Salario minimo: è il grande capitale che ci tiene dentro il sistema-Euro

Il caro-prezzi ha fatto tornare di moda il tema del salario minimo nel dibattito politico e main stream. L'Europa abbraccia la riforma, mentre da noi tra falchi, colombe e incompetenti funzionali (al regime), abbiamo l'ulteriore conferma su chi ha interesse a tenerci dentro la gabbia del sistema-euro: politici, grande capitale e mondo finanziario.

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di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Contro tutti e contro tutto, ho finito le parole per far capire chi veramente ci tiene dentro questa follia rappresentata dal sistema-euro.

Da tempo metto a conoscenza chi mi legge sulle sue origini, indicando chi lo ha generato e chi lo ha sostenuto, ho spiegato approfonditamente a livello tecnico usando le scienze e le verità economico-monetarie la sua follia ed infine ho messo in evidenza come certe frasi propagandistiche – la più famosa “ce lo chiede l’Europa” – siano state funzionali solo a far accettare alla massa ignara, l’inimmaginabile.

Questa mattina leggo, l’ex premier Giuseppe Conte oggi leader del M5S, pronunciare le seguenti parole:

“Sulle ricette dell’austerità tutti seguono l’Europa, vediamo se si farà lo stesso sul salario minimo”

E’ calata la maschera!

Il senso della frase non lascia spazio ad interpretazioni, anche se lo scaltro Giuseppe Conte, per rimanere in bilico fra compiacere al popolo a fini elettorali e servire il potere che lo sostiene, ha evitato di aggiungere un aggettivo che avrebbe reso comprensibile a tutti la frode che da anni viene messa in atto al popolo italiano.

Per onore di coscienza e coraggio ve lo aggiungo io l’aggettivo, rimasto in gola e sulla coscienza di Giuseppe Conte:

“Sulle folli ricette dell’austerità tutti seguono l’Europa, vediamo se si farà lo stesso sul salario minimo”

E’ estremamente chiaro il senso comparativo che l’avvocato Conte vuole dare alla sua affermazione.

Ve lo spiego ancora meglio, dice Conte rivolgendosi ai compari di governo ed ai poteri che contrastano il salario minimo: VOI – che quando si tratta di imporre al popolo misure lacrime e sangue facendole passare per imposizioni dell’Unione europea – siete sempre in prima linea e così celeri nel renderle effettive, voglio vedere cosa fate ora che l’Europa stessa ci impone una misura in favore del popolo!

Sono settimane che si discute nel nostro paese di salari e ne abbiamo sentite di tutti i colori. Sul tema sono scesi in campo tutti i campioni della materia da Brunetta a Cottarelli per non dire del “bomba” Marattin, che non a caso milita in Italia Viva partito del bomba per eccellenza.

I tre moschettieri falchi del grande capitale, per stoppare sul nascere tale catastrofica (per il grande capitale) eventualità, l’hanno buttata subito in caciara, puntato il dito sul basso dato della nostra produttività, facendo intendere che l’aumento dei salari deve andare di pari passo con l’aumento della stessa.

Il primo ad uscire allo scoperto è stato Luigi Marattin capo economista di IV, con un twitt assuefatto di incompetenza, che lo ha costretto pochi giorni dopo a fare marcia indietro (parziale, tanto per salvare la faccia), con tanto di articolo pubblicato sul quotidiano di partito Il Foglio [1]:

Eccoci al dunque non si produce e quindi non possiamo aumentare i salari e su questa linea si è tuffato anche Brunetta. Certo parlare di “minimo” di fronte alle dimensioni di Brunetta è come parlare di corda in casa dell’impiccato.

Sappiamo che lui si sente più a suo agio se parliamo di “salario massimo”.

Ma quello (il salario massimo), ce lo abbiamo già da anni, proprio perché è il  presupposto essenziale che serve a mantenere in piedi la struttura dell’Euro. Sto parlando della deflazione salariale, ovvero la gara che si corre verso il ribasso dei salari per essere più competitivi e marginalizzare al massimo il profitto.

Per Brunetta introdurre il salario minimo vorrebbe dire addirittura scomodare la storia millenaria del nostro paese. Solo lui sa cosa vuole dire con questa frase.

Poi, forse colto dal caldo afferma addirittura: “la crisi economica non c’è” – evidentemente lui non la vede, sarà anche in questo caso sempre una questione di altezza. Quindi o qualcuno ha il coraggio di metterlo a riposo oppure comprategli un panchetto, perché la crisi esiste ed è anche bella grossa ed evidente.

