La Sinistra non dovrebbe votare per Macron

Il suo aggressivo programma ha messo in ginocchio la classe operaia

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Thomas Fazi
unherd.com

Il 6 maggio 2017, Emmanuel Macron, appena eletto presidente della Francia dopo la sconfitta di Marine Le Pen, aveva fatto una promessa al popolo francese: che il Paese non avrebbe mai più visto un candidato di “estrema destra” raggiungere il secondo turno delle elezioni presidenziali. Cinque anni dopo, però, Macron è di nuovo di fronte alla Le Pen. E, questa volta, il divario è ancora più ridotto, con l’attuale presidente al 55% contro il 45% della Le Pen.

Per riuscire a ridurre questo divario, la Le Pen deve conquistare almeno una parte di quel 22% di elettori che al primo turno elettorale avevano optato per la “sinistra-populista” di Jean-Luc Mélenchon. Eppure, la posizione di Mélenchon sulla questione è chiara: “non dobbiamo dare un solo voto alla Le Pen,” ha dichiarato la sera del primo turno, dopo aver espresso il suo sostegno a Macron. In una lettera ai suoi sostenitori, ha detto senza mezzi termini di credere che il presidente uscente sia l’opzione meno peggio a disposizione.

Tuttavia, non tutti i suoi elettori sono della stessa opinione. Come Alexandre, un 36enne che aveva votato per Mélenchon al primo turno, ha detto a BFMTV: “Sono fondamentalmente, ideologicamente di sinistra e sono anche profondamente umanista, ma voterò per Marine Le Pen.” Non è il solo ad avere questa opinione: secondo la società di sondaggi Elabe, un terzo degli elettori di Mélenchon voterà probabilmente per la Le Pen al secondo turno.

Ma non dovremmo essere sorpresi che molti sostenitori di Mélenchon non siano d’accordo con il loro leader sul fatto Macron sia il male minore. Durante la sua presidenza, Macron ha perseguito senza sosta un’aggressiva agenda neoliberale che ha drammaticamente peggiorato le condizioni della classe operaia francese, mentre ha beneficiato enormemente le ricche élite del Paese e le grandi multinazionali, tagliando le tasse per i ricchi e per le grandi imprese, riformando il codice del lavoro per favorire gli imprenditori, riducendo la spesa sociale e perseguendo la “commercializzazione” di ogni settore della società francese.

Come ha detto un economista francese: “Macron è il candidato dell’1% più ricco o addirittura dello 0,1%.” Questo non è solo un modo di dire: nel suo illuminante libro Crépuscule, lo scrittore e attivista francese Juan Branco racconta come i più potenti oligarchi e magnati dei media francesi avessero letteralmente “preparato” Macron fin dalla tenera età, usando tutto il denaro e l’influenza a loro disposizione per aiutarlo a diventare il più giovane presidente del Paese. Si è rivelato un investimento proficuo: negli ultimi anni, la Francia ha visto il più grande aumento del numero di milionari dopo gli Stati Uniti, con un terzo della ricchezza francese ora nelle mani di soli otto miliardari. Nel frattempo, le condizioni di vita dei più svantaggiati sono peggiorate e il numero di Francesi in povertà è aumentato.

Come se non bastasse, quando i sottoproletari francesi erano scesi in piazza per protestare contro le politiche repressive e classiste del presidente, dando vita al movimento dei Gilets Jaunes, Macron aveva risposto con una violenza spaventosa da parte della polizia, degna dei regimi più repressivi del mondo, che è costata ai manifestanti almeno 24 occhi e cinque mani.

Le proteste si erano spente solo perché la pandemia Covid aveva offerto a Macron, come ad altri leader di tutto il mondo, la scusa perfetta per lanciare politiche draconiane e autoritarie di controllo sociale, che, come Toby Green e io abbiamo documentato, hanno danneggiato soprattutto le classi lavoratrici. Come ha recentemente dichiarato Serge Halimi, direttore di Le Monde Diplomatique, quella di Macron è “la presidenza francese più ‘illiberale’ dei tempi moderni,” dal momento che ha sfruttato la paura dell’insicurezza, del terrorismo, della Covid-19, ed ora della guerra in Ucraina, per “favorire una ‘strategia d’urto’ antidemocratica” volta a “governare con la paura.”

