Infrastrutture: l’Italia è un Paese non in sicurezza

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ANNI DI AUSTERITY FATTI DI TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA E PRIVATIZZAZIONI HANNO RESO IL NOSTRO PAESE “NON SICURO” PER CHI VIVE E PER COLORO CHE SOGNANO DI VISITARLO

Di Megas Alexandros, ComeDonChisciotte.org

Otto ponti caduti dal 2013 ad oggi nel nostro Paese, per finire alla tragedia di questi giorni che ha visto morire 14 persone nel drammatico incidente avvenuto sulla funivia Stresa-Mottarone.

Per chi se li fosse dimenticati, questa è la macabra lista dei ponti caduti:

• Ponte di Carrasco in Luguria (2013)
• Ponte sulla provinciale Oliena – Dorgali in Sardegna (2013)
• Ponte Ragusa-Licata in provincia di Agrigento (2014)
• Ponte sulla Milano-Lecco (2016)
• Ponte dell’autostrada A14 sulla Adriatica (2017)
• Ponte Morandi di Genova (2018)
• Ponte Torino-Savona (2019)
• Ponte a Massa Carrara (2020)

Ecco alcune fotografie, a testimonianza della drammaticità della situazione

Ponti crollati

Siamo ancora scossi ma, soprattutto, increduli per le cause che hanno provocato il drammatico incidente della funivia Stresa-Mottarone. Un incidente che si sarebbe potuto evitare. Un incidente mortale voluto e provocato dalla ricerca del profitto a discapito della sicurezza.

Ci sono settori strategici dello Stato che dovrebbero essere attenzionati e gestiti in modo esemplare, tutelati e preservati come un bene comune. Parlo in primo luogo dei trasporti, della scuola, del settore militare e, non ultimo, della sanità. Commettere errori in questi settori equivale spesso a provocare la morte di qualcuno e niente è più prezioso della vita umana.

Quante volte negli ultimi anni avete sentito in TV o sui giornali le seguenti parole: “dobbiamo privatizzare” – “il privato gestisce meglio del pubblico”. L’Italia, un Paese ormai ridotto in mutande e privato della sua sovranità in materia monetaria, si è ridotta a cedere un settore strategico come le autostrade alla famiglia Benetton e abbiamo visto i risultati.

Uno Stato, privo della capacità di spendere con moneta creata dal nulla, oggi lascia circolare i propri cittadini su strade fatiscenti e non sicure. Su quest’ultimo tema, è bene essere chiari fin da subito: una morte per una caduta con la moto nel centro di Roma, provocata da una buca, vale quanto la morte di chi è volato giù dal Ponte Morandi.

Mai ti aspetteresti di vedere crollare un ponte nella normale circolazione in un Paese appartenente allo sviluppatissimo mondo occidentale. Purtroppo per noi l’Italia, oggi, non è più quel Paese all’avanguardia con la qualità di vita e di benessere che tutti ci invidiavano nel recente passato.

Visto a posteriori, l’aver messo in mano a privati la “gallina dalle uova d’Oro”, ossia le autostrade, non è stato certo un favore fatto dai nostri governi ai cittadini. Di sicuro, non è stata una decisione che ha contribuito a migliorare un servizio di tipo essenziale per i cittadini e per chi ne usufruisce. Anzi, a vedere i numeri qui sotto, si potrebbe affermare senza tema di smentita che a fare i salti di gioia siano stati i concessionari privati.

Tra il 2009 e 2018, mentre vedeva i ricavi salire da 2,9 a 3,6 miliardi, Aspi ha dimezzato i propri investimenti sulla rete, passati da 1,1 miliardi a poco più di 500 milioni. Nel frattempo anche le spese per la manutenzione e la sicurezza di strade, ponti e viadotti declinavano di poco meno del 22% ossia da 464 a 363 milioni. Invece, ad aumentare – e di molto – sono stati i dividendi versati agli azionisti della società in quel decennio.

A mettere in fila i numeri è stata l’Area Studi di Mediobanca per Il Sole 24 Ore. Facendo le somme si scopre che, nei dieci anni precedenti al crollo del ponte Morandi, i soci di Aspi – a partire dalla controllante Atlantia di cui la famiglia Benetton attraverso la holding Edizione è primo socio – hanno incassato più di 6 miliardi di dividendi (la stragrande maggioranza degli utili realizzati). Dai 485 milioni del 2009 le cedole sono salite a oltre 740 milioni nel 2017, quando sono anche stati distribuiti 1,1 miliardi di riserve. Per il 2018, l’anno del crollo del viadotto Polcevera, è invece stato staccato un assegno di 518 milioni ossia maggiore di quanto speso per riparare e tenere in sicurezza le infrastrutture affidate.

