Se il dollaro sopravviverà, l’euro non reggerà alla furia di Putin

Le contromisure (ben studiate da tempo) messe in atto dal Cremlino contro le sanzioni occidentali mostrano al mondo le falsità economico-monetarie su cui si basa la globalizzazione. Faranno sopravvivere il dollaro ma hanno messo l'euro sul binario morto che lo condurrà alla sua fine. Le liti tra i leader politici europei sulle diverse visioni in merito alla strada da percorrere per fronteggiare il problema caro-energia mostrano l'impossibilità di conciliare una moneta senza uno Stato.

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Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org

Prendo spunto da questo articolo apparso su QF (QuiFinanza) – per provare a ragionare su quello che sarà il futuro delle due valute, oggi principali obiettivi degli attacchi di Putin, in risposta alle sanzioni con le quali il mondo occidentale, in modo alquanto approssimativo, ha creduto di poter mettere in ginocchio l’economia russa.

Tutto nasce dalla bomba che Putin ha sganciato nel suo discorso di poche settimane fa, all’indomani dell’inizio della sua operazione militare in Ucraina e del conseguente blocco delle riserve russe presso la FED e la BCE.

Il presidente russo, ha dichiarato e fatto vedere al mondo che l’azione illegittima di congelare una parte delle riserve in valuta estera della Banca di Russia toglie credibilità ai cosiddetti “asset di prima classe”. In effetti, sia gli Stati Uniti che l’UE sono realmente inadempienti rispetto ai loro obblighi nei confronti della Russia.

“Ora tutti sanno che le riserve finanziarie possono essere semplicemente rubate”.

Il non verificarsi del presunto default della Russia, sbandierato a gran voce dai media di regime e la risalita del rublo dopo il tonfo iniziale, aggiunti alle dichiarazione sopra riportate, hanno svelato al mondo le falsità in materia economico-monetaria, con le quali, per lunghi anni, certi poteri profondi hanno spadroneggiato per il mondo, facendo credere “nell’immacolata concezione” del dollaro come riserva mondiale.

Noi MMTers, fin dai primi momenti in cui ci siamo approcciati con Warren Mosler (padre fondatore della Modern Monetry Theory), allo studio dei sistemi monetari moderni, abbiamo sempre saputo che il dollaro era ed è tutt’ora, una valuta fiat esattamente come tutte le altre.

Chiarito questo, credo fermamente, che il dollaro continuerà a vivere di luce propria nel rispetto di quelle che sono le caratteristiche di una moneta fiat, ovvero uno stato democratico monopolista nell’emissione, il controllo della sua banca centrale e l’accettazione di tale valuta per il pagamento delle passività fiscali.

Certo, il riportare il dollaro nell’alveo di quella che è la verità scientifica, comporterà il pagare pegno da parte di qui poteri che si annidano nel profondo del governo di Washington e che da tale uso falso e truffaldino, hanno tratto enormi ricchezze personali ai danni del popolo americano e del resto del mondo in cui si sono infiltrati.

Ma veniamo all’Euro, che a differenza del dollaro è una moneta senza Stato. Ovvero, come ormai da tempo cerchiamo di evidenziare, il sistema-euro, difetta a livello di verità scientifica in campo economico-monetario.

La moneta euro non appartiene agli Stati membri o ad un governo centrale di una ipotetica Federazione, ma appartiene all’Eurosistema (la BCE e tutte le Banche Centrali degli Stati membri dell’UE), che è completamente indipendente dai governi degli stati membri stessi.

In pratica si è deciso di tenere separate le due funzioni fondamentali che caratterizzano la politica economica di uno Stato, ossia quella monetaria e quella fiscale. Con un banale esempio, è come se in un essere umano, le braccia rispondessero a due cervelli diversi.

Sul perché sia stato fatto ed a chi fa comodo, abbiamo scritto una infinità di articoli; sono stati fatti una infinità di dibattiti e sono stati scritti moltissimi libri, ma questo non è l’argomento del mio articolo.

Il mio intento è di capire, quanta vita ancora, ha la moneta euro.

