Romano Prodi e ciò che resta della Diligenza

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DI MASSIMO BORDIN

micidial.it

Il giorno della mia laurea, incravattato e impomatato con tanto di codazzo di parenti e amici al seguito, uscì dal portone principale della facoltà di Filosofia al 38 di Via Zamboni. Faceva discretamente caldo e in strada non c’era quasi nessuno. Potete allora immaginare la mia sorpresa quando uscendo dalla palazzina alla testa dei miei fedeli mi trovai davanti a quella “faccia quedra” di Romano Prodi. Non era da solo, ovviamente, ma il suo faccione e quella bonorietà panzuta da emiliano in gita la contemplai a lungo, se non altro perchè allora faceva di mestiere nientepopodimeno che il Presidente del Consiglio (e da pochissimi giorni). Si trovava sotto i portici di via Zamboni perchè anche lui festeggiava una laurea quel giorno: quella del figlio Giorgio (ora puntualmente ben inserito a professare nell’Università). All’epoca simpatizzavo per Prodi perchè era l’unico italiano in grado di contrastare Silvio Berlusconi, uomo politico esecrabile per l’egoismo ed il familismo con cui conduceva la sua personalissima o.p.a. sull’Italia. Romano Prodi, inoltre, incarnava ai miei sprovveduti occhi il tipico emiliano Lambrusco e pop-corn, capace di farsi il mazzo tutta la settimana in azienda, ma anche di usare ogni minuto del suo tempo libero per friggere tigelle alle feste di paese. Naturalmente, simpatizzare non significa aderire: era pur sempre un democristiano, che diamine!

Purtroppo, tra l’ermeneutica di Cassirer e le generose bellezze bolognesi, all’epoca non mi ero preso la briga di studiare il Prodi manager. Ma pochi anni dopo andai a vedere meglio, anche perchè era l’unico santino presentabile che il centrosinistra tirava fuori ogni volta.

Ora proprio grazie all’intervento di Romano Prodi (mai sentito parlare del “governo Ursula”?) sembra stia per nascere il MovimentoPdmenoelle, col reggiano dietro le quinte a fare da padre nobile, proponendosi come eminenza grigia del futuro asse governativo. Il solito club dell’euro l’ha scongelato, e non vedo perchè non dovrebbe riproporre dunque la vecchia ricetta anni Novanta incentrata sulla svendita del patrimonio nazionale agli stranieri.

Siccome nei prossimi tre anni Prodi potrebbe essere il suggeritore del Carneade di turno al Mef, meglio dunque andare a vedere bene di cosa si tratta. Un po’ per informare, un po’ per tutelarci.

“Noi che abbiamo fatto le privatizzazioni”

Quante volte avete sentito questa esclamazione? Che sia Prodi, o D’Alema o Rutelli, tutti si vantano di quella che invece dovrebbe essere una vergogna, un’onta nazionale, qualcosa di cui chieder scusa ed accettare anche un periodo “al buio” per scontare la pena. E invece se ne vantano. Ed è pieno di cretini che crede loro, persino. La privatizzazione di un servizio pubblico può avere un senso quando quel servizio è obsoleto e inutile, perchè il privato che accetta di accollarselo dovrà giocoforza cambiarne la pelle. Ma quando il servizio è essenziale o in attivo o dalle enormi potenzialità, allora la privatizzazione diventa un crimine.

Lo so, molti non saranno d’acccordo con questa impostazione, ma se le opinioni si possono anche cambiare (ed io per primo), i dati no. Ed i dati dicono che negli anni della presidenza di Prodi all’Iri (istituto pubblico per il rilancio industriale) ed anche poi al governo, le multinazionali americane e francesi vennero in Italia a fare shopping. L’Italgel, che godeva di una valutazione di 750 milardi, fu venduta alla Nestlè per 680. Gli italiani Benetton, si aggiudicarono autogrill per 470 miliardi, ma poi riuscirono a rivenderla ai francesi di Carrefour per 10 volte tanto…(fonte qui)

Telecom fu completamente privatizzata (avete poi visto crollare la bolletta?), ma anche colossi come Eni ed Enel furono in parte svenduti, con partecipazioni azionarie che misero e mettono ancora in gioco gli equilibri internazionali.

