DI ANDREA FIORAVANTI
linkiesta.it
Il giornalista autore di “Storia reazionaria del calcio” (Marsilio Editori): “Lo spezzatino delle tv ha rovinato la ritualità del calcio. Ho visto giocare Berlusconi a 19 anni: era alto un soldo di cacio ma pretendeva di fare il centravanti e non passava mai la palla”
Nel mondo ipertecnologico e politicamente corretto di oggi essere reazionario e scomodo è l’unica forma di rivoluzione. E Massimo Fini, il giornalista più controcorrente d’Italia, è abitutato a sedersi nel posto lasciato libero dal perbenismo retorico all’italiana. Sono tanti i tabù infranti dal suo “Storia reazionaria del calcio” (Marsilio Editori), scritto con il giornalista sportivo Giancarlo Padovan. Dal calcio femminile alle bestemmie dei giocatori fino al valore dell’aggressività degli ultras nella nostra società. Con un po’ di nostalgia e ruvida chiarezza, Fini lancia un allarme: l’economia e la tecnologia hanno spogliato il calcio di quegli elementi identitari, mitici e simbolici che hanno fatto la sua fortuna per più di un secolo. Perché il calcio non è solo un gioco. È un rito collettivo, una messa personale, uno specchio dei tempi. I cambiamenti della società si riflettono sul campo e viceversa. Tra Var, telecronisti esagitati, nani e ballerine nei talk show sportivi, scommesse online, partite in streaming, paytv, anticipo del sabato, partita serale e posticipo del lunedì, il dubbio è che abbiamo perso il vero senso del calcio: la sua sacralità. Eppure un tempo, quando i biglietti si compravano al Bar Sport, le partite si giocavano solo alle 15 della domenica e Var era solo un refuso, il mondo del calcio era diverso. Poi è cambiato tutto.
Fini, quando ha iniziato a degenerare il calcio?
Nel 1986. Quando Silvio Berlusconi ha presentato il Milan all’Arena di Milano in stile Super Bowl con attricette e cantanti al seguito. In quel momento è iniziata l’era della tv nel calcio e nulla è stato più come prima. Il problema è che Berlusconi capiva molto di televisione ma non di pallone. Addirittura voleva dividere la partita in quattro tempi perché così poteva mettere degli spot. E dire che l’ho visto pure giocare da bambino.
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