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IL SISTEMA DI CREDITO SOCIALE E L’ID DIGITALE IN CINA E NEL MONDO

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A cura di Verdiana Siddi
Il 9 Giugno 2022
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Di Flavia Manetti

Da tempo la narrazione che imperversa, anche tra molti sinistri, è che il “democratico e liberale” Occidente si stia apprestando a copiare i modelli distopici della Cina in fatto di Id digitali e sistemi di credito sociale. Eppure, sono anni che non è WeChat ma i social media che usiamo come la “democratica e libera” Wikipedia, Twitter, Facebook e You Tube a decidere cosa liberamente pubblicare o censurare: chi oscurare e chi no, cosa è giusto pensare o cosa no. Ci si stupisce delle telecamere di riconoscimento visivo che la Cina ha applicato, in alcune città durante i lockdown ma è sicuramente altrettanto allarmante quello che è successo a maggio a Roma: alla stazione della Metro Anagnina, dove è andata in onda l’esercitazione militare “antiterrorismo” del sistema Dexter (Detection of explosives and firearms to counter terrorism) , finanziata dalla NATO, per prevenire attacchi con armi, bottiglie molotov o esplosivi in metropolitane, stazioni ferroviarie, aeroporti ma anche piazze e spazi affollati…Un “guardian angel” hi-tech che servirà allo Stato per controllare, reprimere, arrestare tutti i coloro che riterrà disubbidienti.

Il nostro prossimo futuro distopico, sospeso tra ID e Crediti sociali, era già stato studiato a Washington e non a Pechino. R. Kurzweil, uno dei “guru” di Google scriveva, già nel 1999, in “The Age of Spiritual Machines” :

la singolarità tecnologica ci permetterà di superare le limitazioni dei nostri corpi e cervelli biologici. Saremo artefici del nostro destino. La mortalità sarà nelle nostre mani. Saremo capaci di vivere quanto vogliamo.

E ben prima della pandemia la UE aveva deciso di varare un “passaporto digitale” in grado di incrociare una serie di dati dei suoi abitanti. Il Green Pass ne è stato l’esperimento pilota. Attualmente, inoltre, si confonde e si sovrappone il sistema di credito sociale “cinese” con l’ID digitale, che sono due cose diverse.

Il sistema cinese di credito sociale non si ispira alla “patriarcale” piramide confuciana e alla teocrazia di Xi, ma piuttosto ai modelli occidentali come la FIC negli Stati Uniti (Fair Isaac Corporation, misura del rischio di credito al consumo) o alla Schufa in Germania (la solvibilità dei cittadini, monitorata e registrata da Schufa Holding AG, la più grande agenzia di credito tedesca). La “Schufa Auskunft”, ovvero le informazioni creditizie che seguiranno il cittadino per il resto della sua vita. I punteggi di affidabilità sono una misurazione della solvibilità verso le proprie obbligazioni finanziarie come le bollette delle utenze e i pagamenti della carta di credito. Attraverso questo sistema viene controllato l’individuo che vuole fare un mutuo, un prestito, un contratto telefonico o prendere una casa in affitto.

È dagli anni ’70 che l’imperialismo europeo sta studiando come applicare il NIN (il numero di identificazione nazionale) dei suoi cittadini. In Germania, nel 1973, con il database Steinmuller, in Francia, molto dopo, con il sistema Chignard. La Danimarca lo ha introdotto nel 1968, l’Estonia nel 1992, l’Austria nel 2006 [1].

La Cina, per il suo sistema di Credito sociale si è ispirata a questi modelli. Quindi la Cina capitalista non sta imponendo un modello, sta inseguendo un modello, quello imperialista già in essere nelle nostre “società aperte”, come in Australia o in Canada.

Al momento nella lista nera del SCS cinese sono finite 10 milioni di aziende e persone, soprattutto aziende. Per comprendere il sistema di credito sociale bisogna quindi tenere a mente che il progetto cinese nasce con uno scopo economico di regolamentazione statale che, ancora oggi, rimane l’obbiettivo principale. La maggior parte dei soggetti inclusi nei vari sistemi di credito sociale sono infatti le aziende (73,3%), mentre il 13,3% è costituito da cittadini e il 3,3% da organizzazioni [2]. Teoricamente dovrebbe servire come una sorta di ispettorato del lavoro digitale.