Quel che è stato fatto con gli istituti di credito non lo scrivo neanche. Un po’ per non vomitare sulla tastiera, un po’ perchè non c’è abbastanza spazio online. A tutto ciò si aggiunga che il collocamento a mercato ha un costo, e ci sono agenzie specializzate, aziende, che hanno lavorato come consulenti per questa attività. E come si chiamano queste agenzie strapagate con denaro pubblico per collocare le società italiane? Qualche nome: J.P. Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, e molte altre. Che hanno fatto palate di soldi senza rischiare nemmeno un centesimo. Solo per il collocamento.

Non basta. Se per alcuni colossi la svendita fu palese, anche per molte controllate all’epoca erroneamente considerate private, come Alfa Romeo, i dubbi sull’efficacia della vendita rimangono forti: meglio alla Fiat o meglio alla Ford? Ancora oggi se ne parla.

Ma la cosa grave fatta da Prodi e i prodiani fu un’altra: la convinzione assoluta che il privato potesse gestire meglio del pubblico; qualsiasi privato, indipendentemente dalle competenze. Ecco allora che molti tecnici e competenti furono accantonati per preferire “privati” che nella vita avevano fatto tutt’altro. Come scrive lo storico Giulio Sapelli (qui) parlando di privatizzazioni e nello specifico dell’Ilva:

“cosicchè i rottamatori da forno elettrico si ritrovarono a guidare imprese siderurgiche a ciclo integrale in una siderurgia che dagli anni Trenta in avanti era divenuta la più avanzata del mondo, grazie al lavoro di tecnici di immenso valore come Agostino Rocca e Oscar Sinigaglia”

I mali dell’Italia affondano le proprie radici non solo nei Trattati, dunque, ma anche in politiche pubbliche sciagurate, prima fra tutte il sistema di privatizzazioni lanciato negli anni Novanta. Il giornalista Gianluigi Da Rold, con il libro ”Assalto alla Diligenza” se n’è occupato molto, con tanto di nomi, dati e fatti molto circostanziati, tanto da definire quell’epoca come “un buco nero dell’autocoscienza italiana”.

Quali prospettive dunque emergono da quella ricetta? A me sembra piuttosto chiaro. Un governo giallofucsia che si rispetti – avendo escluso ideologicamente qualsiasi braccio di ferro con Bruxelles – non potrà esimersi dal muoversi su questi due terreni:

1) ennesimo risanamento di bilancio (… dopo Dini, Prodi, Fornero… questi stanno sempre a risanarci) attraverso la vendita di ulteriori servizi pubblici. L’ultimo assalto al ciò che resta della Diligenza sarà su Eni ed Enel? Sulla sanità? Sulla scuola? Scegliete voi.

2) ennesimo risanamento di bilancio (… dopo Dini, Prodi, Fornero… questi stanno sempre a risanarci) tramite politiche fiscali patrimoniali.

Quest’ultimo tema merita una precisazione, perchè a prima vista quella delle patrimoniali potrebbe sembrare una politica ridistributiva. Il guaio infatti è che avendo accettato la globalizzazione, che prevede il libero spostamento di uomini e merci, qualsivoglia patrimoniale colpirà ESCLUSIVAMENTE i soggetti costretti a rimanere entro i confini nazionali come personalità giuridica. Detto diversamente: perchè le patrimoniali sono da respingere oggi come oggi? Perchè colpiscono solo chi ha un lavoro dipendente, come già accade ad esempio coi bolli ad minchiam voluti da Mario Monti e che ci gabellano sui conti correnti, sui buoni fruttiferi postali e sui conti di deposito. Ma secondo voi uno come Gianluca Vacchi o Flavio Briatore, sono tediati dai bolli? Suvvia, non prendiamoci in giro. Il trader professionale, le società, i capitani d’industria incaricano una equipe di commercialisti e per loro il gioco è fatto.

In questo paese, l’a-sinistra da un lato scimiotta i liberali, dall’altro finge di non sapere che le ricette nobili dei padri (come Karl Marx) furono scritte nell’Ottocento e che proprio per questo oggi, per salvarne i princìpi,  le riscriverebbero in toto.

Massimo Bordin

Fonte: http://micidial.it

Link: http://micidial.it/2019/08/romano-prodi-e-cio-che-resta-della-diligenza/

21.08.2019

 

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