Nel frattempo, a manutenzione e sicurezza sono stati dedicati circa 4 miliardi: in media, 400 milioni annui. Cifra, questa, che risulta perfettamente in linea con il minimo previsto dalla convenzione con lo Stato, il quale però richiede inoltre che il concessionario mantenga la funzionalità delle infrastrutture “attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva“. Stando ai crolli e ai problemi di sicurezza emersi nell’ultimo anno e mezzo, appare evidente come non tutto il necessario sia stato fatto. Peraltro, se si allarga lo sguardo al periodo 2000-2017, la spesa media annua cala ulteriormente a circa 270 milioni.

Anche l’ultima tragedia, quella della funivia Stresa-Mottarone, è figlia dello stesso “modello di business” di Autostrade: utili garantiti grazie a ricavi altrettanto garantiti dalla posizione di monopolio nella quale operano tali attività.

I ricavi garanti abbinati al perseguimento maniacale del contenimento dei costi fanno della piccola srl di proprietà di Luigi Nerini, la quale gestisce l’impianto funicolare collassato, un piccolo esempio di grande profittabilità.

Nell’ultimo bilancio, quello del 2019 pre-pandemia, la srl ha prodotto 439 mila euro di utili netti su 2 milioni di ricavi. Ogni 100 euro incassati dai biglietti vendutipiù di 20 euro diventano profitti per la piccola srl. Una redditività molto buona, sul modello di un tipico business da monopolio delle infrastrutture.

Fare utili con la funicolare non era poi così difficile. Con circa 100 mila turisti trasportati ogni anno a poco meno di 20 euro a biglietto, cui si aggiungono ogni anno i contributi del Comune di Stresa per circa 130 mila euro, ecco il fatturato che veleggiava sui 2 milioni.

Basta tenere sotto controllo i costi e gli utili sono assicurati. Già i costi. Nel 2019, ma andava più o meno così tutti gli anni precedenti, per beni di consumo e materiali sono stati spesi solo 18 mila euro.

Naturalmente, in seguito ai mancati introiti conseguenti alla politica cosiddetta di “lockdown” (confinamento / isolamento, in lingua italiana) scelta come prassi di contrasto pandemico, la voglia di ripartire nell’incassare a discapito della sicurezza ha fatto in modo che la tragedia si materializzasse.

Quante altre funivie, quanti altri ponti nel nostro Paese mettono a rischio le nostre vite? questo è l’interrogativo che ciascuno tra noi, oltre che i turisti che progettano di visitare il nostro Paese, oggi dovrebbe porsi, pur essendo consapevoli di non avere attualmente la risposta.

A oggi, non avere la risposta significa una sola cosa: stiamo rischiando. Ebbene si, se non fosse ancora chiaro è la nostra vita quotidiana e quella dei nostri figli a essere a rischio, in quanto viviamo in un Paese dove lo Stato non è più in grado di garantire la sicurezza dei propri cittadini.

Come in precedenza esposto, è il modello economico seguito negli ultimi decenni ad avere spinto lo Stato a dismettere i mezzi per far fronte a ogni tipo di problema di sicurezza e le conseguenti forzate privatizzazioni hanno fatto il resto.

Il modello economico voluto dall’élite al comando del nostro Paese si fonda su posizioni di monopolio caratterizzanti una molteplicità di modelli di business dati in concessione. Attraverso l’adozione di questo modello si è ottenuto che, distruggendo la classe media, si scavasse un solco enorme all’interno della scala sociale tra i pochi ricchissimi e i tanti poveri.

L’introduzione della moneta unica e le conseguenti “folli” regole che la dominano, hanno precluso ai governi degli ultimi 30 anni di poter fare politica fiscale. Si è costretto lo Stato all’interno di necessari surplus e a cedere monopoli pubblici a lobbisti privati, i quali sono stati ben lieti di accaparrarsene sapendo come l’unico sforzo a loro richiesto fosse quello di cominciare a contare i soldi provenienti da questa mangiatoia.

Non siamo lontano dalla verità se affermiamo che coloro i quali hanno caldeggiato l’entrata nell’euro del nostro Paese per accaparrarsi i gioielli dello Stato siano gli stessi che oggi ci tengono ancora dentro e che tramite i media da loro controllati, in particolare stampa e televisione, ci favoleggiano e raggirano.

