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La Redazione

 

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L’economia della Grande Sostituzione

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A cura di Markus
Il 11 Dicembre 2018
1136 Views

GUILLAUME DUROCHER
unz.com

Le società moderne sono caratterizzate da una vita tranquilla e da una cultura sempre più femminilizzata e infantilizzata. Il risultato è che l’uomo moderno non è più motivato dalla spiritualità o dall’onore, ma semplicemente da pulsioni più basse, come il reddito garantito, la sicurezza e la ricerca della comodità.

La grande maggioranza delle persone, e, estendendo il concetto, quasi tutte le società, stanno cercando di creare sicurezza e conforto per sé stesse. A questo si arriva attraverso un’organizzazione sociale stabile e regolare e con la produzione e la distribuzione di beni e servizi.

La nostra enorme ricchezza materiale (cibo, alloggi, automobili, elettrodomestici, elettronica di consumo, software …) viene creata da gruppi relativamente piccoli di persone intellettualmente preparate e dai lavoratori alle loro dipendenze. Lo stato moderno poi ridistribuisce questa ricchezza attraverso una straordinaria varietà di schemi (il sistema dell’”educazione pubblica”, la contrattazione sindacale, l’iper-regolamentazione del lavoro, il welfare su scala nazionale, i sussidi per i disoccupati, gli anziani e i poveri, ecc.) in linea con i valori della medesima società (in che misura vengono valutati il benessere sociale e l’uguaglianza in rapporto alla libertà?). Questi valori, a loro volta, sono in gran parte guidati dal grado di empatia e di fiducia sociale della società.

Credo che questo semplice modello serva a chiarire molte delle diversità che caratterizzano le varie economie e i sistemi sociali di tutto il mondo. La maggior parte delle società [mondiali] sono, secondo gli standard del Primo Mondo, società fallite, che hanno insufficienti capacità intellettive, fiducia sociale e/o empatia per riuscire a produrre il benessere materiale che vorrebbero.

Panglossisti come Stephen Pinker e The Economist sostengono che il mondo sta andando sempre meglio, quindi non abbiamo nulla di cui preoccuparci. Ed è anche vero che in tutto il mondo vi è crescita economica e gli standard di vita migliorano. Il punto importante che però essi trascurano è che gli stimoli per questa crescita non sono endogeni alle società del Terzo Mondo. Il fatto è che non c’è quasi mai una piena convergenza tra le nazioni o fra i gruppi razziali all’interno di una medesima società.

Al contrario, la crescita economica esiste per le innovazioni tecnologiche realizzate da una porzione molto piccola dell’umanità, in particolare in Nord America, nell’Europa Occidentale e nell’Asia Orientale. Questo si vede nei prodotti che usiamo ogni giorno: il tuo computer Apple è stato forse prodotto a Shenzhen, in Cina, mentre i tuoi software e i siti web più frequentati sono stati creati nella Silicon Valley. Ciò si riflette nella pubblicazione degli articoli scientifici, un settore che è dominato dall’Asia Occidentale ed Orientale. L’ateo militante Richard Dawkins ha sottolineato come il mondo islamico non dia praticamente nessun contributo in termini di scoperte scientifiche. Dal momento che l’obbiettivo di Dawkins è quello di demonizzare la religione e, allo stesso tempo, mettere in secondo piano le ben più importanti problematiche che riguardano razza e genetica,  omette volontariamente il fatto che il Mondo Nero contribuisce anche meno.

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Pubblicazioni scientifiche per nazione – 2011. Fonte

 

Le innovazioni tecnologiche del Primo Mondo, prodotte in effetti da una piccola élite all’interno di questi paesi, a loro volta, stimolano la crescita economica in patria e all’estero attraverso la diffusione delle diverse tecnologie. C’è sempre una convergenza parziale, dal momento che queste tecnologie si diffondono poi nel Secondo e nel Terzo Mondo. Questa convergenza è parziale perché, dal momento  queste società sono prive delle capacità intellettuali e della fiducia sociale per creare le suddette tecnologie,  non hanno neanche le capacità per organizzarsi in modo efficace per  chiudere completamente il gap socio-economico che le separa dal Primo Mondo.

