SLAVIA: I cazari, turchi delle steppe che si convertirono all’ebraismo

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di Matteo Zola

Tra i tanti popoli che hanno influenzato la vita degli antichi slavi, e che hanno condiviso con loro il torno di tempo che va dal settimo al decimo secolo dopo Cristo, abitando in aree contigue e avendo con essi scambi e contatti, ci sono i cazari. Dei cazari è difficile parlare perché rappresentano un caso del tutto peculiare nella storia europea.

Le origini dei cazari

I cazari, questo si sa per certo, erano un popolo turcofono, proveniente dall’Asia centrale e apparentato con i bulgari, di cui abbiamo già parlato, e con i tataro-mongoli che secoli dopo invaderanno l’Europa. L’origine del loro nome è controversa: la più accreditata è quella proposta dal linguista Gyula Németh che lo fa risalire alla radice del verbo turco qaz- con il significato di “girovagare, vagabondare“, attività tipica delle popolazioni dell’Asia centrale che, a fronte dell’aridità dei suoli, erano costrette al nomadismo per nutrire gli armenti. Il turco moderno presenta, per lo stesso verbo, la radice kez-, che confermerebbe la bontà della teoria.

Questa popolazione, secondo storici e archeologi, sarebbe una filiazione della dominazione “Goturk” dell’Asia centrale. Quello Goturk era un impero, basato su una confederazione di tribù (come quello unno, prima, e mongolo, dopo) stanziato nei territori lasciati liberi dagli unni migrati verso occidente. Sono noti come “turchi celesti”, devoti al tengrismo (religione sciamanica che fu anche dei mongoli) ricevettero missionari cristiani di fede nestoriana che, come vedremo nelle prossime puntate, tanta influenza ebbero sui mongoli di Gengis Khan. I cazari occupano quindi uno spazio storico posto tra gli unni e i mongoli, giungendo alle porte d’Europa nell’intervallo di tempo tra le due grandi invasioni (o migrazioni) di queste due popolazioni. Pare che la tribù che si spinse in Europa, quella detta Ashina, fosse una delle tante dell’impero Goturk, collassato a causa delle spinte centrifughe.

Arrivati tra il Mar Caspio e il Mar Nero, si stanziarono occupando alcuni abitati unni e gettando le basi per il futuro stato, combattendo contro gli àvari, i protobulgari, gli slavi e ricavandosi un territorio che andava dalla Crimea al Caspio, fino al Caucaso a sud. Questa espansione copre un periodo che va tra il 630 e il 700 d.C., dopo di che subentra un elemento di assoluto interesse: l’ebraismo. I cazari si convertono alla religione ebraica.

La conversione all’ebraismo. Come e perché?

Le cause e le modalità di questa conversione non sono chiare e vanno a toccare nel vivo l’identità etnica e culturale del popolo ebraico al punto che oggi esiste, in Israele, una diatriba storica accesa che ha, evidentemente, ricadute politiche sul moderno stato di Israele. Essendo assai difficile, per chi scrive, addentrarsi in questa materia, ci limiteremo ad alcuni cenni che possono comunque fornire al lettore elementi di novità.

La conversione sarebbe avvenuta tra l’ottavo e il nono secolo dopo Cristo. Sappiamo da fonti slave (il Racconto dei tempi andati di Nestore di Pecerska) che, quando il gran principe di Kiev decise di convertirsi alla religione “migliore”, i cazari inviarono propri rabbini a disputare con imam e missionari al fine di guadagnare alla propria fede un potente vicino. Se avessero vinto loro, forse la Russia oggi sarebbe ebraica.

Ma la prima domanda da farsi è: perché scelsero di convertirsi? Le ragioni sarebbero le stesse per cui anche gli slavi si convertirono abbandonando il paganesimo: il mantenimento dell’indipendenza politica. I cazari, tradizionalmente tolleranti, si trovavano pressati dall’impero bizantino – che continuamente inviava missionari in Cazaria – e dal califatto omayyade che a metà del settimo secolo arrivò fino al Caucaso: il timore di perdere la propria identità li spinse a scegliere una religione “più forte”, capace di tenere testa a Islam e cristianesimo, e la scelta ricadde sull’ebraismo. Un’altra spiegazione è che l’élite cazara avesse scelto una religione meno punitiva del tengrismo, che prevedeva la morte del capo qualora questo avesse fallito nella sua missione militare in quanto “non più in grazia di Tengri”. In entrambi i casi la seconda domanda è: come i cazari sono venuti a contatto con l’ebraismo, al punto da decidere di farne la propria religione?

