Craig Murray
craigmurray.org.uk
Tutti gli imperi finiscono nell’ignominia. Il Regno Unito sta per finire, non con un botto ma con un peto.
Tra un secolo, la narrazione storica dominante sarà quella cinese e gli storici cinesi si chiederanno come mai Boris Johnson fosse caduto a causa di una bugia sulla sua presunta ignoranza di molestie sessuali da parte di un membro molto giovane del suo governo. Si scriveranno saggi per stabilire se questa era stata davvero la causa, o se la crisi socio-economica di fondo causata dall’inflazione e dalla Brexit fosse stata il vero fattore determinante. Si scriveranno libri in cinese (o il loro equivalente tecnologico) sulla crisi del neoliberismo e su come la società occidentale avesse raggiunto livelli insostenibili di concentrazione del capitale e di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.
I media mainstream hanno scritto fiumi di parole sulle menzogne e sull’immoralità personale di Johnson, ma gli sforzi per capire perché così tanti nella società siano stati disposti a tollerare tutto ciò sono davvero pochi. La risposta è che il neoliberismo è riuscito a distruggere i valori della società, al punto che un comportamento antisociale e persino sociopatico non sembra poi così tanto anormale.
In una società in cui l’autorità ammette, e costruisce un sistema per consentire, fortune personali di 200 miliardi di dollari o più, mentre, nello stesso Paese, milioni di bambini fanno realmente la fame e non hanno un tetto decente, quali sono i valori che la struttura socio-politica pretende di insegnare alla gente? Che valore viene dato all’empatia? L’ambizione spietata e l’accaparramento delle risorse sono applauditi, incoraggiati e proposti come modello da seguire.
Sempre più spesso, o si fa parte dell’élite o si è in difficoltà.
Nel Regno Unito, il sogno thatcheriano della proprietà di massa viene bruscamente cancellato. La mobilità sociale e la meritocrazia si sono trasformate da opportunità di avanzamento sociale su larga scala per moltitudini di persone, in Hunger Games. Se un numero significativo di giovani vede la propria migliore opportunità di benessere economico nella selezione per Love Island, come possiamo aspettarci che siano disgustati dal fatto che Johnson avesse avuto relazioni multiple mentre quella che all’epoca era sua moglie lottava contro il cancro?
Johnson è esplicitamente un devoto della teoria del grande uomo al centro della storia. Ma, in realtà, la sua sorprendente carriera politica è di per sé solo un sintomo del declino del Regno Unito, da grande potenza imperiale fino alla disgregazione dello Stato metropolitano (quest’ultima, ovviamente, aveva iniziato ad avere un effetto pratico già nel 1921).
La Brexit era stata solo una convulsione, in quanto il Regno Unito aveva vissuto il trauma psicologico del dover accettare il cambiamento di status da grande potenza a nazione europea di discreta importanza. Su questo e sulla conseguente ondata di nazionalismo populista inglese ci sarebbe da scrivere un corposo trattato.
Potreste notare il costante uso da parte dei Tory dell’espressione “leader mondiale” in circostanze risibili, il fatto che anche ieri Starmer [Il leader del Partito Laburista all’opposizione] abbia sentito il bisogno di commentare il collasso del governo mentre era circondato tra tre Union Jack, il costante militarismo, la feticizzazione delle forze armate in TV, e il desiderio di gloria riflessa nel combattere una grande guerra sanguinosa fino all’ultimo Ucraino.
La meticolosa raccolta di Peter Oborne sulle menzogne di Johnson mostra quanto sia singolare che la crisi sia scoppiata per una menzogna relativamente minore sulla pretesa ignoranza di un cattivo comportamento sessuale, in cui Johnson, per una volta, non era personalmente coinvolto. Ma è del tutto sbagliato pensare che Johnson sia un caso unico. Il meraviglioso libro di Oborne, The Rise of Political Lying, racconta il massiccio attacco agli standard governativi perpetrato dal ciarlatano Tony Blair.
Johnson è solo una parte di un processo. Quando il potere di un impero si disintegra, si disintegrano anche i suoi costumi. Dalla Seconda Guerra Mondiale, oltre sessanta Stati si sono resi indipendenti dal dominio britannico. Le parti rosa sulla mappa (“questa colonia è quella da cui proviene la vostra tapioca”) che mi mostravano con tanto orgoglio alle elementari si sono ridotte sempre di più. Grazie a Dio, ai bambini non viene più insegnato a cantare “Over the seas there are little brown children” (oltre i mari ci sono piccoli bambini marrone) che hanno bisogno di essere convertiti (me l’hanno insegnato davvero, non mi sto inventando niente).
Con il crollo del potere militare, economico e politico del Regno Unito, sono crollati anche i suoi costumi politici, sia nel bene che nel male. Johnson non è che uno stronzo uscito dalla fogna del declino britannico.
Ad ognuno dei sessanta Stati che hanno lasciato il dominio britannico era stato detto che avrebbe lottato senza il Regno Unito. Nessuno Stato ha mai voluto tornare sotto il dominio britannico. Amici scozzesi, prendete nota.
Voglio anche chiarire ai miei lettori inglesi – e ricordate che io stesso sono per metà inglese – che credo sinceramente che la rottura dell’unione britannica, assolutamente artificiale, sarà molto vantaggiosa per l’Inghilterra. L’indipendenza scozzese e la riunificazione irlandese sono imminenti. L’indipendenza del Galles sta raccogliendo rapidamente consensi.
Ci vorrà la disgregazione del Regno Unito per scuotere la nostalgia delle grandi potenze e lo sciocco patriottismo che sono alla base di gran parte del sostegno dei Tory – e di altri feticisti della Union Jack come Starmer. Solo lo shock della chiusura formale dello Stato britannico innescherà il cambiamento psicologico necessario affinché l’Inghilterra diventi uno Stato europeo moderno, lungimirante e di medio livello, attento all’equità interna e internazionale.
Il Regno Unito è in subbuglio socio-politico dal 2016 e ora sta entrando in una profonda crisi economica. Questi giorni sono il tempo della fine del Regno Unito. Rallegratevi!
Lascerò l’ultima parola al grande ribelle Percy Bysshe Shelley:
Ozymandias
Incontrai un viaggiatore, veniva da un’antica
terra e mi disse: Due immense gambe di pietra
s’ergono nel deserto, senza tronco…Vicino, sulla sabbia,
giace a metà sepolto un viso smozzicato, e il cipiglio,
le labbra corrugate e il suo ghigno di freddo comando
dicono come esattamente lo scultore
abbia letto passioni che ancora sopravvivono, impresse
in quelle cose morte, alla mano che un tempo
le interpretò, e al cuore
che le nutrì: sul piedistallo appaiono
queste parole: “Il mio nome è Ozymandias, re dei re:
guardate alle mie opere, o Potenti, e disperate!”
Nient’altro resta. Attorno alle rovine
di quell’enorme relitto, le nude e sconfinate
sabbie deserte e piatte si stendono lontano.
Craig Murray
Fonte: craigmurray.org.uk
Link: https://www.craigmurray.org.uk/archives/2022/07/the-death-of-the-british-imperial-state/
06.07.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
La traduzione del sonetto di Shelley è di Lucia Cambria