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La Redazione

 

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SCIENZA E DIRITTI UMANI – PARTI III e IV: SCIENTISMO REAZIONARIO E TRAPIANTI DI ORGANI

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A cura di God
Il 12 Febbraio 2012
99 Views

Free Image Hosting at www.ImageShack.usROBERTO FANTINI intervista MARCO MAMONE CAPRIA
http://www.fantiniartemente.com/

Parti I e II qui

PARTE III – SCIENTISMO REAZIONARIO

– Nei suoi scritti, spesso parla di “fideismo tecnologico”. In cosa consisterebbe tale fenomeno e perché costituirebbe un problema di grande rilievo per la nostra intera società?

Il fideismo tecnologico è una componente di quello che ho chiamato scientismo reazionario. Parlando in generale, lo scientismo è l’idolatria del sapere scientifico, considerato come il solo valido. Nel Settecento e nell’Ottocento varietà di scientismo erano impiegate in chiave antireligiosa e quindi tendenzialmente progressista, dato il ruolo di religioni come quella cattolica nel consolidamento di un sistema di potere oppressivo. Lo scientismo reazionario è invece l’ideologia che utilizza la scienza e i suoi progressi — reali, fittizi o immaginati in un futuro indefinito — per reprimere le istanze di cambiamento politico. Il fideismo tecnologico è l’opinione che la tecnologia, se le si dà abbastanza credito (incluso ovviamente e principalmente quello finanziario), risolverà i principali problemi dell’umanità — compresi quelli in cui è implicata la tecnologia stessa (inquinamento, squilibri climatici ecc.). Lo scientista reazionario riesce, grazie al fideismo tecnologico, a cancellare nel bilancio dei costi e dei benefici i costi imposti dalla tecnologia, che quindi, miracolosamente, è contata sempre come una voce in “attivo”.

– Può farci degli esempi?

Aumentano i casi di malattie respiratorie tra i bambini in conseguenza dell’aumento del particolato sottile nelle aree urbane? Bene, gli scienziati sono all’opera per sviluppare nuovi farmaci che risolveranno il problema. Aumentano i casi di tumore provocati dall’esposizione dei cittadini a una serie di agenti cancerogeni connessi alle attuali tecnologie dei trasporti, dell’alimentazione e delle comunicazioni? Bene, gli scienziati stanno cercando nuove terapie per quei tumori o almeno nuovi test per la diagnosi precoce. Sempre più persone sono vittime di ricordi tormentosi connessi a drammi vissuti in uno dei tanti teatri di guerra che non hanno cessato di aprirsi a partire dalla seconda guerra mondiale? Bene, gli scienziati sono al lavoro per trovare una pillola che cancelli i ricordi dolorosi. Aumenta la temperatura globale anche a causa dei gas serra prodotti dall’industria e dai trasporti? Bene, gli scienziati sono all’opera per creare strutture da mettere in orbita in modo da schermare i raggi del Sole. Le centrali nucleari producono scorie radioattive? Bene, gli scienziati stanno escogitando sistemi di stoccaggio sicuri. Le famiglie si formano sempre più tardi perché il lavoro manca o è precario, e il futuro economico delle coppie è incerto? Bene, gli scienziati stanno lavorando per permettere di procreare anche alle sessantenni. E così via. Sono tutti esempi reali, che potrei sostanziare con abbondanti riferimenti.

– E secondo Lei dove sarebbe l’errore?

L’errore di impostazione è triplice.

Primo, prospettare un possibile sviluppo tecnologico che rimedierebbe a un male attuale è come somministrare oppio ai cittadini, inducendoli a sopportare e ad aspettare invece di premere perché si intervenga all’origine del problema. Così i veri responsabili possono continuare a far danni, e anzi, spesso riescono pure ad influenzare i governi nel senso dell’approvazione di indebolimenti dei vincoli ambientali e sanitari.