OTTAWA O PECHINO?
Altra cosa è comunque l’ID Digitale occidentale, dove la congiunzione tra monitoraggio creditizio e monitoraggio politico e sociale è avvenuto appena pochi mesi ad Ottawa, non a Pechino. E già adesso negli Stati Uniti, per accedere ai siti istituzionali, come quello delle Agenzie delle Entrate federali, occorre inviare (ad una società privata in Virginia) molti dati personali, incluso un video – dal vivo – del proprio viso per aprire un “ID.me”. Ma pochi sospettano che le prove generali dell’ID digitale, in Europa, si stanno sperimentando in Ucraina.

A questo proposito vi rimando ad un articolo di Roberto Ianuzzi su Intelligence for the People nel quale l’autore scrive che l’Id digitale, in Ucraina, era eterodiretto dalle grandi multinazionali dell’High Tech, già prima della guerra [3].

Anche il sistema cinese si appresterà – probabilmente – ad imitare il sistema di controllo sociale che l’imperialismo sta introducendo per arginare, nella sua crisi sistemica, resistenze, lotte, sollevazioni. Ma non ne è l’antesignano.

Rimaniamo colpiti davanti al robottino cinese che percorre le strade di Pudong gracchiando : “Mettetevi le mascherine!” (non a caso trasmesso a reti unificate dalle nostre televisioni) ma dovremmo riflettere meglio (e con più rabbia) sull’esperimento canadese : è stato il democratico Trudeau, forte delle leggi speciali emanate, a congelare i conti correnti dei camionisti, sospendere i loro account sui social, sequestrare le raccolte fondi in solidarietà con la loro lotta e rintracciarne i donatori/fiancheggiatori). Questo è il vero modello orwelliano che ci aspetta.

E’ anche il modello, anticipato dall’episodio televisivo, di Black Mirror “Nosedive”, citato da tanti, dove i cittadini usavano i loro cellulari per recensire i comportamenti virtuosi o meno degli altri, su una scala di uno a cinque. Qualsiasi comportamento o opinione “scorretta” o impopolare portava a basse recensioni, bassi “like” e quindi all’esclusione sociale. Con una piccola differenza: il Governo canadese non ha rinunciato ad affiancare alle sue nuove pratiche repressive, quelle più tradizionali: esercito, polizia e servizi segreti.

Il “Moloch” cinese ed il suo proletariato
In realtà, la banalizzazione del “mondo” del dispotismo asiatico quale forma perfetta dello Stato oppressore, è un mantra necessario per l’imperialismo occidentale allo scopo di preparare un’offensiva finanziaria, politica e militare contro il “gigante” cinese. Quello che manda in bestia le centrali finanziarie e statali dell’Occidente non è il presunto dispotismo asiatico, quanto piuttosto la sua “morbidità” e “sensibilità” nei confronti delle richieste e lotte operaie ed i limiti che sta imponendo ai profitti delle multinazionali, che fino ad ora hanno usufruito a mani basse del bestiale sfruttamento del proletariato locale. Le nuove generazioni del proletariato cinese non sono più disposte a donare la propria vita alla rinascita ed allo sviluppo capitalistico del proprio paese senza contropartite e tantomeno a farlo per i giganti del big tech occidentale o in onore del sostegno al debito statunitense, o per garantire al mondo “evoluto” merci a basso costo.

