di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Faccio subito una premessa, così da evitare fraintendimenti e non essere tacciato per colui che intende mantenere intatto l’attuale sistema giudiziario:
Nessuno più del sottoscritto – per la personale violenza subita da questo mondo negli ultimi otto anni della mia vita – è fermamente convinto che il nostro sistema giudiziario ha urgente bisogno di essere riformato.
I grossi scandali venuti alla luce negli ultimi anni, dal “Sistema-Palamara” alla “Loggia Ungheria” e quello che ho visto accadere con i miei stessi occhi – da cittadino italiano in cerca di giustizia – dentro il circo dei tribunali italiani, mi ha reso ben consapevole che, credere ancora di vivere in uno Stato di diritto è un esercizio di pura utopia.
Chiarito questo però, invito tutti voi a valutare attentamente il messaggio che i poteri profondi, padroni delle nostre istituzioni, stanno facendo passare per mezzo degli “strilloni” della politica e della stampa di regime.
Si vuol far credere che i responsabili unici ed assoluti di tutto il degrado istituzionale che avvolge come un cancro il nostro paese, siano i giudici ed i magistrati, che per sete di potere vorrebbero prendersi anche quello esecutivo.
La verità e la risposta a questo falso teorema è nei fatti e sotto i nostri occhi: il potere nel nostro paese è detenuto da soggetti che agiscono in modo del tutto trasversale, per mezzo di porte girevoli che permettono loro di farsi beffa del principio di separazione sancito dalla nostra Costituzione.
Magistrati, giudici, politici, avvocati, banchieri, colletti bianchi ed oligarchi di casa nostra si inter-scambiano tra loro, all’interno di una gestione personalizzata dei tre poteri costituzionali – dove il popolo, la democrazia e la giustizia rappresentano per loro, solo un fastidioso intralcio allo svolgimento del loro compito di asservimento a quelli che sono i voleri e gli interessi dei veri padroni del nostro paese.
Insomma, tanto per essere chiari e non tornaci più: nelle famose cene all’Hotel Champagne dove si metteva in atto il “Sistema”, c’erano tutti ma proprio tutti, senza distinzione di categoria.
Ditemi voi, tanto per prenderne sempre uno a caso, ma non è colpa mia se era il più presente per sua stessa ammissione: come fa ad essere credibile un Matteo Renzi – primo promotore di questa riforma della Giustizia e sostenitore del “SI” ai referendum – dal momento che lui stesso faceva parte a pieno titolo del “Sistema” stesso?
Come può essere credibile una riforma fatta da coloro che, invece dovrebbero essere riformati?
Dunque abbiamo davanti a noi il fatto che i riformatori sono i riformati stessi, e nessuno della stampa main-stream, mette in evidenza questo abnorme conflitto di interessi in danno e frode del popolo italiano.
Su una cosa non deve esserci più nessun dubbio: l’attuale panorama politico non ha nessuna credibilità per arrogarsi il diritto di cambiare l’attuale, seppur devastato moralmente, sistema giudiziario.
Infatti, il dubbio che lo facciano, per mettere definitivamente fuorigioco quei pochi giudici e magistrati non allineati o addirittura per oliare ancor di più i meccanismi del “Sistema”, è sempre più forte e concreto.
Basta leggere i quesiti referendari, per avere la conferma di quanto rappresentino inutili palliativi, per far credere al “popolino” ignaro di essere il protagonista di una nuova giusta Giustizia.
Eccoli i quesiti, che per dovere di cronaca mi sento di commentare:
Quesito 1
«Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.190)?»
Già dalla lettura del primo quesito, si evidenzia come la credibilità di cui parlavo sia ai minimi termini, per non dire del tutto esaurita. Ci vuole veramente una faccia senza vergogna per proporre agli italiani, di abolire la norma della legge Severino, che prevede l’incandidabilità ed il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo per chi è stato condannato in via definitiva.
Insomma, i nostri politici verrebbero continuare a delinquere ed allo stesso tempo rimanere in carica.
Mi fermo qua, per non essere volgare.
Quesito 2
«Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art.7 della legge 2 maggio 1974, n.195 e successive modificazioni.”?»
Intanto, ditemi voi, se un cittadino comune può essere in grado di capire, attraverso questa formula, cosa realmente va a votare!
Tanto per renderlo comprensibile alla maggioranza, questo quesito, punta ad eliminare “la reiterazione del reato” dai motivi per cui è possibile disporre la custodia cautelare, cioè la detenzione degli indagati o imputati durante le indagini o prima della sentenza definitiva.
Anche questo quesito va nella stessa direzione di alleggerire il peso di chi delinque, addirittura togliendo l’istituto del pericolo della “reiterazione del reato”. L’intenzione pacifica dei “così detti” riformatori è quella di ridurre drasticamente il ricorso alla carcerazione preventiva.
Certo, restano esclusi i reati non caratterizzati da estrema violenza. Ma certamente non è un caso che le tipologie di reato che si intende non sottoporre più a tale misura, siano proprio quelle che maggiormente interessano al nostro sistema di potere.
