L’altra America (Le tre occasioni perdute per evitare la Terza Guerra Mondiale)

Si è risvegliato il mostro degli anni bui della Guerra Fredda, ma questa volta è più cattivo

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Matthew Ehret
strategic-culture.org

Sembra che il mondo di oggi stia velocemente andando fuori controllo.

Il timore di uno scontro nucleare tra la Russia e la NATO ha raggiunto il culmine e si è risvegliato un qualcosa di ancor peggiore di quanto avevamo visto negli anni bui della Guerra Fredda.

Una strana forma di isteria ha travolto l’Occidente collettivo, mentre il Congresso degli Stati Uniti invia miliardi di dollari di aiuti letali al regime di Kiev, il quale, secondo il sorridente senatore Lindsey Graham, “combatterà la Russia fino all’ultimo Ucraino”.

Si tratta dello stesso Congresso americano che, senza alcun ritegno, rifornisce di armi i reparti dell’esercito ucraino infestati di nazisti e anche gruppi affiliati all’ISIS in Siria e in Iraq. Lo stesso Congresso che aveva deciso di dichiarare la Russia uno “Stato sostenitore del terrorismo” quando, il 27 luglio, il Senato aveva votato all’unanimità a tal riguardo e la Camera dei Rappresentanti aveva seguito a ruota, con una risoluzione sostenuta da un ampio consenso bipartisan da parte di entrambi i partiti.

Nel frattempo, a Bruxelles e tra i Paesi dell’alleanza Five Eyes aumentano le pressioni per espellere il presidente russo dal G20, mentre cresce la glorificazione degli “eroi” nazisti in numerose nazioni dell’ex Unione Sovietica, tra cui la Lettonia, l’Estonia, la Lituania, ecc… In pratica, tutte quelle nazioni che, nel corso degli ultimi due decenni, erano state assorbite dalla NATO.

Parlare di un Armageddon nucleare è diventato ordinaria amministrazione e sembra che nessun politico neoliberista di un certo peso prenda in considerazione l’idea di sanare la frattura tra Est e Ovest.

Cosa sta succedendo? Il mondo è impazzito?

Come mai certi personaggi di spicco dell’Occidente “libero e democratico” sono diventati così ciechi persino di fronte ai loro stessi interessi strategici, al punto da correre volontariamente il rischio di far divampare il fuoco termonucleare in tutto il mondo, piuttosto che porre fine alla politica della “NATO globale” e dell’unipolarismo internazionale?

Questa crisi artificiale, così come tutte le crisi volute dall’uomo, può essere scongiurata.

È necessario, però, che sia i Russi che gli Americani si rendano conto di che pasta sono fatte gli attori che stanno spingendo il mondo verso lo sterminio.

Solo così, infatti, potremmo rivalutare l’importanza di restituire agli Stati Uniti le loro tradizioni costituzionali e, allo stesso tempo, creare le basi di una nuova architettura di sicurezza di cui il mondo ha disperatamente bisogno per sopravvivere ai decenni che restano del XXI secolo.

Per intraprendere il cammino necessario a fronteggiare l’attuale tempesta è necessario riesaminare un po’ di storia moderna, a partire dal crollo dell’Unione Sovietica e dai tre momenti salienti che, per poco, non avevano visto l’umanità andare incontro ad una nuova era di mutua cooperazione, basata su un’alleanza strategica tra Stati Uniti e Russia.

1988-1992: viene sovvertito il primo tentativo per un’era di cooperazione multipolare

Nel 1988 era sempre più lampante come il sistema di distruzione mutua assicurata fosse agli sgoccioli.

I rigidi sistemi economici del blocco sovietico erano incapaci di introdurre le innovazioni tecnologiche necessarie all’adozione di un sistema economico civile che avrebbe scongiurato il crollo generale.

Tutti conoscono i giorni bui della Perestrojka e il saccheggio degli anni Novanta compiuto dall’Occidente… ma pochi sanno che i tempi erano maturi per una nuova era di cooperazione e abbondanza, guidata da forze interne all’intellighenzia americana e dalle loro controparti russe che avevano visto in questa crisi l’opportunità di deporre le armi.

Queste personalità avevano cercato di costruire una nuova architettura fondata sulla crescita reciproca, su misure atte a rafforzare la fiducia e sul progresso scientifico.