In questo senso il “patto sociale” che ha unito lo Stato cinese e le sterminata base contadina inurbata negli anni passati è costretto a rimodularsi. Se il capitalismo cinese vuole affacciarsi alle catene del valore internazionale, completare lo sviluppo e la centralizzazione del proprio mercato, nonché risolvere il problema di una riforma agraria capitalistica mai completata, non può più contare sulla frugalità e remissione del suo proletariato. La rimodulazione di questo patto è una cosa intollerabile soprattutto per l’imperialismo occidentale. Di conseguenza l’esaltazione delle insofferenze al tecno controllo sociale da parte dei media nostrani mirano da una parte ad esaltare l’Scs cinese fino alla caricatura, dall’altro a presentare le lotte operaie come indirizzate contro il dispotismo locale, depurandole dalla loro valenza sociale che mina innanzitutto i sopraprofitti e gli enormi vantaggi di cui ha potuto usufruire per un ventennio il libero occidente.

La stupidità del “democratico” spirito liberal nostrano, che contagia sempre più spesso presunti rivoluzionari ed internazionalisti da operetta, non riesce a comprendere che le dinamiche del patto sociale in Cina passano attraverso altri strumenti di mediazione che quelli sbandierati in occidente ed in via di archiviazione (parlamenti, sindacati istituzionali, diritti di cittadinanza). Preferisce bere alla narrazione del popolo bue disciplinato e laborioso teleguidato da un tecno-confucianesimo statale invasivo ed ottusamente repressivo. La stessa, per certi versi folle, politica del contagio zero contro il Covid ha avuto come motivazione la necessità di difendersi di un attacco biologico (quanto folle poi non si sa: gli ultimi studi sulla struttura non naturale del Sars covid 2 dovrebbero far riflettere). In ogni caso anche in questo frangente il disciplinamento per una prima fase condiviso è stato poi contestato ed il “monolitico” Stato cinese ha fatto parzialmente marcia indietro come nell’ultimo caso delle proteste di Shanghai contro il nuovo lockdown.

E’ interessante notare che il sistema ScS, in Cina, non è diffuso nelle regioni politicamente sensibili (quella degli uiguri nello Xinjang o quelle del Tibet) ma nelle regioni economicamente più sviluppate (il Jiangsu, il Guangdong, lo Zhejiang ed il Sichuan) [4]. A conferma della valenza economica, più che politica nel sistema, le regioni da cui sono partite le lotte, poco conosciute, che il proletariato cinese ha fatto, in questi anni, ottenendo importanti vittorie: aumenti salariali; riforma delle pensioni: la legge per regolamentare gli straordinari, soprattutto nel settore di internet e delle start up del Tech. Queste lotte hanno costretto il Governo cinese a regolare l’orario 996, le 12 ore quotidiane, tipiche del settore tech, dichiarandolo fuori legge.

E’ abbastanza difficile “mappare” la lista degli scioperi del proletariato cinese di questi ultimi decenni, alcuni sono noti: gli scioperi degli operai della Honda a Zhongshan, nel 2010 o lo sciopero, nel 2014, nella più grande fabbrica di scarpe da ginnastica del mondo a Dongguan: l’impianto Yue Yuan che produce per i marchi di Adidas; Nike, Timberland, ecc. Una catena industriale che impiega 30.000 lavoratori cinesi.

Altre lotte lo sono di meno: gli scioperi dei lavoratori dei supermercati a partecipazione tedesca della Tesco, nel 2015 o quella, nel 2017, negli stabilimenti della Volkswagen a Changchun, una joint-venture sino-tedesca per la produzione di automobili dove centinaia di lavoratori hanno presentato un reclamo alla All-China Federation of Trade Unions (ACFTU) chiedendo parità di retribuzione a parità di lavoro. Alcuni di loro, assunti da agenzie di collocamento per conto della FAW-Volkswagen, lavoravano nell’azienda da più di dieci anni, ma venivano pagati solo la metà rispetto ai lavoratori assunti direttamente. Lotte che confermano che la Cina è l’Officina del mondo.. soprattutto del “nostro”.

Va ricordato anche lo sciopero nazionale degli operai manovratori di gru, nel 2018, per rivendicare maggiori misure di sicurezza sui posti di lavoro e salari migliori. Uno sciopero che ha coinvolto 10 province. La crisi internazionale, la pandemia ed i lockdown hanno, poi spostato le lotte operaie nel settore della logistica, dei Riders e in quello del Big tech.