Secondo, si dà come reale ed efficace uno sviluppo tecnologico che è solo allo stadio di ipotesi, un’ipotesi che potrebbe benissimo non materializzarsi mai, o avere effetti avversi superiori ai benefici, come per esempio è il caso di migliaia e migliaia di farmaci ritirati dal commercio. È chiaro che la logica in atto in questo tipo di propaganda è quella delle religioni, non quella delle aspettative razionali. Invece io credo che la scienza dovrebbe incoraggiare un atteggiamento razionale e non, appunto, fideistico nei riguardi del futuro. E vorrei che chi trasforma la scienza in una religione fosse considerato per quello che è: non un sostenitore, ma un traditore della scienza.

Terzo, concentrandosi su certi fattori di rischio per i quali si ipotizzano rimedi, di regola agenti a livello di comportamenti individuali, si coprono i fattori di rischio che fanno entrare in causa la struttura dell’organizzazione sociale. Per esempio, che in una società gerarchica e diseguale ci debba essere un elevato tasso di malattie, per esempio cardiovascolari, negli individui in posizioni di soggezione e precarietà di status, mi sembra un’ipotesi intrinsecamente plausibile; e, per chi ne avesse bisogno, ci sono anche studi approfonditi che la confermano [1]. Ma il ricercatore scientista reazionario si guarderà dal fare il minimo riferimento a questi fattori, di gran lunga più importanti, per peso e numeri di persone colpite, di quelli investigati da lui. In particolare non esibirà alcuna consapevolezza del fatto che gli onori tributati ai suoi modesti risultati sono in realtà dovuti alla sua autocensura, oppure ottusità, in materia politico-sanitaria, almeno tanto quanto alla sua abilità tecnica.

– Ma secondo Lei che cosa spinge tanti a farsi propagandisti dello scientismo reazionario?

Ci sono varie motivazioni. Innanzitutto credo che la perdita dei credi religiosi ordinari ha creato un bisogno di surrogati della religione in molte persone (compresi scienziati e giornalisti) che magari si illudono di essere perfettamente atee o irreligiose. A molti è difficile vivere senza un quadro di riferimento protettivo e consolatorio. Per esempio, per molti la comunità scientifica è, emotivamente, il sostituto della chiesa, e quindi appare loro irriverente e inaccettabile avanzare dubbi sulla limpidezza delle procedure comunitarie che portano alla definizione della linea ortodossa su qualsiasi problema scientifico. Chi non è mai entrato nei dettagli di una seria ricostruzione storica di episodi scientifici (e la maggior parte degli scienziati ha della storia della scienza un’idea molto vaga e imprecisa, anche a proposito dei suoi principali sviluppi) può facilmente illudersi che a ispirare tali scelte sia una specie di Spirito Santo in versione secolarizzata. Lo scientismo reazionario, come ho detto, è una religione, e di questa condivide le attrattive per certe psicologie. A parte questa motivazione di carattere ideologico, ci sono poi vantaggi più concreti.

– Quali?

Ci sono autori più o meno noti che non perdono tempo ad approfondire certe questioni oltre lo stretto necessario per individuare quale sia la versione che potranno impunemente ripetere e citare. Dico “impunemente” perché a chi sostiene tesi ortodosse non accade praticamente mai che sui principali media si chieda conto delle ragioni con cui le giustifica. Pensi a qualcuno che dica in televisione che le vaccinazioni sono utili e sicure: la probabilità che un interlocutore gli chieda su quali dati fondi tale convinzione è infima, e se pure una tale domanda viene fatta, si accetta come risposta anche una mera riaffermazione di quanto dichiarato. Invece a chi sostiene tesi eterodosse viene fatta pagar cara la minima imprecisione, anche se irrilevante rispetto al suo scopo, e di regola anche personaggi privi di qualsiasi competenza scientifica sono autorizzati a irriderlo. È ovvio che in queste condizioni la tentazione di abbracciare le tesi ortodosse è molto forte, soprattutto in chi si guadagna uno stipendio lavorando nel mondo dei media e, diciamo così, non è in cerca di guai.