Per molti anni si erano tenuti incontri segreti tra le figure di spicco della nuova amministrazione Gorbaciov e le loro controparti americane dell’amministrazione Reagan, persino con i leader industriali tedeschi guidati dal presidente della Deutsche Bank, Alfred Herrhausen. È probabile che questi statisti anti-malthusiani non si fossero pienamente resi conto delle forze del male che avevano di fronte, ma avevano comunque cercato di lavorare sodo per porre fine alla Guerra Fredda ed evitare di far cadere la Russia nell’oblio, cercando invece una nuova sinergia di cooperazione industriale e scientifica tra Est e Ovest.

La storia di questi propositi e della possibilità di un’epoca di cooperazione basata sul progresso industriale su larga scala viene raccontata sia nella recente autobiografia del dottor Edward Lozansky dell’American University di Mosca che nel documentario del 2008 The Lost Chance of 1989, prodotto dallo Schiller Institute.

Alcuni di questi esponenti politici avevano lavorato molto all’elaborazione di piani di sviluppo da miliardi di dollari in investimenti destinati all’ammodernamento di tutti i settori dell’economia sovietica, che prevedevano grandi opere infrastrutturali e di crescita industriale.

Nonostante le numerose promesse di cooperazione Est-Ovest, lo scenario degli anni Novanta mostrava una Russia sanguinante che nuotava tra gli squali.

Personaggi come Strobe Talbott e Jeffrey Sachs avevano avuto il compito di ridurre in pezzi il governo russo e il suo popolo dal punto di vista economico, psicologico e morale, grazie ad un programma (piuttosto una terapia d’urto) supervisionato dai peggiori elementi del Fondo Monetario Internazionale, della City di Londra e degli utopisti di Washington.

Mentre le promesse fatte dall’allora Segretario di Stato James Baker di “non spostare la NATO di un solo centimetro rispetto alla sua configurazione del 1992” continuavano ad essere infrante, erano state revocate anche le garanzie di sicurezza di base. Nel frattempo, la NATO, da alleanza difensiva della Guerra Fredda si trasformava in una nuova struttura offensiva mondiale che inglobava tutte le ex nazioni sovietiche su cui riusciva a mettere le mani.

Al posto della collaborazione, si era iniziato a discutere di un Nuovo Ordine Mondiale e nel dibattito politico occidentale aveva iniziato a farsi strada la teoria della “fine della storia”.

Anche l’allora senatore Joe Biden non aveva tardato ad entrare in azione scrivendo nel 1992 un articolo dal titolo “How I learned love the New World Order” (Come ho imparato ad amare il Nuovo Ordine Mondiale).

Le nazioni che avevano osato resistere a questo Nuovo Ordine Mondiale erano state rapidamente riportate sulla “giusta via” con le bombe e la balcanizzazione.

Dietro l’illusione della vittoria dell’America sul comunismo il marciume cresceva sempre di più, mentre le politiche post-industriali degli anni Settanta e Ottanta trasformavano la struttura industriale americana, un tempo solida, in un’inutile economia di servizi, non più in grado di reggersi in piedi da sola, di essere autosufficiente e persino di mantenere le infrastrutture di base.

Mentre con Clinton aumentava la povertà, l’uso di droghe e la criminalità, si assisteva ad un trasferimento della ricchezza che vedeva i piccoli e medi imprenditori americani, già in via di estinzione, spazzati via dai nuovi colossi multinazionali che, grazie alla bonanza della deregolamentazione finanziaria dell’Accordo nordamericano di libero commercio e del Trattato di Maastricht, si accaparravano tutto quello che finiva loro tra le mani. In seguito alla firma di entrambi i trattati, alcune zone [di libero scambio] precedentemente appartenenti a nazioni sovrane erano state private del potere di emettere legalmente credito produttivo, di ricorrere al protezionismo per difendere i propri interessi e di gestire i propri sistemi bancari nazionali. Se un tempo la sovranità su questi poteri fondamentali era, per legge, prerogativa della nazione di appartenenza, in seguito al NAFTA e al trattato di Maastricht, a godere di questo privilegio erano le entità sovranazionali.

Mentre su entrambi i fronti della cortina di ferro regnava il degrado, due nuovi leader salivano al potere.

Con la loro ascesa, rispettivamente nel 1999 e nel 2000, era nata la speranza che Vladimir Putin e George Bush Jr potessero ripristinare un certo buon senso dopo un decennio di tradimenti.