La diffusione delle tecnologie del Primo Mondo all’interno di società più tradizionali o arretrate, che non avrebbero mai potuto realizzarle, può certamente avere effetti nuovi. Pensate alla guerra tribale del Ciad aggiornata con pick-up Toyota, AK47 e lanciarazzi. Leon Trotsky, pensando al rapporto della Russia con l’Occidente, lo aveva definito uno “sviluppo combinato e disuguale”.

Anche le nazioni del mondo ricche e potenti hanno l’abitudine di cercare di imporre ad altri paesi le loro norme politiche liberaldemocratiche. Tuttavia, questo porta spesso, più di ogni altra cosa, al caos. La competizione democratica e il pluralismo politico sono spesso la ricetta del caos per quei paesi che non hanno una tradizione di pratiche del genere. In particolare, nei paesi multietnici un regime moderato di autorità stabile e dispotica è spesso l’unica cosa che riesce salvare la società dal caos.

L’economia della “globalizzazione alta” comporta l’abolizione dei confini nazionali e la convergenza degli standard sociali, in modo da massimizzare l’efficienza economica. Ciò dovrebbe portare ad un ulteriore aumento della ricchezza complessiva, anche se non mancherebbero i problemi: aumento della sperequazione economica (riduzione dei salari, ottimizzazione dei paradisi fiscali), fallimento delle imprese locali e delocalizzazione dei posti di lavoro. Peggio di tutto, il libero scambio riduce la sovranità nazionale (ecco perché dei repubblicani classici come Rousseau e Jefferson erano protezionisti autarchici, e ritenevano l’indipendenza un prerequisito all’autogoverno) e aumenta il potere della proverbiale ” piccola cricca internazionale senza radici “, della cerchia Davos, delle varie società multinazionali della Silicon Valley, di Wall Street, ecc.

Tuttavia, la Grande Sostituzione è guidata sopratutto dalla “globalizzazione bassa“, ovvero dalle aspirazioni dei cinque miliardi di esseri umani che vivono, secondo gli standard del Primo Mondo, in società fallite e desiderano una vita più confortevole per sé stessi e per i propri figli. Queste persone hanno un certo realismo: sapendo che il loro paese non convergerà presto, o forse mai, a decine di milioni scelgono, in maniera assolutamente ragionevole (secondo il loro punto di vista) di trasferirsi nelle più prospere e generose società dell’Occidente.

Queste dinamiche funzionano ovunque e a tutti i livelli della società. Dovunque, gli individui più preparati intellettualmente (medici, ingegneri e così via) scelgono di andare in Occidente, dove possono godere di salari migliori, di un governo migliore e possono entrare a far parte di istituzioni più prestigiose. Questa fuga di cervelli fa arretrare il paese d’origine (che spesso non ha molto margine di manovra su cui poter contare) ma contribuisce anche ad un’ulteriore miglioramento dell’Occidente. Un cubano o un bengalese intelligente non deve per forza languire nel suo paese d’origine, dove le sue competenze potrebbero, nel migliore dei casi, dare un piccolo contributo all’ordine locale, ma può lavorare per Google, al CERN o in altre organizzazioni, contribuendo così al progresso e alla prosperità mondiali.

In realtà,  viene influenzata la maggior parte dei paesi, compresi quelli che prima ne erano immuni. I francesi intelligenti vanno dove le economie crescono e la tassazione non è vessatoria, e si trasferiscono a Londra, in America, o anche negli Stati del Golfo e a Singapore. La Cina, nonostante abbia salari medi bassi, sta già spogliando Taiwan del suo capitale umano, allettando gli uomini d’affari a trasferirsi sulla terraferma (uno sviluppo che sembrerebbe portare alla stagnazione economica dell’isola). L’Europa periferica, in generale, sia quella del sud che dell’est, è sottoposta ad un fuga di cervelli ad un ritmo veramente allarmante, i giovani più preparati sono attirati dall’Europa nord-occidentale, in particolare dalla Germania e dalla Gran Bretagna (sebbene la Brexit sembri rallentare questo processo).