Poi ci sono anche persone pagate per difendere l’ortodossia, ma il pagamento non è necessariamente in denaro. Una ricompensa molto ambita è la visibilità. Per esempio, non credo che certi anziani scienziati si facciano portavoce dell’ortodossia perché hanno bisogno di soldi. Ciò che nel loro intimo desiderano, e umanamente è ben comprensibile, è sottrarsi alla legge spietata con cui la nostra società tratta gli anziani, condannandone la gran massa all’invisibilità e all’irrilevanza. Invece poniamo che uno scienziato ottantenne si metta a parlare a favore delle centrali nucleari: ecco che i giornali lo intervistano, gli si chiedono in televisione pareri su certe notizie, lo si invita a manifestazioni culturali, si pubblicano, presentano e recensiscono favorevolmente i suoi libri… È come una nuova gioventù. Bisogna evidentemente avere una fibra morale molto forte per resistere a queste lusinghe dell’amor proprio.

Ciò detto, è risaputo che certi gruppi di pressione, che oggi agiscono in misura crescente attraverso internet, spesso nascondendosi sotto l’anonimato, sono organizzazioni di facciata (front organization, in inglese) messe in piedi e foraggiate da poteri economici che vogliono simulare l’esistenza di associazioni di cittadini che spontaneamente parteggiano per loro. È un trucco ormai ampiamente collaudato e sfruttato, con cui si riesce a interferire efficacemente con il corretto andamento del confronto delle idee in molti contesti e in molti siti internet — ovviamente nell’interesse della disinformazione. Il mio consiglio in questi casi è semplicemente di ignorare chi non ha abbasta
nza coraggio civile da firmare con il suo vero nome le sue dichiarazioni – che poi sono spesso poco più che interiezioni, con finalità di intimidazione.

– Ammetterà, comunque, che di intellettuali e filosofi che mettono “sotto processo” la scienza ce ne sono…

Sì, ma vede, per lo più la loro critica è del tipo generale: criticano la Scienza e la Tecnica con le maiuscole, cioè viste come astrazioni che dominerebbero la nostra epoca e a cui in ogni caso non ci si potrebbe sottrarre. Ma mai che entrino in una critica di dettaglio di qualche tecnologia o teoria scientifica che sia attualmente in auge! Le loro considerazioni, per quel tanto che non si riducono a esercizi retorici, possono al massimo alimentare emozioni pessimistiche e sensi di impotenza nei disgraziati lettori. Certamente non stimolano ad azioni correttive, ed è precisamente per questo che tali scrittori, nonostante l’apparente “disfattismo”, sono benvenuti nelle pagine culturali dei giornali e nei cataloghi delle maggiori case editrici.

Quanto alla filosofia della scienza, essa è diventata prevalentemente l’ancella della scienza ortodossa, sviluppandosi come settore accademico con tecnicismi propri, per giunta largamente irrilevanti alla comprensione di come procede veramente la scienza. Paul Feyerabend aveva denunciato questa svolta conformistica in alcuni scritti degli anni Settanta, quando era al culmine del suo prestigio accademico: sarebbero da rileggere e meditare (ad esempio “Filosofia della scienza: una materia con un grande passato” [2], del 1970). Del resto ciò si può vedere come un caso particolare della sterilizzazione della filosofia nella nostra cultura, il che si esprime anche in un insegnamento che spesso degrada la filosofia a curiosità storico-erudita o a gioco retorico [3].

– E della bioetica che cosa pensa?

Sono d’accordo con un grande biochimico, Erwin Chargaff, il quale nel 2001 ha detto in un’intervista: «La bioetica entrò in scena per la prima volta quando l’etica fu violata. La bioetica è una scappatoia, un modo di permettere tutto quello che non è eticamente permesso». In pratica, il bioeticista è il nuovo tecnico a cui oggi si dà il compito di neutralizzare lo scandalo di certe decisioni prese in nome della scienza, ma in realtà in accordo con l’agenda disegnata dal sistema di potere. Ed egli svolge il suo compito contribuendo alla finzione che in materia di morale il laico debba sistematicamente diffidare delle proprie intuizioni e che faccia invece bene a rimettersi agli “esperti”. Chiaramente, nel parlare in contesti pubblici non insisterà troppo sul fatto che questi “esperti”, a livello fondamentale, sono in disaccordo praticamente su tutto [4]. L’unità si limita al progetto condiviso di espropriare i cittadini di un’altra porzione di spazio decisionale, e conquistarsi così un posto, se non nell’élite di potere, almeno nella sua corte — aspirazione, questa, condivisa peraltro anche da molti altri intellettuali che imperversano sui principali media.