1999-2001: viene sovvertito il secondo tentativo per un’era di cooperazione multipolare

Nel 2000, le speranze di rimediare al deprimente degrado in cui versavano le relazioni tra Stati Uniti e Russia erano volate di nuovo alte, poiché a Mosca era entrato in scena un giovane mediatore di nome Vladimir Putin, che aveva sostituito quel buono a nulla alcolizzato di Boris Eltsin.

La sconfitta di Al Gore (i cui profondi rapporti con certi traditori russi come Chernomyrdin e Chubais gli avevano lasciato le mani sporche di sangue russo) aveva risvegliato un tiepido ottimismo tra i patrioti di entrambe le nazioni.

Negli Stati Uniti, oltre 100 rappresentanti eletti avevano sottoscritto un appello lanciato dal deputato repubblicano della Pennsylvania Curt Weldon, che aveva commissionato un rapporto intitolato “US-Russia Partnership: A Time for New Beginnings“.

Questo influente documento, pubblicato all’inizio del 2001, conteneva una visione coerente che non si vedeva da oltre un decennio, la visione di un nuovo paradigma che coinvolgesse ogni aspetto delle relazioni tra Stati Uniti e Russia.

La diplomazia culturale, l’insegnamento della lingua russa nelle scuole americane, i sussidi al settore agricolo, lo sviluppo di ogni forma di energia, l’esplorazione dell’Universo, la cooperazione militare, la difesa planetaria dagli asteroidi e la ricerca sulla fusione erano tutti punti chiave del dossier del deputato Weldon.

Il desiderio di non lasciarsi scappare un’opportunità storica del genere trapela nel paragrafo di apertura:

“L’America e la Russia devono forgiare un’alleanza vantaggiosa per entrambe o rassegnarsi all’eventualità che i sospetti del passato torneranno a galla, facendo sprofondare il mondo in una nuova Guerra Fredda. Un’eventualità simile avrà un esito drammatico, dal momento che gli Stati Uniti e la Russia hanno più cose in comune di quante non ne abbiano. Infatti, dato che le minacce più gravi e imminenti per entrambe le nazioni sono il terrorismo e la diffusione delle armi di distruzione di massa, questi grandi nemici comuni dovrebbero fare degli Stati Uniti e della Russia due alleati naturali.

Il modello di relazioni bilaterali e di controllo degli armamenti dell’era della Guerra Fredda si basa sull’ostilità reciproca e sulle minacce nucleari: una situazione inaccettabile su cui basare le relazioni tra Stati Uniti e Russia nel XXI secolo. Ognuna delle due nazioni ha dei problemi diversi in materia di sicurezza, ma molti di questi sono comuni a entrambi i Paesi. La politica statunitense dovrebbe esortare la Russia a riconoscere i vantaggi della cooperazione tra le due nazioni in settori come l’antiterrorismo, la non proliferazione e la difesa missilistica… La chiave per forgiare un’alleanza tra Stati Uniti e Russia è la tempestività: bisogna stringerla prima che le relazioni tra queste nazioni si deteriorino ulteriormente. Gli Stati Uniti devono stabilire con la Russia una relazione che vada chiaramente a vantaggio degli interessi sia russi che statunitensi e inizi il prima possibile, in una cooperazione che porti ad obiettivi vantaggiosi per entrambi”.

È a questo spirito di buona volontà all’interno dei settori più avanzati della politica americana che si era rivolto Vladimir Putin quando aveva comunicato all’Occidente la sua intenzione di far entrare la Russia nella NATO.

Naturalmente Putin non ignorava il pericolo rappresentato da una NATO sotto l’influenza di globalisti come Gore, Soros, Nuland e altri, ma, finché il potere fosse rimasto in mano ad esponenti occidentali che la pensavano diversamente, l’intellighenzia russa era del parere che l’orientamento distruttivo di tale organizzazione potesse essere neutralizzato.

È per questo motivo che, in quel periodo, le prime apparizioni di Putin negli Stati Uniti, a fianco del Presidente Bush, avevano fatto crescere l’entusiasmo nei confronti di una sana politica estera.

Purtroppo, all’interno della classe dirigente statunitense si preannunciava un altro periodo buio, poiché la visione della nuova Amministrazione Bush era completamente opposta.

Il nuovo governo, non solo aveva portato avanti le peggiori decisioni sulla politica russa prese negli anni Novanta da Clinton, Gore e Talbott, ma l’imposizione al mondo della Pax Americana aveva generato una ossessiva spinta militarista per la supremazia globale mai vista durante il precedente mandato.