Per questo, all’inizio ho fatto riferimento all’articolo di QF (QuiFinanza)  –  il quale riporta, in modo chiaro, lo scontro avvenuto la scorsa settimana a Bruxelles, tra i vari leader europei, in merito alle strategie da adottare per fronteggiare il caro-energia. Un problema che potrebbe facilmente portate alla disintegra dei sistemi economici di molti paesi europei.

Addirittura, si confronta l’attuale colpo mortale inflitto da Putin alla globalizzazione, alla prima grande crisi del capitalismo:  la bolla dei tulipani del 1637, quando una febbre di mercato a Amsterdam portò i contratti enormemente sopra al valore intrinseco dei bulbi. Finita, naturalmente, con un’implosione devastante.

Qualcosa di simile accade oggi con il prezzo del gas, che la guerra in Ucraina ha fatto crescere fino a dieci volte rispetto a un anno fa.

Da qui sono nate tutte le diversità di vedute dei singoli Stati, ognuno con problemi ed esigenze diverse rispetto alla crisi attuale.

E’ stato all’ennesimo richiamo olandese a “non interferire con i meccanismi di mercato”, che Mario Draghi ha tirato fuori un po’ di storia: “Il mercato del gas oggi funziona come il mercato dei tulipani nel diciassettesimo secolo”, ha detto il premier al collega dell’Aja Mark Rutte. Questo il messaggio sottinteso: insensato nascondersi dietro il fondamentalismo liberista, mentre una guerra in Europa genera uno choc energetico che rischia di far chiudere interi settori industriali.

Insomma, solo oggi, di fronte alla sempre più imminente prospettiva di essere rincorso per le piazze dagli italiani, il nostro premier si accorge che l’essere il paladino del fondamentalismo liberista (come lo è sempre stato, dal Britannia fino alla poltrona di Palazzo Chigi, passando per quella di governatore della Banca Centrale Europea), non è esattamente in linea con gli insegnamenti del suo maestro Federico Caffè.

“Meglio tardi che mai”…. oserei dire, se realtà storica, passata ed odierna, non ci avessero dimostrato che Mario Draghi quando parla ed agisce, a tutt’altro pensa che agli interessi del popolo italiano.

La discussione è andata avanti (che al netto del sempre probabile teatrino), ha visto L’Italia, con la Spagna, la Grecia, il Portogallo – e l’apertura della Francia e della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen – continuare a proporre dei tetti ai prezzi del metano acquistabile in Europa via gasdotto. Mentre sulla sponda opposta del tavolo, l’Olanda, sostenuta da Germania e Svezia, ad invocare la sacralità del “dio mercato”.

Addirittura, il premier olandese, nel controbattere si è avventurato in una affermazione che andrebbe fatta analizzare da uno psicologo per poi capire che occorre l’esorcista. Completamente posseduto ha dichiarato: “Non sto difendendo i trader, ma difendo il mercato”, quello oggi determinato dai missili che piovono sull’Ucraina.

Insomma, più chiaro di così.. mentre il nostro premier è pienamente cosciente di quello che fa, o meglio di quello che non fa per salvare il suo popolo; il premier olandese parrebbe (il condizionale è d’obbligo in questo caso) convinto che le cospicue plusvalenze derivanti dalla speculazione sui prezzi del gas, non finicano nelle tasche dei poveri trader, ma in quelle di una entità dalla quale si è reso impossessato e che lui stesso, chiama “mercato”.

Questo è il livello delle discussioni che stanno avvenendo nella città belga, mentre fuori dall’Unione europea la Norvegia (dove lo stipendio annuale di un infermiere supera i 100 mila euro all’anno), sta lucrando con 150 miliardi di euro di entrate da metano.

Ma la divisione più sostanziale, o meglio quella che più mette in difficoltà Draghi a livello geopolitico (delle famiglie e delle imprese italiane se ne sbatte,) oggi è però con Berlino. Olaf Scholz teme che qualunque misura sul gas o anche solo sul carbone russo determini un taglio alle forniture e una recessione in Germania.

In carica da tre mesi, a capo di un governo diviso e soggetto a un’enorme pressione degli industriali, il cancelliere socialdemocratico non vorrebbe cambiare niente dell’import di energia dalla Russia. Almeno non adesso.