Gli fa eco Carlo Cottarelli, dice il noto economista con uno sciogli lingua necessario a confondere i meno esperti: “non vi è altro modo per alzare i salari, in Italia, se non far crescere la produttività”, perché il problema dell’Italia è che non cresce la produttività, dico io!!! continua Cottarelli che dalla produttività improvvisamente passa ai profitti: “non è che i salari sono bassi perché i profitti sono particolarmente alti. Anche i profitti non sono molto alti, anche se ovviamente c’è stato un po’ di cambiamento nella distribuzione del reddito che va corretto”. [2]

Come vedete si cerca di far sentire in colpa i lavoratori italiani che sarebbero a detta loro degli svogliati e dei vagabondi da non meritare incrementi di salario stante il fatto che non producono a sufficienza. Nel contempo si fa passare sottotraccia l’aumento dei profitti del grande capitale e l’iniqua distribuzione dei redditi.

Insomma, lo stesso schema di false-flag, al quale ormai più nessuno crede e che sinceramente avrebbe già tediato abbastanza il popolo italiano.

Bene, se dovessimo rispondere sul concetto di bassa produttività sostenuto da tutti e tre, potremmo chiudere la questione in poche righe e fare in modo che i tre moschettieri del grande capitale, corrano a gambe levate a sotterrarsi.

Dire che il problema dei salari bassi è conseguenza della bassa produttività è un falso confermato dalla storia degli ultimi 30 anni. Quand’unque ci fosse anche un metro per misurare la quantità di produzione giusta, certamente la bassa produttività sarebbe testimoniata da una mancanza di prodotti rispetto alle necessità di chi è preposto a consumarli.

In tale periodo è dimostrabile dai fatti che nel nostro paese non sono mancati beni e servizi da acquistare ma quello che è mancato è stato il denaro per acquistarli.

Quindi la produzione è stata più che sufficiente, casomai i salari non erano sufficienti per acquistare tutta la produzione e di conseguenza anche a far crescere i profitti.

Provino i lor signori ad aumentare la massa monetaria tramite i deficit governativi, magari con programmi di lavoro garantito che possano permettere anche al disoccupato di consumare quanto desidera e vedranno che i risultati saranno sorprendenti.

Vedranno di colpo, come per magia, aumentare i salari, i profitti e perfino la produttività. E magari anche redditi redistribuiti in modo più equo.

Hai visto mai che Brunetta possa riscrivere pagine floride di storia economica e del lavoro mai viste prima nel nostro paese!

Ma se vogliamo parlare del tema profitti introdotto da Cottarelli, è particolarmente interessante vedere quanto risulta da un breve studio fatto dall’accademico Marcello Spanò, nel quale mi sono imbattuto navigando su Facebook.

Ve lo riporto, previo una breve introduzione:

Il lavoro di Spanò integra il dibattito appunto sui salari stagnanti e la produttività stagnante (ma meno dei salari) in Italia. Ma entra anche nel merito su quelli che sono gli interessi del grande capitale sostenuti dai tre moschettieri.

Al grande capitale che come abbiamo visto è colui che ci tiene dentro l’euro, in primis non interessa la quantità di produzione ma la percentuale di profitto che finisce nelle loro tasche rispetto a quello che viene prodotto. Il tutto nell’ottica di quella che è la massima marginalizzazione.

E qui se analizziamo quanto viene fuori da questi tre grafici, arriviamo a capire perché il grande capitale non ha nessun interesse verso l’applicazione del salario minimo.

