Trent.
Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2022/01/22/manifest-destiny-done-right-china-and-russia-succeed-where-us-failed/
22.01.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org