Immane ritualità

L’immane ritualità del dominio. Capitalesimo, sacrificio, progressione cannibalistica

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di Marco Toti
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Col Covid l’”Occidente” ha riscoperto, finalmente, che si muore. “Nel secondo Medioevo, dal XII al XIV secolo, in cui sono state costruite le basi di quel che diventerà la civiltà moderna, un sentimento più personale e più intimo della morte, della morte di sé, traduce l’intenso attaccamento alle cose della vita, e anche – è questo il senso dell’iconografia macabra del XIV secolo – il senso amaro del fallimento, confuso con la natura mortale: una passione di essere, un’inquietudine di non essere abbastanza” (P. Aries, Storia della morte in Occidente, tr. it. Milano 1978, p. 83 [primi due corsivi nostri]). La ubiqua proliferazione di cogitazioni, immagini e sentimenti genera da un lato l’ipertrofia dell’”io”, dall’altro il pensiero di una vita su cui continuamente incombe la morte come “fallimento”, separandola artatamente dall’esistenza; d’altra parte, si vuole morire perché vivere non è abbastanza, o perché si ritiene, appunto, di non aver vissuto a sufficienza: idolatria della vita (della sopravvivenza!) e religio mortis, così, si congiungono [1]. Satana, e con lui la depressione, si annida nella immaginazione. La teatralizzazione della morte del XIX secolo sostituisce l’antica familiarità con essa: “in verità, in fondo al nostro cuore, ci sentiamo immortali”, e Aries parla di “un indebolimento della volontà di essere nell’uomo contemporaneo” (altra faccia della medaglia; ibidem, p. 84 [corsivo nostro]).

Chi ha fatto il ‘68 (o è tuttora posseduto dai suoi “valori”) diviene facilmente strenuo difensore del governo di un plutocrate assolutamente privo di “fantasia”: non è una contraddizione, visto che la larghezza nel concedere i “diritti civili” è il circo che “compensa”, presso i sudditi mediatizzati senza residuo, la pretestuosa imposizione del vaccino e del sentire omosessualista sul piano di una scellerata etica pubblica. L’uomo postmoderno vuole vivere eternamente, morto di noia, mentre il Dio cristiano è davvero “morto”. Un giorno don Divo Barsotti ha scritto: “Dio non soltanto è morto per Nietzsche, per Sartre, è morto anche per i cristiani, è divenuto una riserva di energia, un mito che stimola soltanto il loro impegno terrestre” (corsivo nostro). Il desiderio profondo di immortalità, sentita come possibilità reale, è veicolato oggi dalla parodia della “sessualità” e della “scienza”: non a caso, due ambiti in cui è il corpo ad essere viatico di un “reset” dell’anima. Tali artifici costituiscono in realtà, nei loro fondi ideologici, l’immane ritualità del dominio che compendia la “volontà di potenza” occidentale, imposta come dogma dai media: che non guardiamo, ma da cui in ultimo siamo guardati. La coscienza umana è stata irrimediabilmente mediatizzata e medianizzata: il mezzo è veramente il messaggio. L’immaginario individuale e collettivo è stato introiettato a partire dall’infima esperienza “privata” di una minoranza deviante originariamente “rivoluzionaria”, ed oggi accolta dai sacristi del tubo catodico come modello per piccolo borghesi pantofolai.

A chi sa vedere, questa ritualità è visibile in modo “compiuto” negli antri più riposti delle plutocrazie che governano il mondo, e in fenomeni spesso erroneamente assunti quali semplici degenerazioni di un sistema che, in realtà, li produce “naturalmente” (si pensi a certi “serial killers”, alla pedofilia “organizzata”, all’omosessualismo ed alla pornografia: fenomeni non raramente connessi!). Il fine sono sempre il potere ed il controllo, ottenuti tramite un miscuglio vertiginoso di immagini e parole d’ordine (inclusione, accoglienza, messa in sicurezza, ma la parola chiave è “transizione”, ossia mutazione antropologico di segno tendenzialmente transumanista), che ben si compendiano nel carattere cinematografico (la “cabina di regia”) e militare (il gen. Figliuolo, somigliante al militare di tante barzellette, le bare trasportate dai camion militari a Bergamo) della vicenda relativa al Covid. D’altra parte, con una sanità sulla quale si sono esercitati tagli draconiani, più del doppio dei fondi del “recovery plan” da destinarle verrà speso per la “parità di genere”.