Il risultato della fuga mondiale dei cervelli, contrapposta alla teoria egualitaria della convergenza universale, è quello di aumentare e di cristallizzare sempre più le intrinseche diseguaglianze fra le nazioni.

Naturalmente, la grande maggioranza delle persone che si trasferiscono in Occidente non sono professionalmente preparate, istruite o particolarmente dotate. Loro e i loro figli rimpiazzano gli autoctoni, sostituiscono la loro cultura,  sfruttano in modo sproporzionato l’assistenza pubblica e delinquono. Possiamo vedere, guardando al contro-esempio del Giappone, quanto sarebbero state pacifiche e socialmente armoniose le società occidentali se non avessero accettato decine di milioni di immigrati ispanici, africani e islamici.

Tuttavia, il fatto forse sorprendente è che, nel complesso, il danno prodotto dagli immigrati non qualificati non ha, fino ad ora, minato il dinamismo dei paesi ospitanti. Le nazioni economicamente vivaci e in crescita in Europa continuano ad essere quelle del nord-ovest, che hanno accolto la maggior parte degli immigrati del Terzo Mondo (insieme a tanti altri Europei), mentre l’Europa meridionale, in particolare, ristagna e declina, trovandosi di fronte al doppio smacco dell’emigrazione e dei tassi di natalità catastroficamente bassi. I paesi anglosassoni se la cavano un po’ meglio, dal momento che sono più bravi ad accaparrarsi i cervelli in fuga delle altre nazioni.

Il punto è che non ci sono rotture economiche in questa linea di tendenza. Apparentemente, avere alcuni ingegneri indiani ben preparati compensa (in termini di dinamismo economico nazionale e di innovazione) una mezza dozzina di mediocri lavoratori ispanici che usufruiscono dei sussidi statali.

Ovviamente, nel lungo periodo, queste tendenze sono insostenibili. Tuttavia, è molto chiaro quando e quale sarà il prossimo punto di equilibrio.

Alla fine, non ci saranno più cervelli da allettare con l’emigrazione e le persone intelligenti di tutto il mondo smetteranno di fare figli. Ciò potrebbe portare allo scenario del “Malthusianesimo industriale” di Anatoly Karlin, sul ritorno di una stagnazione economica permanente.

Ci saranno sempre pressioni sulle popolazioni del Terzo-Mondo per indurle ad andare in Occidente, dal momento che è improbabile che le loro società possano diventare confortevoli come le nostre. Se gli Occidentali vogliono conservare le loro terre, dovrà esserci una contro-pressione cosciente e concertata, che impedisca alle persone di arrivare, costi quel che costi. Una cosa del genere è particolarmente necessaria, dal momento che le Nazioni Unite stimano che la popolazione dell’Africa raggiungerà, in questo secolo, la catastrofica cifra di 4 miliardi di individui.

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I libertari hanno, di fatto, nei confronti dell’immigrazione un approccio elitario e cognitivo. Se il welfare venisse eliminato e le imprese incoraggiate ad assumere solo in base all’efficienza economica, moltissimi fruitori di welfare non qualificati non si trasferebbero in Occidente. In ogni caso, i libertari trascurano il fatto che gli immigrati che tendono ad arrivare sono sopratutto futuri socialisti, che voteranno per avere “la paghetta” dal governo. In questo modo, il libertarianismo dei confini aperti si scava la fossa.

