da lastampa.it
Nel 54° Rapporto sulla realtà sociale del Paese un’analisi cruda sul Paese nella stagione del Covid. Con alcune sorprese: rispuntano i tifosi della pena di morte
Da 54 anni Giuseppe De Rita, fondatore del Censis e lettore spesso profetico del Belpaese, fotografa nel suo Rapporto la situazione sociale italiano, ogni volta coniando definizioni icastiche, per “fermare” tutto quel che di nuovo si muove. Nell’anno del Covid lo slogan è questo: «Meglio sudditi che morti».
Uno slogan che coglie un tratto della psicologia collettiva degli italiani: la capacità di diventare legalitari soltanto in occasione delle grandi emergenze. Spiega il Rapporto sulla realtà sociale del Paese: «Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali».
Avvalendosi di sondaggi assai più mirati di quelli tradizionali, di una capacità di scovare dati sottovalutati da altri, della “lettura” di De Rita e soprattutto di un team addestratissimo alla ricerca del “nuovo” nella società, anche quest’anno il cinquantaquattresimo Rapporto del Censis accende i riflettori su alcuni fenomeni sinora sottovalutati: mai così profonda si è manifestata la frattura tra i garantiti e i non garantiti, che in questa fase temono la discesa agli inferi della disoccupazione. Pagano il conto in particolare giovani e donne: per loro già persi quasi 500.000 posti di lavoro. Cosa resterà quando il Covid sarà stato imbrigliato? Solo il 13% è pronto a tornare a rischiare aprendo un’impresa. Ma c’è un lascito del virus più inatteso di altri: a sorpresa il 44% degli italiani è favorevole alla pena di morte.
Il corposo Rapporto è stato presentato dal direttore generale del Censis Massimiliano Valerii e dal segretario generale Giorgio De Rita e, come sempre, i ricercatori del centro di ricerca sociale hanno posto quesiti scomodi, sui quali altri preferiscono glissare. La tensione securizzatrice ha prodotto un crollo verticale del «Pil della socialità». Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, delegando senza problemi le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale.
Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede il carcere per i contagiati che non rispettano le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati.