Il Sistema Casaleggio e il capitalismo digitale della sorveglianza

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DI ROSANNA SPADINI

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L’ultimo libro di Evgeny Morozov, “Silicon Valley, i signori del silicio” (2016), ci illustra le meravigliose sorti e progressive del capitalismo digitale contemporaneo, con tutto il suo bagaglio di tecnologia privatistica al seguito: estrazione rapace dei dati, rapida ascesa di piattaforme monopolistiche e conseguenze sociali in termini di lotta di classe postmoderna, da una parte l’emergere di un neo-feudalesimo in cui poche piattaforme tecnologiche ai vertici accumulano un immenso potere, determinando anche la trasformazione dello stato sociale, dall’altra la massa degli utenti e followers, il popolo del web, che presi da fanatismo compulsivo, navigano sulle piattaforme senza rendersi conto di essersi trasformati in uno sciame scomposto completamente manovrabile, ostaggio della falsa emancipazione dei servizi online e privi di diritti, eccetto quello di fare share.

Il modello data-centrico del capitalismo digitale cerca di mercificare ogni aspetto delle nostre vite, in modo particolare i nostri profili antropologici e professionali, sullo scorrere dei gigabyte ci promette più libertà, trasparenza e benessere, ma si tratta di una libertà taroccata, come quella di chi è costretto a portare il braccialetto elettronico.

Quello del sistema data-centrico del web e degli smartphone è un totalitarismo che non indossa divise, svastiche, stivali, ma rappresenta la nuova società del controllo, e l’invisibilità del potere è la sua nuova divisa, assolutamente impercettibile.

Il mantra della sharing economy impone che tutto ciò che possediamo sia categorizzato, dai beni materiali ai pensieri immateriali, magari siglati col sigillo di un QR code.

Gli strumenti del dividendo della sorveglianza ci rendono del tutto trasparenti e manipolabili, assumono le sembianze di un “problem-solving” mentre promuovono la privatizzazione delle masse, in modo da ridurle perfettamente tracciabili e perfettamente influenzabili. Tutte le nostre abitudini possono essere analizzate e condizionate in tempo reale, dissolvendo in questo modo molti dei problemi che oggi sovraccaricano i servizi sociali, riducendo però la protesta civile a spettacolo individualista, consumista, in cui le soluzioni si chiamano app, e vengono cercate nel mercato piuttosto che sulla pubblica piazza.

Questa individualizzazione della politica non è del tutto sorprendente, dal momento che i metodi del dividendo della sorveglianza hanno deliberatamente abbandonato qualsiasi ricerca sistematica di fattori e cause storiche del cambiamento sociale che trascendano l’individuo. Favole intrise di utopia interessata, che razionalizzano le patologie del nostro attuale sistema politico ed economico, presentandole come scelte di vita consapevoli.

Il dividendo della sorveglianza gestirà la vita sociale con dispositivi intelligenti, toilette intelligenti in grado di «sincronizzarsi con lo smartphone dell’utente… e riprodurre la sua musica preferita attraverso altoparlanti incorporati nella tazza»,  studi randomizzati per capire se la musica renda più felici gli utenti, strumenti ideali per scatenare una possibile pandemia di benessere.

Il modello Gmail sarà sempre più invasivo, di pari passo con il processo di smartification di tutti i nostri dispositivi e oggetti di uso comune, potremo averli gratuitamente o quasi, ma in cambio dovremo consentirgli di raccogliere i nostri dati; per quanto riguarda i dispositivi dotati di schermi o altoparlanti, a coprirne il costo saranno messaggi promozionali basati sull’uso che ne faremo.

Amazon sta già seguendo un simile percorso con i vari modelli di Kindle, se ne vogliamo uno più economico, dovremo semplicemente accettare di veder comparire annunci pubblicitari mentre leggiamo.