RIFERIMENTI

[1] http://en.wikipedia.org/wiki/The_Spirit_Level:_Why_More_Equal_Societies_Almost_Always_Do_Better

[2] http://www.mcps.umn.edu/assets/pdf/5.8_Feyerabend.pdf

[3] http://www.dmi.unipg.it/mamone/sems/filtutti.pdf

[4] http://plato.stanford.edu/entries/theory-bioethics/#ProBioConAppHigThe

PARTE IV – TRAPIANTI DI ORGANI

– L’accettazione o, meglio, la santificazione politico-mediatica della pratica dei trapianti potrebbe essere ritenuta un esempio particolarmente eloquente e significativo di “fideismo tecnologico”?

Sì, e in più modi. Cominciamo col dire che, quasi ogni volta che si effettua un trapianto, c’è una persona che è andata incontro a una fine prematura, per esempio a causa di un incidente automobilistico o di lavoro. Dico “quasi” perché ci sono anche le donazioni di organi da parte di persone viventi e di solito a congiunti, anche se, in Italia e in molti altri paesi [1], si tratta di un caso percentualmente marginale: molto di quello che dirò, è bene precisarlo, non si applica, per esempio, a chi dona un rene a una persona cara che, accettando un tale dono, gli resterà comunque legata per il resto della vita da un inestinguibile obbligo di assistenza. In secondo luogo, chi riceve un trapianto è sempre una persona affetta da una grave malattia, che in molti casi avrebbe potuto essere evitata. L’enfasi sulla possibilità di sottoporsi a un trapianto rende meno urgente, almeno a livello di percezione comune, l’approvazione di misure di sicurezza o l’adozione diffusa di uno stile di vita opportuno. I propagandisti dei trapianti omettono di considerare che la relativa utilità dei trapianti (perché, va sottolineato, non sempre la qualità e la durata della vita del trapiantato sono tali da giustificare l’operazione) nasce da un dato iniziale su cui si potrebbe e si dovrebbe intervenire, anche se ciò significherebbe modificare profondamente l’attuale sistema sociale ed economico. E poi c’è un terzo punto, cioè che la legge che permette i trapianti ha elevato a verità scientifica indubitabile una definizione di “morte” largamente congetturale e su cui sarebbe stato il caso di alimentare un esteso e pubblico dibattito. Benché la questione dei trapianti non sia solo di natura medico-sanitaria o scientifica, non si dovrebbe prendere come oro colato ciò che ci viene detto su di essi dalle autorità nemmeno dal punto di vista scientifico.

– Parlare di “morte cerebrale” sarebbe quindi scientificamente infondato e, di conseguenza, anche moralmente e legalmente assai discutibile?

Mi limiterò a un aspetto della legge che in Italia definisce le condizioni sotto cui si può considerare “morta” una persona. La legge prevede due possibilità: la cosiddetta morte encefalica (detta più comunemente morte cerebrale) e l’arresto cardiocircolatorio. Nel documento stilato da una commissione di Harvard nel 1968 [2] che definì la nozione di “morte cerebrale”, si legge, a proposito del criterio tradizionalmente accettato, che quando il cuore ha cessato di battere il cervello muore «in pochi minuti». La nozione che quel comitato voleva imporre (e ci riuscì) era, viceversa, che con le tecnologie mediche disponibili il cervello può “morire” anche quando il cuore continua a battere. Senza toccare la questione della “morte cerebrale” con tutti i suoi problemi [3], ciò su cui voglio porre l’attenzione è però quell’espressione: «in pochi minuti». Quanti? Questa è una questione scientifica non certo trascurabile.