Lo Stato cinese (nelle sue infinite articolazioni-disarticolate tra Citta’-Stato, regioni, province e comuni (a volte più grandi di intere regioni italiane) ha dovuto, in questi anni, fare delle concessioni salariali e normative e rendere meno selvaggio il suo mercato del lavoro, rendendolo anche meno “appetibile” di prima agli avvoltoi occidentali e giapponesi.

Il sistema dei crediti sociali cinesi si inserisce in questo contesto. Non nasce dunque da un puro progetto dispotico orientale ma anche soprattutto dalle resistenze e delle lotte del proletariato cinese contro i crescenti livelli di sfruttamento capitalistico.I suoi intenti disciplinatori sono fortemente condizionati da queste premesse ed al momento la sua dimensione e diffusione è ridicola rispetto a quanto si sta attuando in Occidente.

Il sistema era stato inizialmente studiato per:

  1. Monitorare la sicurezza della catena alimentare cinese
  2. Monitorare quelle aziende che non applicano i contratti nazionali [5], le norme di sicurezza sul lavoro, le misure di sicurezza ambientale e quelle che devono arretrati nei confronti dei loro dipendenti (in genere migranti)
  3. Porre un freno a quelle aziende del Big Tech cinese che, negli ultimi anni, e sotto la pandemia, avevano approfittato per dilatare, all’infinito , gli straordinari ed i tempi di lavoro dei loro dipendenti

Le aziende “pilota” che stanno sperimentando questo sistema (e da questo sistema dovrebbero essere monitorate) sono, per esempio, Ali Baba e WeChat. Nel mentre la repressione politica o quella verso alcune minoranze sono seguite da altre attività, come quelle denominate Golden Shield e Sharp Eyes; nate – soprattutto – per contrastare l’attività della NED (il National Endowment for Democracy, nominalmente una ONG), l’Ente americano di “promozione della democrazia nel mondo” che promuove e finanzia le rivolte separatiste; le rivoluzioni colorate e le crisi politiche a scala planetaria. In Cina l’Ente si è speso per finanziare gruppi separatisti nello Xinjiang, in Tibet e ad Hong Kong. Dichiarano, dal loro sito, che solo nel 2020 in Cina, sono stati finanziati (con 10 milioni di dollari) 69 programmi per “promuovere la democrazia” nel paese e 2 milioni per Hong Kong.

LA LENTA RINCORSA DEL CAPITALISMO CINESE…ALLA DISTOPIA DELL’IMPERIALISMO OCCIDENTALE
Il ScS cinese – in Occidente – viene dunque presentato come un modello sofisticato ed ormai realizzato di controllo algoritmico; in realtà non ha niente a che vedere con l’ID digitale che la Comunità Europea si sta apprestando a varare.

Il sistema di credito sociale cinese rimane in larga misura analogico e scarsamente digitalizzato, limitando spesso l’uso della tecnologia digitale ai fogli di lavoro Excel o ai gruppi WeChat, la popolare super-app cinese. La mancata standardizzazione dei dati, inoltre, rimane un grosso limite all’automazione del sistema e al suo sviluppo su scala nazionale. Tuttavia, questo non esclude la possibilità che, nel prossimo futuro, tecnologie più sofisticate possano portare il sistema a un livello molto più pervasivo, soprattutto se sommate ad altri progetti di sorveglianza come le telecamere a riconoscimento facciale o l’Internet delle Cose (IoT) nelle smart city. Ad oggi, però, un punteggio calcolato in base alle proprie opinioni o ai post sui social media rimane ancora irraggiungibile [6].

Attualmente, in Cina la sperimentazione dell’ScS viene applicata da qualche comune, singoli dipartimenti governativi e qualche azienda privata. In alcune città, a seguito della reazione dei cittadini è stato addirittura revocato (non sospeso, come il nostro green pass).