Mi riferisco in particolare a quelli contro la pubblica amministrazione (vedi il reato di corruzione) e quelli contro il patrimonio.
La mancanza di violenza non giustifica, nella paniera più assoluta, l’abbassamento della soglia punitiva, stante la gravità estrema ed il danno per la collettività che tali reati arrecano.
Leggendo il quesito, non possiamo non notare come tra i reati che si intende metter fuori dalle misure cautelari, ci sia il delitto di finanziamento illecito dei partiti.
Credo che il fatto che sulla testa di Matteo Renzi penda la richiesta di rinvio a giudizio di fronte al Gip del Tribunale di Firenze per tale tipo di reato, sia veramente frutto di uno strano scherzo del tragico destino che da tempo si accanisce sul popolo italiano.
Quesito 3
E’ una domanda molto lunga che riassumo così:
Volete abrogare la norma che oggi consente di saltare, nel corso della propria carriera, dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero (accusatore) e viceversa? La domanda nasce perché oggi le carriere tra chi giudica (giudice) e chi accusa (pm) non sono separate. Capita spesso che quindi una persona lavori per anni come pm in funzione di accusa e poi, improvvisamente, diventa giudice. Ciò pone un freno al requisito di terzietà e imparzialità dei procedimenti.
Qui entriamo nel campo dei “palliativi”, ovvero quel tipo di riforme che non servono a niente. Infatti possiamo ascoltare pareri opposti e trovarli entrambi condivisibili.
I giudici ed i magistrati sono uomini e come tali sottoposti ad appartenere e farsi corrompere. Il riportare l’attuale altissimo tasso di corruzione presente nelle nostre istituzioni ad un livello accettabile da paese civile, non può prescindere che da una ferrea lotta (normativa e sul campo) – la quale abbia come obbiettivo principale l’eliminazione di quel fenomeno, purtroppo diffuso, che vede associazioni segrete e mafiose, sempre più centrali nel controllo delle istituzioni stesse.
L’irrilevanza del quesito ai fini di un reale e veritiero cambiamento è confermata anche dai numeri: negli ultimi 15 anni poco più del 2 per cento dei Pm è diventato poi giudice e meno dello 0,5 dei giudici ha compiuto il passaggio inverso.
Sul tema ritengo utile valutare un probabile pericolo, evidenziato dal più che autorevole membro del CSM Antonino Di Matteo: “la separazione delle carriere porterebbe, se non immediatamente in maniera inevitabile, alla sottoposizione del Pm all’esecutivo e comunque consacrerebbe una figura del Pm estranea alla cultura della giurisdizione”.
In pratica il pericolo di indagini comandate ad orologeria dalla politica, potrebbe essere più che concreto.
Quesito 4
«Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n.25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’art.1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005, n.150», risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art.8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.7, comma 1, lettera a)”; art.16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?».
Anche questo, come il quesito precedente si può valutare in diversi modi a seconda da che parte guardiamo la medaglia.
Oggi i giudici ed i magistrati si valutano reciprocamente al loro interno. Con il presente quesito, in pratica, si vuole introdurre un principio innovativo, in base al quale a giudicare gli stessi, siano anche gli avvocati.
A mio modesto parere non vedo una grossa differenza, il tutto deve essere ricondotto: da una parte, all’integrità morale ed al non farsi condizionare da logiche di appartenenza, da parte di chi ha il compito di giudicare e dall’altra eliminare le stesse logiche, tramite le quali oggi potenti avvocati arrivano a disporre di tutto il potere necessario per influenzare in modo determinante, il mondo della giustizia.
Vi potrei parlare di casi concreti. Ci sono avvocati che ricoprono cariche a livello massimo nelle varie Scuole di Magistratura, ovvero nei luoghi dove si formano e si scelgono giudici e magistrati, i quali poi si ritrovano gli stessi dall’altra parte del banco quando difendono i loro clienti.
Con quale serenità d’animo un giudice potrà giudicare la causa a lui assegnata, quando di fronte si trova lo stesso avvocato che lo ha formato, scelto oppure giudicato?
Quesito 5
«Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n.195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’art.23, né possono candidarsi a loro volta”?»
E qui arriviamo all’organo dove risiede il potere più alto in magistratura, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), luogo dei più grossi scandali ed origine della mala giustizia che ha veramente minato le fondamenta dello Stato di diritto.
Già il fatto che dopo tutto quello che è successo, il Consiglio non sia stato sciolto – e tutt’ora siedono sulle stesse sedie, molti di coloro che erano coinvolti nel “Sistema-Palamara” (Vicepresidente Davide Ermini in primis) – questo ci consentirebbe di liquidare il quesito con gli stessi principi di mancanza di credibilità già ampiamente spiegati.
L’obbiettivo che una veritiera riforma del CSM dovrebbe porsi è quello di eliminare del tutto il sistema delle correnti nella magistratura. Ovvero quel “sistema” dove ogni carica viene decisa per appartenenza e fratellanza, a discapito della professionalità e che è stato e tutt’ora è la principale causa delle disgrazie del nostro sistema giudiziario.