– E come è stata risolta?

Nel 1993 questo intervallo di tempo fu così quantificato in un rapporto di una commissione dell’università di Pittsburgh [4]: due minuti. In Italia, un decreto legislativo stabiliva, l’anno seguente: «l’accertamento della morte per arresto cardiaco può essere effettuato da un medico con il rilievo grafico continuo dell’elettrocardiogramma protratto per non meno di 20 minuti primi». Venti minuti: sicuramente un progresso rispetto al protocollo di Pittsburgh. Tuttavia nel febbraio del 2007 è stata data la seguente notizia: era stato accertato l’arresto cardiaco per la durata di 30 (trenta) minuti di un neonato di Leeds [5], dell’età di 2 settimane. Il bambino era quindi stato dichiarato morto dai medici ospedalieri che l’avevano messo sotto ossigeno. Ma poi, inspiegabilmente, il neonato aveva avuto una contrazione. La notizia è apparsa sui giornali solo 14 mesi dopo, corredata dalla fotografia del bimbo a cavallo di un’automobile di plastica, vispo e perfettamente normale. I medici hanno detto che mai era loro capitato un periodo di morte apparente così lungo… Per inciso, non è la sola volta che bambini o ragazzi dati per morti sono poi stati salvati, in un caso per l’opposizione di uno solo dei genitori [6] a firmare la liberatoria per il trapianto. La morale di questa storia mi sembra chiara: le commissioni scientifiche hanno definito nozioni cruciali e criteri operativi come se si sapesse tutto sull’incerto confine tra vita e morte, mentre sicuramente non è così. E quel che è peggio, questi criteri funzionano come profezie che si autoavverano: è un caso fortunato se i bambini citati sono sopravvissuti alla dichiarazione di morte. A proposito, nella legge italiana il criterio del “per non meno di 20 minuti primi” è tuttora vigente, e confermato da un decreto del 2008. Perché una soglia così improbabilmente bassa, e non, ad esempio, di 24 ore, se non per evitare il rischio di ischemia e quindi di inutilizzabilità degli organi [7]? Purtroppo, quando una “macchina” come quella dei trapianti, o delle vaccinazioni, si mette in moto, con i suoi enormi ingranaggi economici, la periodica revisione cui si dovrebbe sottoporla in base alle ultime evidenze resta per lo più solo un auspicio. Anzi, ci sono pure bioeticisti che sostengono che bisognerebbe lasciarsi alle spalle la questione della “vera morte“, e vedere in una luce diversa la stessa questione dell’uccisione, a fini di espianto, di pazienti non morti ma, come li chiamano loro, «totalmente disabili»: per loro questa sarebbe un’azione del tutto legittima [8]. Un ottimo esempio, incidentalmente, di quel ruolo ideologico della bioetica di cui ho detto prima.

– A parte quelli scientifici, quali altri aspetti ritiene rilevanti per una valutazione pienamente consapevole della questione della donazione di organi?