E il futuro per i Francesi normali non sembra essere più brillante, perchè il manifesto elettorale di Macron è qualcosa di veramente unico: più tagli alle tasse per le grandi imprese, innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni, l’obbligo per i beneficiari dei sussidi di disoccupazione di lavorare almeno 15 ore a settimana e il ritorno alle rigide regole di bilancio di Maastricht (cioè più austerità). Come nota Halimi: “Un secondo mandato per Macron sarebbe particolarmente pericoloso per la classe operaia, dato che non è in grado di candidarsi per un terzo.” Senza l’influenza restrittiva di un’elezione futura ci sarebbero ben pochi ostacoli al progetto autoritario neoliberale di Macron.

Tutto questo porta alla domanda: perché un socialista come Mélenchon vorrebbe vederlo rimanere al potere? Per la maggior parte della sinistra, non solo in Francia, la domanda potrebbe apparire provocatoriamente retorica: beh, perché l’alternativa, la Le Pen, è ovviamente peggiore. Ma lo è veramente? O è semplicemente un caso di reazione pavloviana della sinistra al suono del suo nome? Gli argomenti di Mélenchon riecheggiano la tipica saggezza in voga tra la sinistra francese e tra i socialisti: l’agenda economica della Le Pen è altrettanto cattiva – cioè neoliberale – di quella di Macron, mentre il suo programma “culturale” (su questioni come l’immigrazione) è molto peggio.

Sarebbe un argomento abbastanza ragionevole – se solo fosse vero. L’idea che i programmi della Le Pen e di Macron, visti dalla prospettiva della sinistra-socialista, siano entrambi pessimi è semplicemente falsa.

La Le Pen ha castigato la logica “neoliberale” di molte delle proposte del suo concorrente – in particolare l’inasprimento delle condizioni per i beneficiari dei sussidi di disoccupazione e l’innalzamento dell’età pensionistica, proposte alle quali la Le Pen si è coerentemente opposta. Infatti, è francamente difficile vedere come qualcuno in buona fede possa descrivere il manifesto elettorale della Le Pen come neoliberale. Semmai, si tratta di un programma redistributivo moderato di orientamento keynesiano basato sull’interventismo statale, sulla protezione sociale e sulla difesa dei servizi pubblici. Le misure proposte includono il rafforzamento dei servizi pubblici, come gli ospedali, riduzioni generalizzate dell’IVA, aumenti salariali per gli operatori sanitari e di altri settori, esenzioni fiscali o trasporti gratuiti per i giovani lavoratori, la costruzione di 100.000 unità abitative di edilizia sociale all’anno, la ri-nazionalizzazione delle autostrade e una tassa sulla ricchezza finanziaria. Nulla di particolarmente radicale, ma non è certamente un programma neoliberale.

Non è una sorpresa che uno studio approfondito del manifesto della Le Pen da parte del Centro di Ricerca Politica di Sciences Po, uno dei più grandi e influenti centri di ricerca di scienze politiche in Francia, e sicuramente non un baluardo lepénista, abbia concluso che il suo programma politico è saldamente “a sinistra dell’asse economico” – molto più dell’agenda di Macron. È interessante notare che lo studio ha anche mostrato che l’elettorato della Le Pen condivide la sua visione economica di sinistra: alta fiducia nei sindacati, sfiducia nelle grandi aziende private, rifiuto di ridurre il numero dei dipendenti pubblici. Nel complesso, una maggioranza schiacciante dei sostenitori della Le Pen è d’accordo con l’idea che “si dovrebbe prendere ai ricchi per dare ai poveri.”

In effetti, è dolorosamente ovvio che il manifesto economico di Mélenchon ha molto più punti in comune con quello della Le Pen che con quello di Macron. Sì, il programma di Mélenchon ha una maggiore enfasi sui salari e sui diritti dei lavoratori, come è prevedibile, ma l’orientamento generale è simile. Mélenchon e la Le Pen sono entrambi molto critici nei confronti dei “passaporti vaccinali” di Macron e hanno promesso di abrogarli se eletti. E i due leader condividono la stessa avversione per la globalizzazione e, in particolare, per l’Unione Europea – di cui invece Macron è un convinto sostenitore. Entrambi sostengono anche il ritiro della Francia dalla NATO.