L’ ScS cinese è quindi ancora in fase sperimentale e non è affatto applicato su base nazionale. È – invece – il green pass italico (modello sperimentale copiato in tutta Europa) che è stato applicato a tutto il paese. E sarà l’ID digitale della UE a diventare una unica banca dati per governi, polizie e servizi segreti. Tant’è che la Von der Leyen ha dichiarato: “Abbiamo dimostrato – che quando agiamo insieme siamo in grado di agire con efficacia. Lo abbiamo fatto con la lotta alla pandemia e con il Green Pass europeo. Ora tocca alla difesa e ai servizi di informazione”.

IL NUOVO MONDO…
Inoltre, va detto che il “sistema dei crediti sociali” e l’ID digitale lo stanno sperimentando, già da anni, sulla loro pelle, le comunità più povere, oppresse e razziate del “Nuovo Mondo”. Nella civile Australia i progetti di credito sociale risalgono al 2016 e sono diversi: da una parte mirano a ridurre i costi dei sussidi sociali erogati e dall’altra a legarli ai comportamenti virtuosi dei suoi beneficiari. Contro gli aborigeni australiani ed i più poveri delle isole dello stretto di Torres si utilizza la vergognosa “Cashless Debit Card”; contro le donne, a capo dei nuclei familiari, si utilizza il sistema creditizio del ParentsNext, che costringe le madri, settimanalmente, ad una serie di “doveri educativi” imposti dallo Stato e al lavoro coatto di almeno 20 ore ogni due settimane, per non perdere il diritto agli “assegni familiari”. Inoltre i sussidi sociali della “Cashless Debit Card” prevedono che solo il 20% sia erogato in contanti, il resto è moneta digitale (utilizzabile solo per comprare beni primari e solo in determinati negozi). E’ lo Stato a decidere come dovrai sopravvivere, cosa dovrai mangiare e quali valori dovrai inculcare ai tuoi figli.

Siamo ben oltre la piattaforma dell’ATAC di Roma che premierà i suoi cittadini virtuosi per quante volte prenderanno la metro piuttosto che la macchina o quella del comune di Bologna chiamata “ioPollicino” e promossa da aziende come Decathlon, Tper, Natura Si’, ecc . Altra cosa e’ il “modello Fidenza” dove agli assegnatari delle case popolari viene dato un credito di 50 punti che decresce, fino alla perdita della casa, se i beneficiari non rispettano alcune regole: ospitare “estranei” senza il permesso dell’Acer, fare barbecue; dare da mangiare ai volatili, consumare alcolici negli spazi comuni, ecc. Ma soprattutto da’ ai funzionari comunali la libertà di irruzioni e perquisizioni nelle case popolari! Una misura che è soprattutto rivolta contro gli immigrati e gli assegnatari più poveri.

Nella crisi sistemica globale, nessun capitalismo potrà sottrarsi alla necessità di imporre l’ID digitale e sistemi ScS al duplice scopo di incrementare il controllo sulla produzione ed il consumo e disciplinare ed addomesticare i comportamenti sociali. Ma è soprattutto quello occidentale, che detiene i mezzi finanziari e tecnologici per realizzarlo sul serio, ad usare il sistema di credito sociale (al momento volontario) ed il sistema dell’ID digitale (che sarà obbligatorio). Non solo per operare schedature di massa tra i virtuosi cittadini ed i potenziali ribelli; non solo per controllarli e/o reprimerli ma anche per “educarli” , “costringerli” ed “orientarli” (a forza) verso modelli sociali più capitalisticamente “ottimali” e funzionali al profitto. In un sistema in cui l’intera vita deve essere addomesticata; non solo attraverso il disciplinamento diretto ma anche attraverso quello “indiretto”: depolicizzare e deconflittualizzare il potenziale scontro di classe (delegato alla “neutralità degli algoritmi, della “Scienza”, della “Tecnica).