È ora di aprire gli occhi. Con la pandemia sono caduti tutti i muri eretti sulle falsità economiche che la stampa mainstream ci ha profuso in questi anni. Se ancora siamo nell’euro, o se ancora non abbiamo posto in essere i necessari correttivi per far riprendere in mano ai nostri governi gli strumenti necessari per ritornare ad essere uno Stato democratico moderno, questo è dovuto solo e soltanto a una “non volontà” politica.

Ci sono anche altri settori dove la sicurezza del cittadino dovrebbe essere posta al primo posto. Come già ricordato, è nella sanità dove veramente ogni giorno si gioca la partita della vita per milioni di persone.

Ci dovremmo porre come domanda: siamo certi che un privato, nel gestire un ospedale, privilegi la salute dei malati ai numeri del suo conto economico?

Se aggiungiamo tutto il business che gira intorno all’industria farmaceutica (quella che oggi viene anche definita come “big pharma”) che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni avendo raggiunto oggi vette mai raggiunte prima proprio con la cosiddetta “emergenza pandemica”, allora le prospettive di sentirsi al sicuro e tutelati divengono pure chimere.

Le soluzioni per tornare a un mondo più sicuro ci sono e queste non possono che passare dal tornare a porre lo Stato al centro del sistema economico. Uno Stato che recuperi ogni sovranità persa, a partire da quella monetaria per poi riappropriarsi di tutte le concessioni regalate ai privati.

Uno Stato monopolista della valuta può benissimo non preoccuparsi del “profitto” così da avvantaggiare la qualità del servizio e può dotarsi delle migliori tecnologie, dei migliori ingegneri, dei migliori medici. Può creare infrastrutture sempre migliori mantenendole funzionali sempre ai massimi livelli, può pagare ogni tipo di manovalanza ed ingegno reputato necessario a ottenere “standard qualitativi” elevatissimi. Può infine investire nella ricerca, assumendo e stipendiando in maniera adeguata le migliori menti in ogni campo.

Del resto non sto proponendo un modello di mondo nuovo bensì qualcosa che in parte abbiamo già vissuto, almeno fino all’avvento della cosiddetta “globalizzazione” la quale ha indirizzato il mondo esclusivamente verso la finanza sfrenata, mettendo in un angolo il mondo reale dove ogni giorno abbiamo bisogno di vivere, lavorare e mangiare e dove se qualcosa va storto si può anche morire in conseguenza di scelte sbagliate operate dell’uomo.

Se per quasi duemila anni, dalla nascita di Cristo fino ai primi del novecento, siamo arrivati a una popolazione di quasi due miliardi e negli ultimi 100 anni siamo arrivati a otto miliardi, con un incremento esponenziale dell’aspettativa di vita media, questo è sicuramente dovuto all’avvento degli Stati democratici moderni, dotati di una moneta fiat, i quali possono spendere illimitatamente al fine di creare occupazione e benessere, indirizzando le loro politiche verso la ricerca, le scoperte e le nuove tecnologie. Tutto ciò è considerato come quel progresso capace, appunto, di creare le condizioni affinché la popolazione si moltiplicasse in pochissimo tempo.

Se guardiamo a come tutto questo sia avvenuto, nonostante la cattiva comprensione che tuttora persiste in merito al reale funzionamento della moneta moderna fiat, dovremmo chiederci quanto avremmo potuto fare di più in passato e quanto potremmo fare in futuro qualora questa comprensione fosse nella disponibilità di tutti.

Dobbiamo agire in fretta per tornare ad avere un mondo più sicuro, certi che il modello attuale non è a vantaggio della maggioranza bensì di pochi. Le soluzioni ci sarebbero e la strada da seguire sarebbe quella tratteggiata qui sopra, nel solco del progresso umano e coscienziale. I soldi per rendere sicure le nostre strade, le nostre, scuole, i nostri ospedali, le nostre città ci sono, si possono creare dal nulla con un semplice “click” su una tastiera di un computer. Oggi i dati della disoccupazione sono drammatici e chi lavora fa fatica ad arrivare a fine mese, abbiamo beni e servizi sugli scaffali e gente che se ne priva perché non ha un reddito sufficiente per usufruirne, laddove sarebbe invece possibile avere una enorme disponibilità di lavoro per chiunque e in amplissimi campi dello scibile umano. Si stampano soldi per darli alle banche le quali poi li usano per la speculazione, al contrario non si stampano soldi per costruire una scuola o un ospedale e questo è tremendamente sbagliato, come potete ben capire.

Dobbiamo uscire in fretta da questo paradigma e riportare il nostro sistema economico sui binari di quelle che sono verità economiche evidenti, altrimenti il prezzo che pagheremo sarà ancora più alto.

Di Megas Alexandros, ComeDonChisciotte.org

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