La più grande differenza tra i due riguarda l’immigrazione. Mentre il manifesto di Mélenchon chiede di “accogliere gli immigrati con dignità,” la Le Pen vuole “riprendere il pieno controllo dell’immigrazione,” inasprendo le regole per l’acquisizione della nazionalità francese, concedendo l’accesso prioritario a certi servizi sociali ai cittadini francesi e deportando gli stranieri che delinquono o che scelgono di rimanere disoccupati. Ha anche preso una posizione dura contro il radicalismo islamico.

Ora, si può benissimo non essere d’accordo con queste politiche, ma demonizzarle come “fasciste,” come ora fanno ora molti nella sinistra, è semplicemente ridicolo. Dopo tutto, la nozione che uno stato dovrebbe dare la priorità al benessere dei propri cittadini sarebbe stata considerata ovvia fino a non molto tempo fa, anche tra i partiti e gli elettori di sinistra, come nota Sahra Wagenknecht, ex leader del partito tedesco della sinistra radicale Die Linke, nel suo ultimo libro Die Selbstgerechten (“I giusti”).

Ma, soprattutto, Macron è davvero così migliore della Le Pen in questo senso? Come ha scritto Pauline Bock sul Guardian, Macron stesso ha adottato una posizione molto “dura sull’immigrazione, ha ordinato agli agenti di polizia di  distruggere le tende dei rifugiati a Calais… ha reso omaggio al ‘grande soldato,’ il Maresciallo Pétain… e ha concesso interviste a pubblicazioni di estrema destra.” In effetti, nel febbraio 2021, affrontando la Le Pen in un programma televisivo, il ministro degli interni di Macron, Gérald Darmanin, l’aveva persino accusata di essere “troppo morbida sull’immigrazione.”

Sembra quindi che la maggior parte degli argomenti di Mélenchon (e della sinistra francese) sul fatto di dover preferire Macron alla Le Pen non reggano all’esame: il primo è incomparabilmente peggiore, cioè più “di destra,” della Le Pen sul fronte economico e, probabilmente, quasi altrettanto “cattivo” della sua rivale (da un punto di vista standard “progressista”) sul problema della gestione degli immigrati. Indipendentemente da quello che si può pensare della Le Pen – io non sono un suo sostenitore e, se vivessi in Francia, il mio voto andrebbe a Mélenchon – sembra abbastanza chiaro che la classe operaia francese starebbe molto peggio con un secondo mandato di Macron.

In definitiva, tutta questa vicenda racchiude davvero il motivo per cui la scissione destra-sinistra non ha più molto senso. Nessun Paese lo esemplifica meglio della Francia – la nazione che per prima che aveva inventato i concetti politici di sinistra e destra. Questo perché i partiti nominalmente di sinistra e progressisti si sono radicalmente spostati a destra in termini economici e hanno abbandonato la politica di classe in favore della politica dell’identità, mentre, allo stesso tempo, i partiti nominalmente di destra si sono spostati a sinistra nello spettro economico. Ma, anche quando i partiti politici hanno sfidato la tradizionale dicotomia destra-sinistra (Macron, Le Pen e Mélenchon hanno tutti insistito, a modo loro, sul fatto che la politica di destra-sinistra è finita, con Mélenchon che  si è dato molto da fare per “de-neoliberalizzare” la politica di sinistra) queste etichette hanno continuato a dimostrarsi molto difficili da scrollar via.

Questo è in definitiva il motivo per cui un socialista come Mélenchon non riesce ancora a scegliere la “destra” Le Pen rispetto al nominalmente “progressista” Macron, anche se l’agenda economica della prima è molto più a sinistra. Questo spiega anche perché Macron sarà probabilmente eletto per un secondo mandato, con conseguenze disastrose per le classi lavoratrici e medie francesi.

Naturalmente, gli elettori della Le Pen probabilmente affronterebbero lo stesso dilemma se fosse Mélenchon a correre contro Macron. Ma questo dimostra solo come la scissione destra-sinistra sia diventata una cortina fumogena destinata a rendere praticamente impossibile qualsiasi sfida seria allo status quo.

Finché i partiti politici e gli elettori continueranno ad attribuire maggiore importanza ad etichette sempre più insignificanti, piuttosto che alle politiche che partiti ed elettori effettivamente sostengono, ogni prospettiva di rovesciare personaggi come Macron sarà probabilmente vanificata – con grande gioia delle classi dominanti.

Thomas Fazi

Fonte: unherd.com
Link: https://unherd.com/2022/04/the-left-should-not-vote-for-macron/
22.04.2022
Tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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