Questa mostruosa superfetazione ben unisce le esigenze del capitale in crisi di operare un salto nell’utilizzo della tecnica per estrarre plusvalore e funzionalizzare l’intero arco della vita sociale ai bisogni della valorizzazione, con il ruolo disciplinatorio e repressivo dello Stato. Dopo 2 anni di sperimentazione pandemica dovremmo averlo capito ed individuato le sue reali origini. E’ bene forse dunque rabbrividire di meno rispetto al gracchiante cagnolino cinese e comprendere meglio cosa si sta abbattendo su di noi in casa nostra. Anche perché nella nostra società dell’emergenza permanente la guerra per addomesticare tutto il mondo sarà il pane quotidiano del prossimo futuro. E non è lontano il tempo in cui partirà (dopo il mantra anti russo) la necessità di “liberare” dal dispotismo asiatico gli oppressi della Cina. Liberarli ovviamente per rifarli schiavi del nostro liberale e progressivo mondo fatto di algido e spietato sfruttamento, controlli digitali e disumanizzazione della vita stessa.

Di Flavia Manetti

NOTE
[1] Ancora: in Francia i servizi segreti hanno sviluppato algoritmi che rilevano comportamenti strani e/o ricerche anomale degli utenti su internet. In Germania, a Mannheim, le telecamere di sorveglianza avvertono la polizia quando vengono rilevati comportamenti anti-sociali; in Spagna, un algoritmo scheda determinati comportamenti dei cittadini per stabilire se possono beneficiare dei prezzi sovvenzionati dell’elettricità. In Svezia un algoritmo recupera diverse informazioni dai diversi database e decide chi può avere diritto ai benefici sociali: in Danimarca è stato progettato un sistema a punti per schedare i bambini “vulnerabili”: 3000 punti per bambini con malattia mentale; disoccupazione 500 punti; mancata visita dal medico, 1000 punti; appuntamento dal dentista, 300 punti. Da Algorithm Wacht – Nicolas Kayser-Bril
[2] Fonte: Foreign Politicy – Vincent Brussae – 15/9/2021
[3] https://robertoiannuzzi.substack.com/p/lucraina-come-paese-pilota-della?s=r
[4] Da Pandora – Francesco Nasi – 28/12/2021
[5] Da il Bollettino – Maggio 2022 – Sara Teruzzi:
La Corte Suprema del Popolo e dal Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, ha dichiarato “non validi” tutti quei contratti che impongono turni di lavoro troppo impegnativi. Nata con il boom di internet e delle start up del tech, la cultura degli straordinari, in Cina, sembra essersi estremizzata negli ultimi anni con il rallentamento della crescita economica che ha investito anche i comparti più fiorenti del Paese. La crisi pandemica, poi, ha reso il mercato del lavoro ancora più competitivo e i licenziamenti sempre più diffusi. In questo contesto, è bene considerare le misure stringenti che Pechino sta adottando per disciplinare i giganti tecnologici: dalle indagini per mano delle autorità regolatrici, a multe e obblighi di auto-rettifica, l’obiettivo è ridistribuire la ricchezza accumulata dalle multinazionali e, al contempo, regolarne le condizioni occupazionali interne. E il 996 fa parte di una cultura del lavoro legata proprio al settore delle nuove tecnologie. Questa modalità eccede di circa il 35% il massimo di ore mensili stabilito dalle leggi cinesi (196 ore), che fissano un limite per le ore extra a 36 al mese: con il 996, invece, si possono raggiungere fino a 128 ore di straordinari ogni trenta giorni. Negli ultimi mesi, la convinzione che orari più lunghi comportino una maggiore produttività sembra sia venuta meno, soprattutto dopo l’ulteriore ondata di indignazione suscitata da diverse morti legate all’overworking. E le aziende hanno iniziato ad adeguarsi: a giugno, uno studio di animazione di proprietà di Tencent, casa madre di WeChat, ha introdotto una politica che obbliga i dipendenti a staccare alle sei di sera e a riposare nel weekend. Altri colossi tech hanno seguito a ruota: da Meituan, leader nella consegna espressa, ByteDance, società artefice del social network Douyin (Tik Tok per i non cinesi), a Kaishou, altra app di video brevi, tutte hanno messo un punto alla pratica di alternare settimane di sei giorni lavorativi e settimane di cinque.”
[6] K. Drinhausen e V. Brusee, China’s Social Credit System in 2021. From fragmentation towards integration, MERICS – Mercator Institute for China Studies, «China Monitor», 3 marzo 2021.

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