grafico 1

grafico 2

grafico 3

I tre grafici aiutano a capire come è andata la distribuzione del reddito in Italia, Spagna, Francia e Germania nel periodo 1995-2021:
(1) il salario per lavoratore dipendente;
(2) il reddito medio dei lavoratori cui non corrisponde un contratto di lavoro dipendente (mixed-income)
(3) il totale dei profitti d’impresa (operating surplus) in percentuale del prodotto interno lordo (GDP).
Il grafico (1) mostra come i salari dei lavoratori dipendenti in Italia sono stati stagnanti prima della crisi del 2007-08 e declinanti dopo. In Germania sono stati declinanti prima (le famose riforme Hartz) e crescenti dopo, in Francia sempre crescenti. In Spagna, sebbene i salari siano i più bassi del gruppo, nell’ultimo decennio si trovano più o meno allo stesso livello di prima della crisi.
A proposito del grafico (2), va sottolineato che la percentuale dei lavoratori che viene classificata come “self-employed” è molto più elevata in Italia che in altri paesi dell’eurozona: da noi è circa il 25% del totale dei lavoratori, in Spagna il 15%, in Germania e in Francia il 10%. All’interno di questa categoria troviamo un ampio spettro di lavoratori, da coloro che gestiscono in proprio imprese di dimensione piccola o media non classificabili come “corporations”, ad attività professionali di vario genere, fino a coloro che hanno una partita iva e un solo committente (cioè lavoratori dipendenti senza un contratto formale di lavoro dipendente, tendenzialmente precari).
Dal grafico si vede come il reddito medio di questa categoria di self-employed in Italia, oltre ad essere più basso che negli altri tre paesi a confronto, è in costante declino dal 1997 ad oggi. In Spagna e Francia è in declino dagli anni della crisi del 2007-08, mentre in Germania ha un andamento inverso: declinante prima della crisi, crescente dopo. Il risultato italiano ci dice tanto sulla debolezza dei lavoratori precari, la cui quota salari segue un processo di contrazione strutturale, cioè largamente indipendente dagli shock (crisi globale, pandemia): è una debolezza legata alla struttura industriale e all’organizzazione del mercato del lavoro in Italia.
Per quanto riguarda l’Italia, si evince che, se i salari medi dei lavoratori in Italia sono rimasti perlopiù stagnanti nell’arco di quasi tre decenni (grafico 1), quelli dei lavoratori non dipendenti sono addirittura declinati (grafico 2), fatto che certamente non aiuta nemmeno il mondo dei salariati propriamente detti ad avanzare rivendicazioni al rialzo.
L’ultimo grafico (3) riporta i profitti (operating surplus) delle imprese rispetto al prodotto interno lordo (profitti che si suddividono in interessi, rendite varie, dividendi distribuiti e profitti trattenuti dall’impresa). Come si vede, i profitti in Italia sono più alti che negli altri tre paesi, e non sembrano risentire significativamente della crisi del 2007-08 (semmai di quella del 2012, ma è una caduta recuperata in breve tempo). A far compagnia all’Italia figura la Spagna, dove i profitti si attestano vistosamente a livelli comparabili con le imprese italiane soltanto nel decennio successivo alla crisi del 2007-08.
Non dovrebbe essere difficile intuire che qualche ragione per rivendicare un aumento dei redditi da lavoro, sia nella forma di lavoro dipendente che di lavoro non contrattualizzato, è del tutto condivisibile. Chi ha buon gioco a piangere miseria, e additare il mondo del lavoro come pretenzioso, dovrebbe spiegarci come mai i profitti d’impresa in Italia non hanno fatto altro che aumentare dal 2013 al 2020, e come mai sono stati per trent’anni più alti degli altri paesi qui confrontati. Tutto ciò nonostante la produttività stagnante.

Direi che il prof. Spanò è stato più che chiaro su chi si sia avvantaggiato nel nostro paese nell’ultimo trentennio e seguendo il metodo Falcone “follow the money”, potete darvi da soli la risposta.

Del resto sul fatto che il sistema-euro sia stato lo strumento per indirizzare la lotta di classe dalla parte del grande capitale, oggi solo i più fessi potrebbero credere il contrario.

Non solo, il grafico 3 ci fornisce anche un ulteriore indizio su dove sarà asserragliata la resistenza finale del battaglione Azov a difesa dell’Euro: in Italia…. purtroppo per noi.

Pensavate che fosse la Germania! invece lì – dove dovrebbero volare i falchi – non si sono troppo preoccupati della loro “storia culturale di relazioni industriali” perché non solo il salario minimo esiste da anni ma è notizia di pochi giorni fa, che sarà alzato a 12 euro.

E mentre in Grecia la paga oraria è ferma da tempo a 4 euro l’ora (pensate un terzo della Germania), in Italia, come vedete siamo ancora a discutere se farlo e soprattutto su come farlo il salario minimo.

Perché, quello che deve essere estremamente chiaro, dal momento che tale operazione non verrà fatta con l’intervento delle casse del governo in deficit, questa comporterà un doveroso riequilibrio di classe in tema di redditi, proprio quello che Brunetta ed il grande capitale di cui è sponsor, non vogliono.

Ma Brunetta ha già trovato la soluzione per i suoi padroni: “la UE non lo chiede per legge”si affretta a dire a poche ore di distanza dalla risoluzione europea sul salario minimo

Da ora in poi, cari miei, abituatevi – siccome in UE per far stare in piedi l’Euro, saranno costretti ad intraprendere misure anche a vantaggio dei popoli – il ritornello che dovrete sorbirvi dalle nostre parti sarà:

“Non ce lo chiede l’Europa”

 

NOTE

[1] Quella relazione volutamente ignorata tra salari e produttività | Il Foglio

[2] Cottarelli: “Bisogna far crescere la produttivita’” – Economia – ANSA.it

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