Le ideologie oggi dominanti: ambientalismo, digitalizzazione, sanitarizzazione, pansessualismo, non sono altro che la manifestazione, spesso crassa, di un messianismo/millenarismo dell’alienazione: termine che non va interpretato né in senso meramente piscologico, né con riferimento ortodosso alle tesi marxiane, ma nel suo significato intimamente spirituale, e strutturalmente legato alla intenzione “magica” di mutare la natura umana, “transumanandola”. Con la legge Mancino si proibivano certe idee, col decreto Zan si volevano vietare persino alcuni sentimenti: che, tuttavia, non costituiscono e non hanno mai costituito reato.

Una civiltà che ha eretto a proprio dogma la legittimità dell’omicidio volontario, anche per futili motivi, dell’innocente (dell’inerme) da parte della madre e l’illegittimità dell’omicidio del colpevole da parte dello Stato (pena di morte) non può che riprodurre esponenzialmente rovesciamenti: alla “scienza” si chiedono continui atti di fede (senza evidenze: infatti, chi si vaccina “crede” nella scienza!), mentre alla religione, ridotta a quinta colonna del regime sanitario, si chiedono “prove scientifiche” (oltre che inchini, che quella non manca di offrire, talvolta anche preventivamente). D’altronde, chi è per l’aborto è di norma a favore dei vaccini sui bambini – per i quali sono usate linee cellulari di feti abortiti – e ha tagliato senza scrupoli le risorse per la sanità: ma al traffico ed alla manipolazione di esseri umani si sono affiancati il traffico e la manipolazione di virus [2].

Le questioni in campo non vanno allora posta sul piano “morale” (della “libertà” astrattamente intesa, da un punto di vista modernistico), ma su quello ontologico (della “realtà”, concreta e ultima): ecco perché essa può essere indagata da chiunque sia dotato di buon senso (laddove l’iperspecializzazione, come la superbia, offusca talora l’intelligenza). Solo così si possono combattere gli estremi convergenti dell’irrigidimento plutocratico e delle derive libertarie, facce di una medesima medaglia che spesso convivono nelle forme “politiche” dell’Occidente contemporaneo. Altrimenti, tutto diverrà roboticamente procedurale; e il formalismo neoborghese del “dialogo, dei “protocolli” e delle linee guida annichilirà se stesso: la tirannia dei protocolli e degli automatismi – contro cui E. Junger, un “fascista”!, ci aveva profeticamente avvertiti – svelerà allora il suo volto, quale fase suprema del capitalesimo.

I due parricidi archetipici del ‘900 (Vaticano II e ’68, in relazione cronologica e teoretica), di conio essenzialmente neoliberale, andrebbero riletti alla luce dei loro effetti: fondamentalmente, l’instaurazione di una civiltà “femminea”, con tutti i precipitati neognostici del caso (libertarismo assoluto e orientamento “magico”). Il rapporto sbilanciato con la madre, nei termini di una soggezione ad essa e di un odio “compensativo” nei confronti del padre, oggi di fatto eclissato nella sua funzione di pater familias, ha vulnerato l’istituto centrale della civiltà europea: la famiglia, in cui emerge la natura razionale, sociale e sessuata dell’essere umano. Proliferazione dell’omosessualità, del crimine violento e abnorme, omosessualismo, pedofilia e, ultimamente, rifiuto della natura umana (corpo, anima, “sociabilità”) ne sono gli esiti inevitabili.

Lo “spettacolo della morte” – o meglio della decomposizione in forma terrifica di una civiltà – costituisce una manifestazione tipica e allo stesso tempo parossistica della società tardocapitalistica: sia nella sua rappresentazione mediatica, che penetra nei recessi più intimi degli “spettatori” (pornografia e violenza furono rappresentate esponenzialmente, di pari passo, dalla fine degli anni ’60: M.A. Iannaccone, Meglio regnare all’inferno. Perché i serial killer popolano il cinema, la letteratura e la televisione, Torino 2017, p. 309), sia nella sua “ritualizzazione” operata dai serial killer. Si potrebbe anche dire che la violenza “politica” della prima metà degli anni ’60, poi addomesticata e “riorientata” dal programma MKULTRA, si è successivamente interiorizzata, rendendosi più sfuggente, ed in un certo senso approfondita: anche attraverso la sua rappresentazione sempre più seriale (l’immaginazione produce la realtà, un adagio oggi dimenticato o usato in modo “rovesciato”) si giunge, tramite lo “spree killing”, al cd. “serial killing” degli anni ’70-80 (ed oltre), talora “sacrificale” e “satanico”. Si tratta anche, a livello più radicalmente “spirituale”, della progressione della “noia” propria della totalizzante forma-capitale, di cui la “pop culture” è creazione eterodiretta. La potenza dell’omicidio, spesso rituale e sempre “senza movente”, genera un circolo vizioso tra potere, depressione e desiderio, da cui non è possibile sfuggire proprio in virtù del carattere “progressivo” dell’abisso. Omicidi “mimetici”, con overkilling “animici”, possono essere considerati la pedofilia e la sodomia. Il neocapitalismo, che glorifica in particolare quest’ultima nella pubblicità, nel marketing, nel cinema, nella psicologia e nella cultura di massa, e più generalmente come ideologia funzionale al suo trionfo onnipervasivo (che coinciderà con la sua autodistruzione), costituisce un cannibalismo mimetico (in rari ma non insignificanti casi addirittura pratico!). Non a caso, la sodomia (come la pedofilia “in atto”, in cui si lavora come surplus demonicamente teleologico alla distruzione dell’innocenza), oltre ad essere socialmente pericolosa perché naturalmente sterile e “dissolvente” sul piano individuale, non costituisce una relazione paritaria: in essa si esercita, da parte dell’”attivo”(il maschio “forte”!) , un dominio sul “passivo” (la femmina “debole”!): dominio che è in palese, apparente contrasto con la retorica dell’uguaglianza, di cui è la manifestazione “privata” che si copre col belletto scialbo e stantio delle vacue petitiones principii ad uso dei polli in batteria.

