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La Redazione

 

L’Ucraina e BlackRock: too important to fail?

I conti non tornano, e se non tornano a BlackRock possono essere guai seri
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A cura di Franco Ferre
Il 10 Luglio 2024
18686 Views

Che vi siano enti economici privati la cui dimensione e rilevanza fa sì che risultino più importanti di molti stati nazionali è cosa risaputa. Altrettanto risaputo è che, tra questi enti economici, quello forse più influente di tutti sia molto probabilmente BlackRock, il più grande fondo di investimento al mondo, con circa 9 trilioni di dollari gestiti, il cui numero uno è il famigerato Larry Fink, fondatore e proprietario del Fondo stesso dal 1988.

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Il quale Fink non ha mancato, in passato, di far sapere apertamente al mondo quali fossero i suoi desiderata, che, ovviamente, erano i desiderata di BlackRock, i quali venivano poi tradotti nei mesi successivi in precise strategie di investimento o disinvestimento del Fondo, che così finiva per determinare, con le sue mille propaggini in tutti i principali settori strategici, il reale andamento di gran parte dei mercati internazionali. Dettaglio non secondario: BlackRock, non essendo strettamente una banca, non è soggetta alla vigilanza, per quanto blanda, di nessuno (ad esempio, della Fed) e quando qualcuno, dopo la crisi del 2008, cercò di includere i Fondi tra gli Enti sottoposti a vigilanza, Mr.Fink (ed altri suoi simili) si opposero con efficacia. Anche perché, come ricostruisce dettagliatamente William Engdahl nell’inchiesta del 2021 tradotta dal sito Renovatio21 – BlackRock attua da sempre una capillare politica di “porte girevoli” tra i ruoli privati della propria struttura e alcune fra le principali cariche federali, il che garantisce che, quand’anche si verifichi di tanto in tanto qualche spinta verso un maggior controllo, ci siano sempre nei posti chiave degli Enti federali le persone giuste (ex BlackRock o in predicato di finirci) per fermarle.

E tutto ciò, senza contare l’influenza obliqua e preventiva esercitata dalle sue dichiarazioni sugli orientamenti di tutti i maggiori operatori, governativi e non. Come quando, una manciata di anni fa, Larry Fink fece sapere che, per lui, le uniche iniziative su cui avrebbe considerato strategico investire sarebbero stati in attività in un modo o nell’altro collegabili al variegato universo ESG (Environmental, Social & Governance). Da lì in avanti, quello che è successo è noto a tutti, con il team di gestori a distribuire patenti di conformità a destra e sinistra (ma solo alle aziende in cui BlackRock aveva investito) e i governi, nazionali e sovranazionali, a gettare il cuore (e i cittadini) oltre l’ostacolo, emanando normative sempre più stringenti e irrealistiche sui temi correlati.

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Zelensky e Larry Fink ai tempi della conclusione dell’accordo (dicembre 2022)

 

Bene (si fa per dire). Nei mesi scorsi l’ineffabile signor Fink ha investito, insieme ad altri meno influenti di lui, in modo consistente sull’Ucraina, vista come sostanziale terra di conquista finanziaria, sia per la crescente entità di denaro che vi affluisce a seguito degli aiuti al mantenimento del fronte militare anti-russo, sia per i futuri finanziamenti alla ricostruzione che seguirà la – sperabilmente vicina, ma realisticamente lontana – fine della guerra. E adesso comincia a stufarsi di attendere quei ritorni economici che, evidentemente, sono stati fatti balenare davanti ai suoi occhi al momento di entrare nell’iniziativa. Nella prima metà di giugno, infatti, Zelensky e le principali autorità ucraine hanno incontrato un gruppo di investitori internazionali, tra cui BlackRock, che avevano investito complessivamente circa 20 miliardi di dollari nel paese e che ancora non vedono alcun ritorno del loro investimento, anzi. L’incontro ha avuto luogo poiché il 1 agosto prossimo sarebbe previsto il pagamento di una prima tranche di dividendi, ma in realtà, le fonti parlano di una richiesta di rinegoziazione dei termini, con lo spostamento in avanti dei pagamenti per una parte dell’investimento ed una sostanziale rinuncia alla parte restante dei soldi investiti. Si parla di un taglio del 60% della cifra da rimborsare con rinegoziazione della scadenza al 2040 per il resto, a fronte di una controfferta di Fink e soci di un haircut al massimo del 20%.

In pratica: scordatevi di guadagnarci sopra. Fink e gli altri capocordata del gruppo di investitori stranieri (tra cui la francese Amundi) hanno pragmaticamente deciso di non decidere, uscendo dagli incontri con qualche fumosa frase di circostanza dove si adombra la decisione di deviare gli investimenti da alcuni settori per concentrarli su altri “più rilevanti e di maggiore impatto” (sarebbe interessante capire in che senso o per chi), magari cercando di non farli finire direttamente in tasca agli oligarchi vicini al premier ucraino, come pare si sia apertamente detto durante il vertice. Il pericolo – hanno sottolineato gli investitori – è che il mancato pagamento – totale o parziale – delle somme in scadenza, possa scatenare una fuga dei sub-investitori e un sostanziale default del paese.

Il primo agosto non è lontano: interverrà qualche “cavaliere bianco” a garantire il debito ucraino? Difficile pensare che Zelensky sia lasciato alla mercè dei mercati: troppo grande è l’investimento dell’Occidente in questa crisi dal punto di vista politico, non solo militare e già salgono appelli “caritatevoli” per domandare un intervento statale, ad esempio quello del Regno Unito, per evitare che investitori privati “senza scrupoli” (ma quando mai ne hanno avuti, gli investitori come BlackRock?) possano mandare in default l’Ucraina. Magari il cavaliere non sarà bianco, e nemmeno a stelle e strisce, probabilmente, ma inglese o blu a stelline gialle, ma, si sa, “tutto fa, come disse l’uomo che orinava a mare” (cit.IlVernacoliere).

E che il sanguinoso (e redditizio) teatrino continui.

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Aspirante ex-bancario, milanese, inutilmente laureato in economia, ristudio tutto da capo da una decina d'anni.
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