Se la popolazione bianca diventasse consapevole delle realtà cognitive, ereditarie e razziali, potremmo anche pensare che i bianchi intelligenti e vivaci in Occidente metterebbero al mondo più figli. Se la loro fertilità dovesse superare quella altrui, le nostre società continuerebbero a rinnovarsi, a crescere economicamente e ad essere guidate (come in America Latina) da una classe dirigente essenzialmente bianca. È anche probabile che la nuova generazione di bianchi possa essere più consapevole dei problemi importanti, come la questione del nepotismo etnico ebraico e del ruolo delle organizzazioni ebraiche nel promuovere il multiculturalismo e nell’attaccare l’attivismo etnico occidentale. In qualsiasi stato bianco che dovesse racccogliere l’eredità degli Stati Uniti, ci sarebbe una restaurazione del governo dei bianchi, dal momento che, in pratica, i bianchi americani non sono più culturalmente o politicamente sovrani e sono stati privati ​​dei loro diritti.

A livello materiale (a parte alcune calamità, come un catastrofico cambiamento climatico o l’esaurimento delle risorse naturali) le tendenze attuali potrebbero anche dimostrarsi durevoli sul lungo periodo. Il fatto è che la maggior parte degli immigrati in Occidente sono moderatamente funzionali (ispanici, mediorientali e nordafricani sono di intelligenza nella media) e provengono da società che sono state in grado di sostenere un certo grado di civiltà. Il loro impatto negativo è ulteriormente attenuato dalle innovazioni tecnologiche globali, dal nucleo degli immigrati più preparati culturalmente e, nel caso dell’Europa Nord-Occidentale, dagli immigrati intra-europei.

A livello aneddotico, questa realtà è visibile nel fatto che la maggior parte delle “città globali” (come Londra, Washington, New York, Parigi, Berlino, ecc.) sono effettivamente vivibili, specialmente se si hanno un po ‘di soldi. Di fatto, diventano alle volte spesso ancora più vivibili nel momento in cui le minoranze più problematiche vengono allontanate tramite la gentrificazione [dei loro quartieri].

Si potrebbe pensare che l’ascesa di maggioranze non bianche potrebbe portare ad un cambiamento decisivo. Tuttavia, gli esempi del Sud Africa e dell’America Latina dimostrano che non è questo il caso. Il Sudafrica bianco, per quanto estremamente isolato e sottoposto a forti pressioni, si è arreso ad una maggioranza nera, il cui dominio potrebbe anche portare al collasso del paese. Il Messico e il Brasile, al contrario, mostrano come paesi di razza mista, con maggioranze più ridotte e moderatamente funzionali, possono continuare ad esistere per secoli, sebbene con continue violenze e ricorrenti instabilità.

Gli scenari catastrofici delle guerre razziali (Haiti 1804, Algeria 1962, Zimbabwe) sono relativamente rari e si verificano quando i bianchi, in seguito ad un conflitto armato, vengono ridotti ad una piccola minoranza. Si potrebbe immaginare che le future maggioranze colorate dell’Occidente potrebbero votare per un disastro socialista in stile venezuelano, ma siamo ancora molto lontani da un’eventualità del genere.

Il fatto è che le persone di colore che vengono in Occidente lo fanno in veste di migranti economici, non come conquistatori, nonostante la retorica di molti nazionalisti ed islamisti. Una parte di questa immigrazione è produttiva, molta è parassitaria, ma in maggioranza (sottolineo: in maggioranza) non è predatoria. Perciò non intendono uccidere la gallina dalle uova d’oro (anche se potrebbero non essere in grado di aiutarsi da soli).

Nei paesi anglosassoni diversi dall’America, i gruppi di minoranza sono troppo diversi tra loro per formare un blocco omogeneo che si opponga alla maggioranza bianca. Nell’Europa continentale, le future maggioranze afro-islamiche potrebbero rivelarsi più organizzate ed aggressive, forse in modo fatale. In America, gli stati a maggioranza ispanica potrebbero decidere per un’identità etno-linguistica separata e la futura minoranza bianca potrebbe, per principio, onore e interesse personale, decidere di separarsi da una nazione con un rapporto maggioranza-minoranza anomalo.