E’ opinione palese e comune che solo un sistema che preveda il sorteggio integrale di ogni carica, possa in qualche modo ridare al popolo una speranza di poter tornare a credere nel mondo della giustizia.
Riguardo alla Riforma-Cartabia, che sta per completare il suo iter parlamentare, mi soffermo solo sul punto cruciale e più criticato di cui tutti siamo a conoscenza. Questo perché, come potrete ben comprendere, è praticamente impossibile sapere cosa si nasconde dentro l’enorme massa di carta che la compone.
Il punto più discusso è l’improcedibilità, ovvero per ogni processo che non verrà concluso entro due anni in appello ed entro uno in cassazione, il reato si riterrà prescritto.
Questo significa non più allargare le maglie della rete della giustizia ma togliere la rete definitivamente e rendere estremamente conveniente l’attività delittuosa.
Credetemi, a quel punto, per un avvocato, far passare due anni affinché il processo non si celebri e quindi rendere impunito il proprio cliente (già condannato in primo grado), sarà di una semplicità estrema.
La necessità di tale cambiamento, direi in totale spregio alla giustizia, viene presentata al popolo italiano come indispensabile, per portare a casa i tanto desiderati soldi del PNRR; per ottenere i quali “mamma-Europa”, richiederebbe una netta accelerazione delle tempistiche processuali.
È palesemente chiaro che sulla questione, siamo di fronte ad una “diversa angolazione”: è evidente come, la riforma normativa messa in atto, non assolva alla richiesta di processi più celeri, ma porti chiaramente ad impedire che gli stessi, si celebrino.
Infine, consentitemi da cittadino e non da giurista, di sottolineare due aspetti sui quali veramente chi vuole un reale cambiamento dovrebbe davvero metterci le mani.
Dell’inspiegabile conflitto in capo ad avvocati che ricoprono ruoli in magistratura ed addirittura in parlamento e nel governo, ho già fatto menzione.
C’è un incomprensibile situazione che ho toccato con mano ed è quella che riguarda la figura di giudici e magistrati così detti “onorari”.
I giudici onorari sono professionisti prestati alla giustizia, in poche parole persone che fanno il giudice oppure il Pm, pur non essendolo a tutti gli effetti.
Sono figure rappresentate da professionisti che non riuscendo a vivere del loro lavoro, vengono assunte allo scopo di alleviare i giudici togati (ordinari), della loro mole di lavoro. I loro stipendi sono molto più bassi dei giudici togati e spesso connessi allo smaltimento numerico delle cause.
Inizialmente lo scopo per cui fu introdotta questa figura, era per affidare loro e quindi smaltire, le cause più semplici; ma piano piano, ci siamo ritrovati di fronte alla realtà che molti processi, per non dire quasi tutti, oggi vengono celebrati dagli “Onorari”.
Come possiamo ben capire, problematiche quali la scarsa professionalità e la loro precarietà non contribuiscono a far sì che la giustizia venga onorata. Le probabilità di essere maggiormente condizionati da quei poteri profondi che giacciono nei tribunali, sono altissime riguardo a queste figure, la cui priorità è certamente quella di mantenere il posto di lavoro e non il fare giustizia.
Addirittura, oggi tali figure vengono utilizzate anche per celebrare i processi penali.
Arriviamo a situazioni veramente non rispettose della giustizia, come quanto è capitato recentemente a chi vi scrive.
Dopo tre anni di indagini svolte dal Pubblico ministero di ruolo, mi sono ritrovato a partecipare al processo come parte civile. Un processo importante assegnato ad giudice onorario durato un anno e mezzo con nove udienze, seguite addirittura da quattro pubblici ministeri onorari diversi.
Siamo arrivati all’assurdo che all’ultima udienza quella della discussione si è presentato un pubblico ministero onorario nuovo (fino ad allora adibito ai processi con il giudice di pace), il quale senza aver partecipato alle indagini (durate tre anni con atto di sequestro presso un istituto di credito) e nemmeno ad una udienza del processo, con motivazioni assurde e sbagliate tecnicamente, ha ribaltato completamente il lavoro fatto dal Pm togato titolare del fascicolo, chiedendo l’assoluzione per gli imputati (due alti dirigenti bancari).
Appare chiaro, che se vogliamo onorare la giustizia ed i processi, dobbiamo mettere in condizione i Pm di ruolo, ovvero coloro che svolgono le indagini e conoscono nei dettagli le carte, di attendere obbligatoriamente ai dibattimenti.
Sono estremamente convinto che una riforma della giustizia che voglia essere efficace non debba prescindere dal principio di non rendere conveniente delinquere.
Non è una questione di morale e di etica, si tratta di convenienza che bisogna spezzare. In un mondo come quello attuale dove tutti siamo abituati a pensare che l’importate è avere e non essere, è chiaro che il livello di etica e di morale ha raggiunto l’assuefazione.
Quindi, solo rendendo altamente sconveniente delinquere si può avere una speranza di riflessione in chi vive commettendo reati.