Ammettiamo pure, per amore di discorso, che l’“idoneità all’espianto” nel senso della legge vigente si possa almeno considerare una prognosi sicura di non sopravvivenza entro un tempo brevissimo – tralasciando una questione controversa della massima importanza: e cioè che secondo alcuni neurologi l’applicazione del protocollo di verifica di tale idoneità (in particolare il test dell’apnea) riduce di per sé la possibilità di sopravvivenza del paziente [9]. Ne seguirebbe forse che la concessione del corpo proprio o di quello di un congiunto per l’espianto sia moralmente doverosa? Pensiamo per un momento all’ispirazione e consolazione che tanti traggono dal recarsi dove i resti di un congiunto o di una persona amata sono sepolti. Ebbene, per un insieme ben più grande di persone è importante stare vicini a una persona cara nei suoi ultimi istanti o, ancora più importante, essere sicuri di averla vicina nei propri ultimi istanti, cosa che invece è esclusa quando c’è un espianto da effettuare. In breve, è per lo meno dubbio che la possibilità che grazie a un trapianto alcuni malati gravi prolunghino la propria vita configuri una priorità morale rispetto alla possibilità di conservare finché possibile un contatto fisico con una persona cara. Si tratta di difficili questioni etiche, che entrano nella nostra sfera più intima e sulle quali ognuno dovrebbe interrogarsi e rispondersi con onestà. Il dato di fatto è che su di esse il dibattito pubblico è stato pressoché inesistente, poiché l’industria del trapianto con l’aiuto dei principali media ha sistematicamente soffocato le voci contrarie o anche soltanto perplesse. Per esempio, il dottor Rocco Maruotti, un eminente chirurgo di fama internazionale, ha dedicato all’argomento il suo intervento a “Scienza e Democrazia 5”: sono a mio parere pagine illuminanti [10], ma chi le conosce? Anzi, chi tra i non specialisti aveva fino a qualche giorno fa anche solo sentito il suo nome [11] in relazione alla questione dei trapianti? Dico “fino a qualche giorno fa” perché il 25 gennaio 2012, una trasmissione del mattino (non a caso!) su Rai 1 [12] lo ha avuto ospite, ma riservandogli uno spazio del tutto inadeguato ad esporre compiutamente la sua posizione. Io stesso devo all’amicizia con Hans Ruesch l’essere venuto a conoscenza, tra le tante altre cose, dell’esistenza della “Lega Nazionale contro la Predazione d’Organi e la Morte a Cuore Battente”, cioè di un’opposizione cittadina su basi razionali alla ideologia trapiantista [13].

– In effetti, della controversia sui trapianti i media avrebbero dovuto e dovrebbero, in uno spirito di onesta informazione, parlare molto di più dando il giusto spazio a tutte le posizioni e a tutti i punti di vista…

C’è poi un altro problema, che è quello degli abusi commessi, con la complicità o il silenzio-assenso anche di prestigiosi chirurghi, per procurare gli organi dei poveri ai ricchi malati. Lo considero uno sviluppo pressoché inevitabile, e la cui gravità sociale è destinata a crescere: una volta che si comincia a vedere i nostri simili come riserve di pezzi di ricambio, è l’intero concetto della dignità della persona a incrinarsi. Nel giugno di quest’anno, su Nature, è apparso un articolo [14] nel quale si dava come esempio di cattiva decisione condizionata dalla nostra «ossessione con la moralità» la riluttanza, da parte di persone indigenti, a vendere un rene a qualche ricco in dialisi. Ho inserito un commento critico sul forum [15] relativo all’articolo, ma non ha provocato alcun dibattito, solo la risposta di un tale che, in sostanza, ha preso le difese dell’autore, pur concedendo che questi aveva peccato di ipersemplificazione… Penso che una reazione così blanda sia uno scandalo, tanto più se si considera che è ormai ben documentata la vendita di reni in numerosi paesi dell’Europa dell’Est, Turchia, Israele, India, Pakistan e Stati Uniti — una vendita, che, quando non nasce dalla violenza fisica, è legata a una situazione di povertà ai limiti della disperazione, che è poi essa stessa un altro tipo di violenza. Molte agghiaccianti informazioni si trovano nel libro Ultimi (Liguori, 2010) di Rita Pennarola. Il traffico illegale di reni è stimato nell’ordine dei 15.000 casi ogni anno. Ci sono villaggi in Pakistan in cui, a quasi tutti gli abitanti, manca un rene [16]. Cioè, non solo si creano sacche di disperazione attraverso un’iniqua distribuzione delle ricchezze a livello planetario, ma le si sfrutta per aumentare ulteriormente il divario nell’aspettativa di vita tra ricchi e poveri. È questo il tipo di mondo in cui vorremmo vedere prolungata il più possibile la nostra vita?

Ma non è tutto. Ritengo infatti che la propaganda a favore dei trapianti abbia una nefasta influenza sulla autopercezione delle persone un po’ in tutto il mondo, soprattutto le più giovani e le più emotivamente instabili.