Con Draghi che ha già preso posizione netta contro Putin, in merito al pagamento in rubli, al riarmo nazionale ed all’invio di armi in Ucraina, oltre al ministro degli esteri Di Maio che da giorni ringhia offese allo Zar mostrando i muscoli di un “chihuahua” –  la posizione del cancelliere tedesco, creerà a SuperMario, non pochi problemi da affrontare e gestire sul piano delle relazioni internazionali.

E’ chiaro che attualmente il nostro premier è stretto in una morsa: da un parte Rutte che non autorizza “l’ora d’aria” all’ormai schiavo popolo italiano e dall’altra Scholz, che lo presenta a Putin come il suo principale avversario europeo.

Qualora all’uomo del Britannia, venisse meno il sostegno dei suoi amici della finanza, che parrebbero (anche qua il condizionale è d’obbligo), in fuga dallo stato profondo di Washington… beh, la fine di Draghi sarebbe certa.

Ma le brutte notizie per Draghi non sono finite. Malgrado l’apparente intento (e rivenduto da Draghi alla stampa di regime) espresso dal vertice di Bruxelles di sviluppare acquisti comuni, pare proprio che poi in realtà ciascuno sembra voler correre per proprio conto.

La Germania si è già mobilitata bloccando per sé tre delle sei o sette navi di rigassificazione in offerta sul mercato mondiale per il gas liquefatto che arriverà dagli Stati Uniti oppure dal Qatar, mentre l’Italia ha proposto di rispondere all’emergenza attuale con un’accelerazione sull’energia rinnovabile, che però darà i primi effetti solo fra tre o quattro anni.

Ma Draghi il problema ce l’ha oggi perché, tra tre o quattro anni, magari oltre non essere più in carica lui, forse non ci sarà più neanche il nostro sistema economico ed istituzionale, almeno come lo abbiamo conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.

Quindi, cari Amici, come vedete, l’Europa sta mostrando al mondo tutti i suoi limiti di aver costruito un sistema economico basato su una moneta senza Stato, imponendola in quantità scarsa ad un gruppo di nazioni, che avrebbero dovuto accaparrarsela in una eterna lotta competitiva, sfidando le forze imbattibili della matematica e della contabilità.

L’Europa è il più fervido esperimento comparabile a quello di rinchiudere 100 cani dentro una stanza con 95 ossi, e pretendere che ognuno abbia il suo. E quando ci si accorge che 5 cani sono rimasti senza, si ha la follia di motivarlo con il fatto di non essere stati ben allenati (il concetto ricorda molto le famose riforme strutturali che da sempre si imputa al nostro paese di non aver mai fatto).

Puoi fare tutte le riforme che vuoi, ovvero allenare i 5 cani che sono rimasti senza osso, ma il risultato che otterrai è sempre che altri 5 cani rimarranno senza osso.

Ora, se proviamo a sostituire la parola “osso” con la parola “moneta”, la tesi finale, sono certo, la saprete fare anche da soli.

Quindi, per concludere, i paesi europei, come dimostrato, non sono in grado di fare politica fiscale – sia a livello di paese singolo perché non controllando la BCE non hanno le mani libere per poter effettuare tutto il deficit necessario ed indispensabile a risolvere l’attuale situazione, sia a livello di gruppo, perché l’attuale struttura del sistema-euro, impone di competere tra loro per accaparrarsi risorse limitate.

Se a questo aggiungiamo che (come vedremo in un prossimo articolo), la BCE non è in grado con la sola politica monetaria di poter gestire il fenomeno inflattivo, arriviamo alla semplice conclusione, che una eventuale chiusura dei rubinetti del gas ed a ruota lo stop delle forniture di derrate alimentari provenienti da Russia ed Ucraina (oppure dal resto del mondo che non considererà più l’euro “asset di prima classe”), farebbe certamente esplodere nel nostro paese, da anni in recessione, la stagflazione – evento che porterebbe certamente alla fine della moneta euro, con l’indispensabile ritorno alle monete nazionali.

Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org

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