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THE SHOW MUST GO ON

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A cura di Davide
Il 20 Giugno 2019
377 Views

DI ANDREA ZHOK

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Ieri al Forum dei banchieri centrali a Sintra, in Portogallo, Mario Draghi ha esternato in modo sibillino, sostenendo che «Se la crisi ci ha insegnato qualcosa è che noi useremo tutta la flessibilità disponibile entro il nostro mandato per rispettare il nostro mandato». E aggiungendo poi che «nelle nostre recenti deliberazioni, i membri del Consiglio direttivo hanno espresso la loro convinzione su come riportare inflazione vicino al 2%. Proprio come il nostro quadro politico si è evoluto nel passato verso nuove sfide, così può farlo di nuovo. Nelle prossime settimane, il Consiglio direttivo delibererà su come i nostri strumenti possano ridurre il rischio di danni alla stabilità dei prezzi».

Si tratta di un discorso fumoso come pochi, in quanto da un lato sembra auspicare una politica espansiva, per superare la perdurante stagnazione, e dall’altro si appella continuamente al target del 2% inflattivo, pura istanza monetarista che vincola le istanze della produzione e dell’occupazione alla stabilità monetaria.

Ma, come in una mirabile commedia degli equivoci è giunto repentino il severo ammonimento da parte di Donald Trump, che, felicemente libero dalla logica come dall’empiria, come gli è proprio, ha tuonato contro Draghi come se quest’ultimo avesse annunciato una guerra valutaria.

Ci sarebbe da ridere, se in questo contesto ai media nazionali non fosse parso vero di poter mettere in scena uno scenario di grande conflitto, dove l’iniziativa anticiclica e popolare di quel tenerone Draghi sarebbe minacciata dal ‘sovranista’ (?) Trump.

Ecco, proviamo a mettere un po’ d’ordine e senso di realtà negli eventi.

1) Trump attacca l’UE ogni 48 ore, e lo avrebbe fatto anche se avesse beccato Draghi con le dita nel naso. Lo fa a prescindere, perché dal punto di vista americano (realistico) la UE è l’abbozzo di un impero germanico, da stendere prima che si faccia troppe illusioni.

2) Draghi è a fine mandato e sta avviando la propria personale campagna elettorale per nuovi prestigiosi incarichi, forse proprio in Italia. Dunque presentarsi come il ‘poliziotto buono’ per iniziative cui non potrà dare seguito è una mossa per accreditarsi a costo zero come ‘il banchiere centrale vicino ai popoli e all’economia reale’, che è il modo in cui verrà venduto nei prossimi mesi.

3) Se invece volessimo parlare di economia politica reale, e non del solito teatro di schermaglie mediatiche, la situazione che emerge è semplicissima.

L’eurozona ha da tempo due aree di sofferenza; come riconoscono tutti, a partire da Draghi: una scarsa crescita, e indebitamenti pubblici elevati.
Questa situazione convolge in maniera diversa i vari paesi: in maniera estrema l’Italia, un po’ meno Francia e Spagna, meno di tutti la Germania (che però ha anch’essa i suoi problemi di crescita).

Esiste una soluzione a questo problema strutturale?
Ohibò, in effetti sì, ed è pure elementare: basterebbe spostare il target inflattivo del’eurozona per qualche anno (4 o 5) ponendolo diciamo intorno al 6-7%.

Questa mossa sarebbe facilissima da implementare se i soldi creati dalla BCE (come Quantitative Easing) invece di essere messi nella pancia delle banche private, fossero forzati a circolare, ad esempio inserendoli in un grande piano di investimenti pubblici pluriennale.
Ciò avrebbe due effetti.

3.1) L’aumento dell’inflazione e la circolazione forzosa di nuova moneta produrrebbe un esito bicipite: ci sarebbe la crescita direttamente indotta dagli investimenti pubblici, e in più ci sarebbe l’uscita di ampie masse di capitali privati da locazioni improduttive, dove oggi giacciono ingentissimi. Questo secondo afflusso di capitale si riverserebbe nell’area degli investimenti privati, giacché rimanere con capitali inattivi perdendo il 6-7% di valore ogni anno non è un’opzione accettabile. Avremmo così un boom di crescita come non se ne vedono da decenni e saremmo in grado di rimettere in piedi un sistema di infrastrutture (a partire dalle telecomunicazioni) e di aggiornamento tecnologico ai massimi livelli.

3.2) Al contempo l’inflazione eroderebbe i debiti pubblici di tutti i paesi, facendoli rientrare rapidamente in una dimensione accettabile anche per i più impietosi speculatori internazionali. Senza stringere la cinghia, senza lacrime e sangue, ed anzi in una fase di boom economico potremmo vedere i debiti pubblici reali ridursi di un 20% con il sorriso sulle labbra.

Ecco qua, non è la rivoluzione bolscevica, non si tratta dei prodromi del socialismo, nessuno perde, tutti vincono e cambia semplicemente chi vince di più e chi di meno (ne guadagnano di più i paesi con problemi maggiori).

Sarebbe semplice no? Non ci vorrebbe davvero niente: un semplice accordo europeo che modifichi un paio di articoli dello statuto della BCE, un accordo facilissmo da far passare davanti a tutti gli elettorati di tutti i paesi europei.

Già.
Solo che niente di tutto questo accadrà, e noi continueremo a giocare una partita truccata, secondo regole nate per tutelare la redditività dei grandi patrimoni finanziari privati. E intanto, in ogni casa, i media ufficiali entreranno spacciando spudoratamente e impunemente l’attuale ruota della tortura senza via d’uscita come se fosse frutto di vincoli di natura, di leggi eterne ed inflessibili che solo dei pazzi, degli ‘irresponsabili’ potrebbero pensare di violare.

E continueremo ad essere chiamati a scegliere se tifare i Draghi o i Trump, come se di questa commedia ci dovesse importare qualcosa.

 

Andrea Zhok

Fonte: https://www.facebook.com

Link https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1244783975702999

19.06.2019

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