Una risposta possibile sta forse nell’emigrazione di molti ebrei, tra cui eminenti rabbini, avvenuta tra il sesto e il decimo secolo a causa delle persecuzioni degli imperatori bizantini Eraclio, Giustiniano II, Leone III e Romano Lacapeno (anche se non tutte le date coincidono). Un’altra teoria vuole che la conversione sia avvenuta per tramite degli Johuro, popolazione di religione ebraica tutt’oggi esistente e residente tra le montagne del Caucaso. Noti per questo come “gli ebrei della montagna“, migrati fin lì dalla Persia, sarebbero stati gli Johuro a trasmettere l’ebraismo ai cazari. Gli Johuro, secondo gli studi genetici sull’aplogruppo Y, sono in tutto e per tutto di origine semitica, parte della diaspora ebraica. E i cazari?

I cazari all’origine degli ebrei aschenaziti?

Abbiamo detto che erano turchi, non mediterranei come la restante parte del popolo ebraico. Questo significa che non potevano appartenere al popolo della diaspora ma erano dei convertiti, come alcune fonti confermano. Gli studi genetici hanno stabilito che i cazari non erano in alcun modo di origine semitica. Tali studi hanno però dato luogo a interessanti teorie portate avanti da un gruppo di storici israeliani, detti “post-sionisti”, animati dall’intenzione di demitizzare la storia di Israele liberandola dalla necessità di aderire alle sacre scritture. Ebbene, questi storici post-sionisti (Shlomo Sand,  Tom SegevSimha Flapan) dicono che gli ebrei di oggi, quelli ritornati in Israele come quelli residenti in Europa e negli Stati Uniti sono in larga misura di origine cazara. Un’origine indiretta, però.

Nel codice genetico degli ebrei aschenaziti, si trova l’aplogruppo R1b-L21. E’ un aplogruppo molto vecchio, ovvero occupa una posizione terminale all’interno del cromosoma Y che ne attesta una certa antichità. Tale aplogruppo si trova anche in popolazioni nordiche, in Bretagna, Irlanda e coste della Norvegia. Posti che nulla hanno a che fare con i cazari, e nemmeno con gli ebrei di Palestina. E allora? Questi storici sostengono che la conquista cazara della Crimea, all’epoca abitata dai gretungi, popolazione poi ascritta alla grande famiglia dei goti orientali (ostrogoti), abbia spinto questi ultimi alla conversione all’ebraismo. I gretungi, di origine scandinava (come tutte le popolazioni note sotto il nome di “goti”), sarebbero i portatori dell’aplogruppo R1b-L21. La loro migrazione verso la Polonia, la Lituania e la Germania avrebbe dato luogo alla peculiare cultura aschenazita (che si esprimerà con la lingua yiddish).

Questa teoria, che vede i cazari come forza detonante e i gretungi convertiti quali portatori dell’aplogruppo in questione, mina alle fondamenta la tradizione storiografica israeliana e il concetto di “razza ebraica” che – anche per ragioni politiche – è alla base dell’idea di “stato-etnico” portato avanti in Israele da partiti come il Likud. Gli aschenaziti, è bene ricordarlo, rappresentano oggi l’80% della popolazione ebraica complessiva. Se realmente gli ebrei non provenissero tutti dalla Palestina, allora questa smetterebbe di essere la patria eletta per il “ritorno” e potrebbero essere sollevati ulteriori argomenti a detrimento dell’esistenza dello stato di Israele. Certo resterebbe la terra promessa, la Eretz Ysrael delle scritture, ma il popolo che ha ricevuto la promessa non sarebbe esattamente lo stesso che ci è tornato, fondando il moderno stato di Israele. Le ricadute politiche di tale lettura sono evidenti. E se davvero gli aschenaziti fossero un’eredità culturale (attenzione, non genetica) dei cazari, allora questo popolo delle steppe, con la sua conversione, avrebbe contribuito alla salvezza del popolo di Israele fornendogli la stragrande maggioranza dei fedeli.

Questioni troppo grandi per le nostre umili forze, in cui teorie e controteorie, tradizione e revisionismo, la fanno da padrone. Il margine di errore, in argomenti tanto complessi, è sensibile. Speriamo di avere incuriosito il lettore in modo da spingerlo a svolgere personali ricerche sull’argomento. Quello che ci premeva raccontare è di un misconosciuto popolo delle steppe che, caso unico nella storia, si convertì all’ebraismo e di quanto quella conversione abbia ricadute ancora oggi. Una storia di grandi incroci su questo piccolo pianeta.

Fonte: eastjournal.net
Link: https://www.eastjournal.net/archives/55926

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