Il “guasto” iniziale, per i miserabili che cadono in codesti abissi, sta nel non sentirsi amati (ciò che deriva da una natura particolarmente autocentrata, ovvero da un affettività assente o deviata, che si innesta comunque su di un’anima particolarmente incline al male), col tentativo di compensare ciò con una “volontà di potenza” che sta tutta nella natura umana (ma di norma è contenuta o “orientata” verso altri lidi). Da non sottovalutare, poi, sono lo sfascio della famiglia, fondamentalmente via rivoluzione sessuale, e la conseguente omosessualizzazione della società occidentale. Lo stesso fatto che si sia contrari (?) all’aborto da parte di cattolici “di destra”, sostenendo che il bambino ha diritto alla vita (e non alla visione beatifica), è già un segno del fumo di Satana penetrato nel tempio.

Se una “possessione” di alcuni serial killer (e di alcuni oscuri uomini “di potere”) non può essere presa in considerazione, forse si potrebbe ragionare di “ossessione demoniaca” (v. J. Dahmer) ovvero di “possessione ideologica”. Si ricorderà il caso di J. Parsons, che liberò demoni nel corso di operazioni magiche verso la seconda metà degli anni ’40: e proprio da allora iniziarono strani e molteplici avvistamenti, quasi in serie…

La civiltà occidentale, glorificata da liberal, trotzkisti e financo da “tradizionalisti”, è in realtà fondata sul sacrificio dell’innocente: aborto, guerre “democratiche”, “serial”, “spree”, “mass killing” (per non parlare del fenomeno della pedofilia e degli “snuff movies”), perpetuato dalla sua rappresentazione mimetica, continuamente riattualizzata ed efficace poiché si imprime nella memoria e nella immaginazione degli spettatori (ibidem, p. 442); inoltre, ed è un punto cruciale, “lo spettacolo della morte […] acquista importanza proprio nel momento in cui la società ‘occidentale’ […] si secolarizza e deve sostituire il sacrificio eucaristico con qualcos’altro perché viene a mancare il capro espiatorio” (ibidem; corsivo mio).

In questo senso, la civiltà del capitalesimo è tecnicamente “satanica” in quanto onnipervasiva ed animalescamente onnivora: anche perché è riuscita a trasmutare alcune significative “sacche di resistenza” al dominio del capitale nel loro opposto (movimento omosessuale delle origini, Chiesa, PCI). A ben guardare, è il “serial killer” l’homo novus del capitalesimo, prodotto dal “caos controllato” della contestazione sessantottarda; della religione capitalistica egli riproduce sul piano individuale la violenza disumana, il culto del controllo e la serialità inarrestabile, ossessiva; e un Sam Brinton, scoria che si occupa di scorie, non ne è che un epifenomeno, pur significativo. Dopo averne scrutato per un attimo il volto e la posa in un’immagine sul web, ne siamo certi: la “civiltà occidentale” è una funerea danza di invertebrati su nauseabonde rovine irrelate.

Marco Toti

Note:
[1]
https://www.renovatio21.com/quello-che-mussolini-non-ha-capito-il-dominio-della-cultura-della-morte/
[2] https://www.zonedombratv.it/linchiesta-su-ilaria-capua-i-chiarimenti-di-lirio-abbate/

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