L’assistente di Strobe Talbott, Victoria Nuland, aveva trovato un nuovo impiego come vice di Dick Cheney e poi come ambasciatrice degli Stati Uniti presso la NATO, dove aveva supervisionato l’enorme espansione del blocco militare, da 16 a 24 nazioni entro il 2008.

Sotto la guida della Nuland, le aspirazioni della Georgia e dell’Ucraina di aderire all’Alleanza erano state ufficialmente riconosciute dalla NATO.

La Nuland aveva lavorato anche a stretto contatto con la National Endowment for Democracy, una società di copertura della CIA, e con George Soros per gettare le basi di una nuova era di operazioni di cambio di regime sotto forma di rivoluzioni colorate in Georgia (2003) e in Ucraina (2004) e di bombardamenti umanitari che, all’indomani dell’11 settembre, avevano riportato le nazioni del Medio Oriente all’età della pietra.

Robert Kagan, marito della Nuland, era stato uno dei primi cofondatori del Project for a New American Century (PNAC), un think tank neoconservatore che aveva dato vita ad alcune delle visioni politiche distopiche per il XXI secolo, come quella descritta nel September 2000 Rebuilding America’s Defenses (RAD) in cui Russia e Cina erano viste non come potenziali alleati, ma come nemici naturali da distruggere per garantire l’egemonia globale degli Stati Uniti.

In netto contrasto con lo spirito positivo di mutua cooperazione concepito dal deputato Curt Weldon e da altri, le reti globaliste delineate nel documento RAD del PNAC, a proposito delle guerre del futuro, prevedevano un ordine mondiale molto più distopico di sopraffazione hobbesiana in una lotta di tutti contro tutti:

“Anche se il processo di trasformazione potrebbe richiedere diversi decenni… il ‘combattimento’ avverrà probabilmente in nuove dimensioni: nello spazio, nel ‘cyber-spazio’ e forse nel mondo dei microbi. La guerra aerea potrebbe non essere più combattuta da piloti a bordo di caccia tattici che controllano i cieli dei caccia avversari, ma da un regime dominato da velivoli a lungo raggio e senza pilota… Lo spazio stesso diventerà un teatro di guerra, poiché le nazioni avranno accesso a competenze in materia spaziale e si affideranno ad esse; inoltre, la distinzione tra sistemi spaziali militari e commerciali – combattenti e non combattenti – diventerà sempre meno netta. I sistemi informatici diventeranno un importante obiettivo da mettere sotto attacco, in particolare per i nemici degli Stati Uniti con il desiderio di mandare in cortocircuito le sofisticate forze americane. Inoltre, forme avanzate di guerra biologica in grado di ‘colpire’ specifici genotipi potrebbero trasformare una tremenda guerra biologica in uno strumento politicamente utile.”

Il pensiero del grande stratega Zbigniew Brzezinski era fondamentale per ideologi come Kagan, Nuland e altri neoconservatori, come Paul Wolfowitz, Richard Perle, John Bolton, Donald Rumsfeld e Dick Cheney, che avevano gestito il malleabile presidente Bush Jr.

Era stato l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Brzezinski a parlare di spartizione della Russia nel suo libro La Grande Scacchiera del 1997, un diktat di Washington che riapparirà poi sulle pagine del PNAC.

Nel suo libro del 1997, Brzezinski scriveva:

“Lo scenario più pericoloso vedrebbe, eventualmente, una grande coalizione tra la Cina, la Russia e forse l’Iran; una coalizione ‘antiegemonica’  non basata su un’ideologia ma su rivendicazioni comuni.

…..Il modo in cui gli Stati Uniti manipoleranno  e accontenteranno i principali attori geostrategici sullo scacchiere eurasiatico e il modo in cui terranno sotto controllo i principali perni geopolitici dell’Eurasia sarà cruciale per la longevità e la stabilità della supremazia globale dell’America”.

Disgraziatamente per il mondo, la dottrina politica adottata da George Bush non aveva niente a che vedere con quella dei migliori patrioti americani vicini a Curt Weldon, ma, al contrario,  era legata a questa banda di globalisti che cercavano di fare tutto il possibile affinché il mondo rimanesse diviso e soffocato il più a lungo possibile, mentre una nuova Pax Americana avrebbe consolidato le loro conquiste nell’ambito di un programma di Full Spectrum Dominance.

Erano stati proprio loro a far ritirare gli Stati Uniti dal Trattato anti missili balistici, come annunciato da Bush il 13 dicembre 2001.