– In che senso?

Essa indebolisce la percezione del corpo come un bene supremo da custodire con prudenza e
insinua un’idea di accettabilità sociale del suicidio, in quanto atto estremo di risarcimento e riscatto per colpe vere o più spesso immaginarie, in ogni caso insignificanti, che però possono spingere un adolescente o una persona fragile a togliersi la vita. Cito solo due casi, avvenuti nel 2011. In Italia un ragazzo viene bocciato all’esame di maturità: lascia scritto che intende donare gli organi e si uccide [17]. Ancora più esplicito è il legame tra suicidio e intenzione di donare gli organi in una ragazzina indiana dodicenne, che si è avvelenata perché (ha scritto nel suo ultimo messaggio) voleva donare un rene al fratello e gli occhi al padre [18]. Immagino che chi fa la propaganda ai
trapianti non è a casi agghiaccianti come questi che pensa, ma se non ci pensa ci dovrebbe pensare. Invece abbiamo in Italia un Comitato Nazionale di Bioetica che, nel 2010, ha espresso – sia pure non senza opposizione interna – un parere favorevole [19] su qualcosa di pericolosamente simile, qualificando come «eticamente apprezzabile» la donazione da vivo di un rene a un perfetto sconosciuto destinato a rimanere tale, quella che si dice con termine mellifluo «donazione samaritana». Il Consiglio Superiore di Sanità ha, un mese dopo [20], recepito questo parere, pur raccomandando che si proceda preliminarmente a «un’attenta valutazione psichiatrica e psicologica del donatore e del suo nucleo familiare»… Un vero comma 22 a rovescio, se preso seriamente.

Può chiarire l’allusione?

Come ricorderà, in un famoso romanzo satirico [21] contro la guerra, Catch 22 dello statunitense Josef Heller (1961), si parla di un articolo del regolamento militare per i soldati al fronte, che aveva due commi, uno che permetteva il congedo militare esclusivamente ai pazzi, e l’altro, il comma 22, appunto, che saggiamente precisava che il soldato richiedente un congedo dal fronte di sicuro non è un pazzo. Analogamente, il Consiglio Superiore di Sanità chiede di accertare che il donatore samaritano abbia la testa a posto, ma trascura il piccolo particolare che chiunque si candidi a fare questo tipo di donazione dovrebbe, per ciò stesso, essere indirizzato a un reparto di psicoterapia, invece che a un centro trapianti. Spero che i nomi di coloro i quali hanno espresso questi pareri favorevoli (in particolare quelli riportati sul documento del CNB già citato) siano conosciuti da quei cittadini che, magari, attribuiscono a queste “autorità” un particolare prestigio intellettuale e morale.

In ogni caso, anche in seguito a queste sciagurate scelte normative, sarebbe importante proibire ogni propaganda tra i minorenni sulla presunta importanza di dichiararsi donatori – da vivi o da morti ––e, in particolare, nelle scuole di ogni ordine e grado. Attualmente, invece, si fa il contrario [22], arrivando a fare pubblicità ai trapianti perfino nelle scuole elementari! Bisogna essere grati a Internet per il fatto che permette di verificare immediatamente una notizia come questa, che, se fosse solo raccontata, sarebbe a malapena credibile [23]. Se vogliamo andare nelle scuole a insegnarvi la cultura della solidarietà sono ben altri i temi su cui intrattenersi, e ben distanti da quella che, al di là delle intenzioni di chi la promuove, è in un senso profondo una cultura della morte.

E quali sarebbero, secondo lei, questi temi?

