Melillo all’antimafia, come quando Antonino Meli fu preferito a Giovanni Falcone

La netta bocciatura del procuratore Gratteri a capo dell'antimafia (13 voti a 7), conferma che i nostri poteri non amano la determinazione contro le mafie e le appartenenze varie. Di Matteo: "Isolato un PM a rischio, come in passato". Ardita: "Segnale devastante".

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Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org

Che l’Italia che stiamo vivendo oggi e che abbiamo vissuto negli ultimi trenta anni, sia il frutto di quei drammatici eventi che portarono all’uccisione dei magistrati Falcone e Borsellino, all’interno di un patto che lo Stato profondo italiano e le organizzazioni mafiose siglarono con il loro sangue, è storia scritta sulle carte dei processi.

Coloro che sono più avanti con l’età, ricorderanno perfettamente quegli anni che precedettero la sua morte, quando il Giudice Falcone fu letteralmente isolato ed abbandonato dallo Stato italiano. Fu oggetto di fango e delle più immani falsità, da parte di certa stampa, alla quale si aggiunsero anche molti suoi colleghi. Tutto questo per il solo motivo di essere un uomo tutto d’un pezzo, integerrimo e quotidianamente pronto ad onorare ed essere fedele alle istituzioni democratiche ed alla giustizia.

Merce rarissima direi oggigiorno, se pensiamo al degenero generalizzato che sta vivendo la nostra giustizia. Una giustizia amministrata da personaggi affini ad un “Sistema” che sta letteralmente negli anni, conducendo il nostro paese fuori dallo stato di diritto, prerogativa imprescindibile se ancora vogliamo considerarci un paese democratico.

Falcone che da tutti era indicato come l’erede naturale di Caponnetto alla procura antimafia, proprio per le sue credenziali dimostrate sul campo, di uomo che non faceva sconti ai poteri mafiosi ed alle organizzazioni segrete a loro affiliate, fu fatto fuori da sapienti giochi di correnti interne alla magistratura, in favore dell’ex presidente della corte d’appello di Caltanissetta Antonino Meli.

Melillo all'antimafia, come quando Antonino Meli fu preferito a Giovanni Falcone
Il consigliere istruttore Antonino Meli durante le Audizioni dei magistrati Palermitani al CSM Roma 30 luglio 1988. Meli fu il giudice che il Csm preferì a Giovanni Falcone – foto Ansa/Olpix

Una candidatura dell’ultim’ora di un magistrato già all’epoca anziano ed alle soglie della pensione (aveva infatti 68 anni) – che come dimostrarono le profetiche parole di Borsellino – più funzionale all’esigenze dei poteri profondi che intendevano prendere il totale controllo del nostro paese.

Eccole le parole del fedele amico del giudice Falcone, anche lui ucciso un mese dopo – parole con le quali in una intervista a Repubblica, stigmatizzava le prime mosse di Meli alla guida dell’ufficio istruzione:

Ci sono seri tentativi per smantellare definitivamente il pool antimafia dell’ufficio istruzione e della procura della Repubblica di Palermo. Stiamo rischiando di creare un pericoloso vuoto, stiamo tornando indietro, come dieci, venti anni fa

 Adesso dubito – senza mettere in discussione la bravura, l’onestà e la competenza di Antonino Meli – che il nuovo consigliere possa, in un paio di mesi, avere acquisito una tale conoscenza del fenomeno [1]

Una polemica, quella sulla nomina di Meli, che Borsellino riprenderà fino al 25 giugno del 1992, quando durante il suo ultimo discorso pubblico, ricordò come:

il Csm con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Csm ci fece questo regalo. Gli preferì Antonino Meli

Melillo all'antimafia, come quando Antonino Meli fu preferito a Giovanni Falcone
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

La storia poi ci dimostrerà che, con l’uscita di scena di Caponnetto e l’arrivo dell’anziano magistrato a Palermo, le indagini antimafia tornarono ad essere spezzettate tra le varie procure dell’isola, come se Cosa Nostra non fosse un’organizzazione criminale unitaria.

E’ da quel momento che le lancette della storia iniziarono a correre velocissime fino al biennio delle stragi che cambiarono definitivamente il volto di questo Paese.


Pochi giorni fa la storia si è ripetuta nelle stesse stanze del CSM, dove Giovanni Melillo, 61 anni, di Foggia, capo di gabinetto di Andrea Orlando quando era ministro della Giustizia e attualmente capo della procura di Napoli, è stato preferito all’attuale paladino per eccellenza nella lotta alla mafia, Nicola Gratteri.

Una considerazione sul nome di Melillo e di quale parte del potere egli sia uomo fidato, è d’obbligo farla.

Il capo di gabinetto è il funzionario che dirige il gabinetto, vale a dire l’ufficio formato dai più stretti collaboratori di un alto funzionario politico. In pratica, l’uomo più fidato. In questo caso del ministro Andrea Orlando.

Andiamo ora a vedere chi è il ministro Andrea Orlando. Ricoprire la fondamentale carica di ministro del lavoro e delle politiche sociale nell’attuale governo-Draghi ed aver ricoperto addirittura quella di ministro della giustizia nei governi Renzi e Gentiloni, per non dire quella di vice-segretario del PD…. certifica in pieno verso quale parte del potere Andrea Orlando sia affine. Ovvero a quel marcato potere euro-atlantista che ha gestito e tutt’ora gestisce il nostro paese, secondo una precisa linea politica di “saccheggio”, da dopo le stragi degli anni 90′.