Il Trattato ABM, firmato nel 1972, aveva fatto in modo che le forze armate russe e americane smettessero di dispiegare, testare e sviluppare sistemi antimissile navali, aerei, spaziali e terrestri mobili per intercettare i missili balistici strategici.

Il ritiro degli Stati Uniti dal trattato aveva fatto crescere il pericolo rappresentato dallo scudo antimissili balistici dislocato lungo il confine della Russia (e della Cina), rendendolo [agli occhi dei Russi e dei Cinesi] una minaccia esistenziale insopportabile e scatenando una nuova corsa ad armamenti offensivi e difensivi.

Il giorno dopo il ritiro ufficiale degli Stati Uniti dal Trattato ABM, la Russia aveva annunciato il proprio ritiro dal Trattato START II, che non solo vietava l’uso di testate multiple sui missili balistici intercontinentali (ICBMS), ma riduceva considerevolmente il numero totale di testate.

Non c’era voluto molto prima che il presidente Putin rispondesse a questa minaccia. Durante il suo famoso discorso in occasione della Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, non solo aveva rivelato che la Russia era ben al corrente delle vere proprietà offensive dei sistemi anti missili balistici dislocati ai suoi confini, ma aveva anche stabilito dei punti fermi riguardo al continuo avanzamento della NATO verso Russia.

2016-2020: viene sovvertito il terzo tentativo per un’era di cooperazione multipolare

Tra il 2007 e il 2016 i globalisti occidentali avevano raddoppiato la posta sulla Full Spectrum Dominance, nonostante l’aspetto della politica mondiale fosse cambiato radicalmente in seguito alla nuova alleanza russo-cinese, il vero e proprio cardine del successo dell’integrazione eurasiatica.

Altre nazioni erano state trascinate all’inferno da una serie di Primavere Arabe manipolata dall’Occidente, seguite dal bombardamento umanitario della Libia, avvenuto nel 2011, e dall’attacco alla Siria in nome di una simile terapia di “ricostruzione nazionale”.

Nel Pacifico, il “Perno sull’Asia” guidato da Clinton e Obama aveva accelerato l’impegno militare degli Stati Uniti lungo il confine cinese, con i missili THAAD dislocati in Corea del Sud e 100.000 truppe sparse in diversi territori asiatici con i governi manipolati dall’Occidente.

Sotto la guida di Biden e Victoria Nuland, l’Ucraina era stata messa a ferro e fuoco: il governo filorusso di Viktor Yanukovych era stato rovesciato da una seconda Rivoluzione Colorata che aveva portato al potere un regime scelto dal Dipartimento di Stato americano.

Nell’ottobre 2013, una luce aveva iniziato ad illuminare le tenebre, quando la Cina aveva annunciato la nascita della Nuova Via della Seta, una strategia di politica estera che si era subito integrata con l’Unione economica eurasiatica della Russia.

Nel 2015, la Russia si era sentita abbastanza forte da lanciarsi in una nuova dottrina di politica estera in Siria e aveva mandato all’aria un altro progetto di cambio di regime che avrebbe potuto incendiare il cuore del Paese.

Nel 2016, le cose si stavano mettendo male per il mondo, poiché in America tutti i sondaggi d’opinione davano per certa la vittoria di Hillary Clinton come 45° Presidente degli Stati Uniti.

Ma qualcosa era cambiato.

L’inattesa vittoria di Donald Trump non solo aveva fatto saltare il piano neoconservatore architettato dai peggiori elementi del Partito Democratico di Obama e Clinton, ma aveva mandato un nuovo segnale per la ricostruzione delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, dal momento che il nuovo presidente auspicava buone relazioni con la Russia e con la Cina, mostrandosi al contempo disponibile a porre fine alle “guerre eterne” e a discutere con i Russi l’attività militare americana in Siria.

Durante la presidenza Trump, dal 2016 al 2020, [i neoconservatori] avevano lanciato un attacco su larga scala per cercare di annullare il voto espresso dalla maggioranza dei cittadini americani, avvalendosi della teoria manipolatoria dell’ingerenza russa (il famoso “Russiagate”) e della caccia alle streghe inscenata dai media, che avevano cercato di dipingere Trump come “un lacchè del Cremlino”.

Nonostante ciò, Trump era riuscito a respingere i tentativi di impeachment e a promuovere una serie di riforme per il taglio dei finanziamenti alla National Endowment for Democracy (NED) in Ucraina, a Hong Kong e altrove, escludendo dalle operazioni militari convenzionali alcuni membri di rilievo della CIA, armonizzando le operazioni militari statunitensi con la Russia in Siria e appoggiando un vasto programma di costruzione di ponti diplomatici in tutto il Medio Oriente, grazie agli accordi di Abraham, e, in Asia, incontrando i leader della Corea del Sud e del Nord. Per la leadership russa e cinese questo approccio diplomatico aveva avuto un’importanza significativa.