Andiamo ad esporre nelle scuole le regole della sicurezza stradale, demitizzando il culto della velocità e del pericolo. Andiamo a impartire nozioni chiare e solide di educazione alimentare e di consumo responsabile, compresa la questione di come sono prodotti gli alimenti e in generale i beni di consumo che troviamo nei negozi – e, cioè, a quale costo in termini di inquinamento dell’ambiente, depauperamento delle risorse, sfruttamento dei lavoratori e sofferenza degli animali. Introduciamo nozioni basilari sulla sfera sessuale, quella che forse attrae maggiormente la curiosità dei ragazzi a partire dalla scuola media, se non prima — sottolineando l’importanza della sessualità responsabile, che è a mio parere una componente essenziale di un’etica che prenda la solidarietà seriamente. Ma, qualcuno dirà, dobbiamo lasciar cadere l’ideale della disponibilità a donare? Nemmeno per sogno. In un paese come l’Italia [24], in cui «il 10% delle famiglie italiane, possiede il 44,5% della ricchezza netta complessiva, 3.686 miliardi di euro su un totale di 8.284», mentre il 50% meno ricco ne possiede appena il 9,8%, e in cui l’evasione fiscale [25] annuale si aggira (sono dati del 2011) intorno ai 102 miliardi di imposte non pagate (senza contare altri 78 miliardi di economia criminale), sarebbe estremamente utile che l’idea di donare ai bisognosi e, in primissimo luogo, di pagare le tasse dovute, entrasse nella coscienza dei piccoli italiani il più precocemente possibile. E in questo, al contrario che per la propaganda della donazione di organi del proprio corpo, non vedo alcuna controindicazione di natura vuoi psicologica vuoi pedagogica.

RIFERIMENTI

[1] http://ec.europa.eu/health/ph_threats/human_substance/oc_organs/docs/fact_figures.pdf

[2] http://www.hods.org/english/h-issues/documents/ADefinitionofIrreversibleComa-JAMA1968.pdf

[3] http://www.nwo.it/morte_cerebrale.html

[4] http://www.ama-assn.org/resources/doc/code-medical-ethics/2157a.pdf

[5] http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/esteri/miracolo-bambino-inglese/miracolo-bambino-inglese/miracolo-bambino-inglese.html

[6] http://www.corriere.it/cronache/11_dicembre_19/il-ragazzo-vissuto-2-volte-e-la-caccia-dei-genitori-a-chi-lo-ridusse-in-coma-goffredo-buccini_1004bcaa-2a09-11e1-88bd-433b1e8e4c01.shtml

[7] http://www.sin-italy.org/GIN/pdf/2010/1/056-068.pdf

[8] http://www.bioedge.org/index.php/bioethics/bioethics_article/9901#idc-container

[9] http://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0100-879X1999001200005&tlng=en&lng=en&nrm=iso

[10] http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/nuocontri_2/maruotti.pdf

[11] http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=442/

[12] http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-f0ab6d49-8afa-417d-bbaf-7e20eac152ef.html

[13] http://www.antipredazione.org/

[14] http://communities.earthportal.org/files/178901_179000/178970/buried-by-bad-decisions.pdf

[15] http://www.nature.com/nature/journal/v474/n7351/full/474275a.html#/comments

[16] http://www.lancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(07)60889-7/fulltext

[17] http://corrieredelveneto.corriere.it/veneziamestre/notizie/cronaca/2011/20-luglio-2011/video-studente-suicida-mamma-papa-scusatemi-1901129395806.shtml

[18] http://www.leggo.it/archivio.php?id=131052

[19] http://www.governo.it/bioetica/pareri_abstract/domazione_rene.pdf

[20] http://www.gliitaliani.it/2010/05/trapianti-approvata-donazioan-samaritana/

[21] http://en.wikipedia.org/wiki/Catch-22

[22] http://212.43.108.65/campagnatrapianti/calendario.asp?anno=2011

[23] http://www.trapianti.salute.gov.it/cnt/cntDettaglioMenu.jsp?id=189&area=cnt-generale&menu=menuPrincipale&label=stacom&sotmenu=campagna10&livello=1

[24] http://www.fuoripagina.net/economia-generale/lingiustizia-in-italia-dove-il-10-delle-famiglie-detiene-la-meta-della-ricchezza-nazionale.html

[25] http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_AMezzano_110822_Evasione-Fiscale-2011.htm

Roberto Fantini intevista Marco Mamone Capria
Fonte: http://www.fantiniartemente.com/
12.02.2012

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