Non dico che questo sia un futuro attraente. Se volete un ritratto del futuro post-europeo, immaginate un Mestizo obeso in un SUV, mentre va al cinema dove proiettano The Fast & the Furious XVII (l’elenco dei film con i maggiori incassi di tutti i tempi è la prova definitiva e decisiva che questo scenario di idiocrazia è a buon punto).

 

Per quelli di noi che, come me, vorrebbero bloccare completamente l’immigrazione non europea verso paesi occidentali e aumentare i tassi di natalità degli indigeni europei, tutto questo fa capire come le pressioni economiche non saranno sufficienti. La battaglia delle idee sarà la cosa più importante. I giovani europei si stanno costantemente allontanando dai media mainstream e si aggiornano da Internet e dai social media.

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L’abolizione dei confini significa che diverse nazioni stanno perdendo le loro caratteristiche. Una cosa del genere è, in parte, inevitabile di fronte alla globalizzazione economica e culturale, dal momento che tutti consumiamo gli stessi prodotti, abbiamo standard di vita sempre più simili e (spesso) guardiamo gli stessi spettacoli televisivi giudeo-americani.

C’è un aspetto triste in tutto questo. Le nazioni europee, per esempio, stanno perdendo molte delle loro specificità uniche. Tutte le nazioni stanno convergendo imperfettamente e in modo non uniforme verso un unico tipo di società, la “nazione” che diventa unicamente un insieme linguistico-politico, una lingua e uno stato che rappresentano una sorta di dosso rallentatore o, se se volete, un ritmo o un tipo particolare di convergenza. Le élite nazionali, quando non se ne vanno in paesi più prosperi, invidiano ed emulano in modo naturale gli stili di vita più prestigiosi ed alla moda degli altri paesi. Ho notato che il ritmo con cui i francesi di sinistra stanno scimmiottando le loro controparti anglo-americane si è accelerato, ora sono solo un anno o due indietro, in particolare nel campo dell’attivismo razziale anti-bianco, nei capelli dai colori vivaci e nel modo di parlare vuoto e post-moderno. I neri di lingua francese avevano un modo di parlare razziale abbastanza caratteristico, la cosiddetta Négritudine, ma ora stanno importando gli anglo-americanismi.

Paradossalmente, l’omogeneizzazione culturale ed economica non può che far aumentare l’importanza della razza. Cos’è una nazione? Un gruppo etnico-linguistico che rappresenta anche una società particolare. Ogni nazione ha una particolare eredità genetica che, secondo Robert Plomin, dà a tutti noi, individualmente e collettivamente, determinate caratteristiche. Queste inclinazioni e queste traiettorie storiche contingenti producono una cultura nazionale predominante. Geni e cultura insieme formano un carattere nazionale. Dal momento che le differenze culturali ed istituzionali vengono appianate, le differenze genetiche/razziali fra gruppi etnici e nazioni stanno diventando sempre più evidenti, anche all’interno dell’Europa.

Anche se, personalmente, sono pessimista sul ritorno a breve della virilità in Occidente, le generazioni più giovani saranno di certo esposte ad idee tradizionaliste, nazionaliste e razziali e non avranno gli stessi tabù e le stesse pastoie mentali che hanno caratterizzato la generazione del dopoguerra. La stretta mortale dei media mainstream sul processo politico è già stata infranta, come si è visto con la Brexit, Trump, Bolsonaro e Salvini. Questi sono solo il riscaldamento. Nel lungo termine, l’eliminazione, da parte della globalizzazione, delle frontiere e delle culture nazionali darà paradossalmente maggior risalto a queste ultime, all’irriducibile differenza tra gli uomini: la razza. La coscienza razziale europea e persino pan-europea, di cui stiamo assistendo ai primi vagiti, in queste circostanze non può che crescere.

Guillaume Durocher

Fonte: unz.com
Link: https://www.unz.com/gdurocher/the-economics-of-the-great-replacement/
07.12.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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