Nell’aprile 2019 il presidente Trump si era presentato alla Casa Bianca insieme al vice premier cinese Liu He dicendo:

“In Russia, in Cina e negli Stati Uniti investiamo centinaia di miliardi di dollari in armi, anche nucleari, ed è una cosa ridicola. Credo sia più produttivo che questi tre Paesi smettano di produrre armi e stringano un’alleanza. Credo che si possa intavolare un dialogo per tagliare queste spese e investire piuttosto in una pace a lungo termine”.

Sebbene la sala operativa del Deep State all’interno del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti avesse lavorato notte e giorno per sabotare queste favorevoli iniziative, e nonostante viscide creature neoconservatrici come John Bolton e Mike Pompeo avessero continuato a circondare, come vipere, il gruppo ristretto di Trump, sarebbe sciocco ignorare queste iniziative positive, anche se di breve durata, e non ricordare le occasioni mancate del 1990 e del 2000.

“L’altra America” manifesterà mai il suo dissenso?

Due anni dopo l’insediamento di Biden alla Casa Bianca, il mondo è scivolato per l’ennesima volta verso uno scontro esistenziale, non solo con la Russia a causa degli eventi in Ucraina, ma sempre più anche con la Cina per via del consolidamento di una nuova NATO del Pacifico, che qualcuno ha soprannominato “Quad” [Quadrilateral Security Dialogue].

Se l’Ucraina, dopo la rivoluzione colorata della NED, era stata usata per rimettere in marcia questo programma antagonista contro la Russia, la rivoluzione colorata di Taiwan (la Rivoluzione dei Girasoli del 2014) era stata usata per trasformare questa provincia insulare in un nuovo potenziale punto di partenza per una guerra nel Pacifico.

Con oltre 140 Paesi che hanno aderito alla Nuova via della seta e un elenco crescente di nazioni in attesa di entrare nei BRICS+ e nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, sembra sempre più evidente che l’incubo di Zbigniew Brzezinski di una nuova alleanza eurasiatica guidata da Russia, Cina e Iran rappresenti una minaccia definitiva per il paradigma unipolare.

Il presidente Putin non sembra avere dubbi su questo punto e, in un suo recente discorso, ha ribadito la fine del sistema unipolare.

La popolazione americana sa che dalla guerra per procura in Ucraina non trae alcun vantaggio e, secondo recenti sondaggi, la situazione dell’Ucraina non rientra neanche tra le dieci preoccupazioni più grandi della maggior parte degli Americani, decisamente più allarmati per l’aumento dei prezzi del gas, dei generi alimentari e degli affitti e non interessati alle ambizioni geopolitiche dei neoconservatori.

Inoltre, i sondaggi condotti da Rasmussen mostrano che circa il 70% degli Americani crede fermamente che l’America stia percorrendo la strada sbagliata e  il consenso nei confronti del Presidente e del Congresso ha ormai raggiunto i minimi storici.

I tre precedenti tentativi di rovesciare l’ideologia unipolare e di stabilire una base sostenibile di cooperazione tra Stati Uniti e Russia erano stati possibili non solo grazie ad esponenti politici appoggiati dal mondo imprenditoriale, ma grazie anche ad una rete di cittadini americani ben organizzati, informati e impegnati che avevano saputo ragionare sulla direzione che la loro nazione stava imboccando.

Se il mondo di oggi riuscirà a scongiurare le conseguenze delle folli politiche della NATO globale, che non possono far altro che condurci alla guerra termonucleare, sarà grazie a questa “altra America”, il cui tempo, energia e sacrificio potranno fare la differenza tra l’avvento di nuovi anni bui o di una nuova era di cooperazione.

Matthew Ehret
Fonte: strategic-culture.org
Link: https://strategic-culture.org/news/2023/01/29/other-america-or-three-missed-chances-to-avoid-world-war-iii/
29.01.2023
Tradotto da Nadia Dabbene per comedonchisciotte.org

Matthew Ehret è caporedattore della Canadian Patriot Review e Senior Fellow presso l’American University di Mosca. È autore della serie di libri “Untold History of Canada” e di “Clash of the Two Americas.”

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