Ricordo a sostegno della tesi e per i meno attenti, che nella formazione del governo Renzi, quest’ultimo per uso e consumo personale (era più che certo della bocciatura da parte dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), propose come ministro della giustizia proprio Nicola Gratteri, che ricevette un istantaneo “due di picche” dal Quirinale, a vantaggio appunto del più gradito e funzionale Andrea Orlando.

Insomma, la scelta di Melillo a discapito di Gratteri, non possiamo certo definirla un cambiamento radicale!

Del pericolo di una scelta in linea con l’andamento della gestione degli ultimi trenta anni della nostra Giustizia, causa del disastro, oggi messo in piazza dai vari scandali (sistema-Palamara e Loggia Ungheria, su tutti), se ne sono resi perfettamente conto Sebastiano Ardita Nino Di Matteo, due dei più autorevoli componenti del CSM, che hanno votato per Nicola Gratteri.

Infatti durante il dibattito in plenum, i due si sono espressi con accorati interventi. L’ex pm del processo Trattativa ha ricordato che la nomina del procuratore Antimafia è

una scelta di politica giudiziaria alta, che non deve essere condizionata da giochi di potere di nessun tipo, né da calcoli opportunistici”, evidenziando la “maggiore e più spiccata idoneità allo scopo del procuratore Gratteri, il più idoneo a dare rinnovato slancio alla Dna. Si tratta di uno dei magistrati più esposti al rischio”, ha sottolineato di Matteo, “sono state acquisiste notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto. In questa situazione una scelta eventualmente diversa suonerebbe inevitabilmente come una bocciatura del dottor Gratteri e non verrebbe compresa da quella parte di opinione pubblica ancora sensibile al tema della lotta alla mafia e agli occhi dei mafiosi risulterebbe come una presa di distanza istituzionale da un magistrato così esposto.

Dobbiamo avvertire la responsabilità” , ha avvertito Di Matteo, “di non cadere negli errori che in passato, troppe volte, hanno tragicamente marchiato le scelte del Csm in tema di lotta alla mafia e che in certi casi hanno creato quelle condizioni di isolamento istituzionale che hanno costituito il terreno più fertile per omicidi e stragi [2]

Il riferimento che Di Matteo con queste parole fa al voto con cui, nel 1988, lo stesso plenum preferì Antonino Meli a Giovanni Falcone per succedere ad Antonino Caponnetto nel ruolo di consigliere istruttore della Procura di Palermo, è più che esplicito.

Ed a ruota il concetto è stato ribadito dal consigliere Ardita:

È come se la storia non ci avesse insegnato nulla. La tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento. L’esclusione di Gratteri sarebbe non solo la bocciatura del suo impegno antimafia, ma un segnale devastante a tutto l’apparato istituzionale e al movimento culturale antimafia

[2 ibidem]

Analizzando lo scrutinio arriva anche la stessa conferma di sempre, sulla trasversalità del potere che opera nel nostro paese; elemento che caratterizza in modo marcato le organizzazioni segrete e che ci conferma (nonostante la gravità delle commistioni dei vari poteri, accertate dai recenti scandali), l’ottimo stato di salute del “Sistema” portato avanti per anni dal reo-confesso Palamara.

Esponenti dei vari partiti e laici si sono letteralmente divisi e contrapposti nel voto in completo spregio dei loro ideali e la corrente Unicost, un tempo gestita da Palamara, votando per il procuratore di Napoli, parrebbe non aver neanche provato a lavare i panni sporchi in famiglia.

A conferma che il potere sceglie sempre bene i suoi uomini, anche due delle più alte cariche in magistratura, ossia i due capi della Cassazione – il primo presidente Pietro Curzio e il Pg Giovanni Salvi – hanno scelto la linea della conservazione votando per Melillo.

Stessa direzione (e ci saremmo meravigliati del contrario), è stata presa anche dal Vice-presidente del CSM Davide Ermini, esponente del Giglio, che tutti noi ricordiamo eletto al trono più alto della magistratura (per diretta voce di Matteo Renzi a Quarta Repubblica), tramite le trame profonde che si intavolavano durante le ormai famose cene all’Hotel Champagne.

Quindi come vedete, come se nulla fosse accaduto, il potere molto velocemente, pezzo dopo pezzo, sta ricomponendo il “puzzle” del Sistema, rimpiazzando tutte le caselle dei ruoli più importanti in magistratura. Per farlo, non si fa specie ad usare gli stessi criteri di sempre: appartenenza e funzionalità al sistema stesso – in spregio alla professionalità ed all’indipendenza, che paiono sempre più essere considerate un intralcio.

A questo punto, per completare il “puzzle”, parrebbe mancare solo la casella della Procura fiorentina, attualmente vacante dopo il recentissimo e probabilmente indotto, abbandono da parte del procuratore Creazzo – il quale non appena ha toccato Renzi e famiglia, parrebbe essersi trasformato improvvisamente in un molestatore dell’altro sesso che si aggira negli ascensori degli alberghi, durante i meeting collegiali.

Sarebbe da dire: “ci vorrebbe Gratteri”…. chissà mai che a volte Nostro Signore ci sorprenda….! magari dall’alto dei cieli, l’opera dell’attuale procuratore di Catanzaro, potrebbe essere ritenuta più urgente nella decaduta Firenze che all’antimafia.

Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org

NOTE

[1] Antonino Meli morto, fu scelto al posto di Falcone per guidare i pm di Palermo – Il Fatto Quotidiano

[2] Antimafia, Melillo è il nuovo procuratore: battuto Gratteri. Di Matteo: “Isolato un pm a rischio, come in passato”. Ardita: “Segnale devastante” – Il Fatto Quotidiano

 

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