Secondo un modello lievemente modificato – fornito da varie start up conosciute come “personal data lockers” (ripostigli per dati personali) – saremo noi stessi a ricavare denaro da quei dati vendendoli, magari quelli prodotti dallo spazzolino intelligente, dall’automobile, dal cestino delle immondizie. C’è una start up, Miinome, che ci consente perfino di guadagnare mettendo online il nostro codice genetico: ogni volta che un’azienda terza vi accede – per personalizzare la pubblicità o usarla in qualche esperimento di Big Data – ne trarremo guadagno.

Sensori e connettività ubiqua contribuiscono a creare nuovi mercati liquidi per quelle informazioni, consentendo a tutti di monetizzare l’autosorveglianza, con conseguenze politiche ed etiche del tutto evidenti, visto che saremo costretti a vivere in un mondo in cui i dati personali sono oggetto di scambio come se fossero una tazzina di caffè o una qualsiasi altra merce.

Però le implicazioni della cessione dei miei dati personali non riguardano più soltanto il mercato, ma si estendono anche all’ambito etico. Più di trent’anni fa, Michel Foucault sostenne che il neoliberismo ci avrebbe trasformati in “imprenditori di noi stessi”, ma la stessa imprenditoria non è priva di criticità, dato che come la maggior parte delle attività economiche, può generare effetti negativi, dall’inquinamento al rumore. L’imprenditoria basata sulla condivisione di informazioni non fa eccezione.

È ormai morto e sepolto il potente mito dell’esistenza di uno spazio separato, virtuale, in cui è possibile avere più privacy e indipendenza dalle istituzioni sociali e politiche. Basta leggersi il comunicato diffuso da Microsoft subito dopo che il “Guardian” aveva dato la notizia che la NSA potrebbe aver intercettato chat e videochiamate su Skype (oggi di proprietà di Microsoft). Infatti, nel giustificare la necessità di rendere i propri prodotti compatibili con le esigenze delle agenzie di intelligence, il capo dell’ufficio legale di Microsoft scriveva che «guardando al futuro, con lo sviluppo di servizi di comunicazione vocale e video su internet, è chiaro che i governi avranno tutto l’interesse a usare (o stabilire) poteri legali per garantirsi l’accesso a questo tipo di contenuti e indagare così sui crimini, o affrontare il terrorismo”. Naturalmente il terrorismo è sempre un efficace argomento per scatenare guerre o imporre la sorveglianza sugli altri.

È una visione magari apocalittica del futuro, che però affronta un enorme problema politico sociale, quello della privacy degli individui continuamente violata dai segugi dell’informazione.

Problema che si affaccia in questi giorni alla ribalta della politica italiana. Infatti proprio ieri il  «Piano per l’innovazione digitale» presentato dalla ministra 5S Paola Pisano ha destato allarme tra i partiti di governo e alla fine il progetto è stato più o meno elegantemente abbandonato, per il momento escluso dal decreto «milleproroghe» in attesa di «approfondimenti», come ha spiegato Dario Franceschini al termine. Pd, Italia viva e Leu si sono trovati tutti d’accordo nel respingere quel “tentativo di blitz” su una materia che riguarderebbe la gestione dei dati personali dei cittadini e la stessa sicurezza nazionale.

La pubblicazione del “Piano” sul sito del ministero dell’Innovazione era stata affrettata, poche righe in coda al documento ringraziavano «per il contributo all’elaborazione» anche Davide Casaleggio, cioè il presidente della Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau, nonché unico tesoriere del M5S, che guarda caso fa affari proprio sul web. In ballo ci sarebbe la creazione di una piattaforma digitale che dovrebbe «trasformare il rapporto tra cittadino e PA», ma questo significa anche che per ogni cittadino ci sarebbe un “fascicolo digitale” che raccoglierebbe tutti i dati sensibili, password, attività e via dicendo.

Una vera e propria schedatura, un vero “Grande Fratello”, che nelle intenzioni della Pisano dovrebbe essere gestito da una sorta di “task force” da istituire presso palazzo Chigi. Però al momento i “cloud” sono solo privati… chi garantirebbe allora la sicurezza?

Nel “Piano” bloccato dal Pd la ministra Paola Pisano, vicina a Casaleggio, scrive alle pagine 24/25 che occorre «sviluppare l’autonomia tecnologica necessaria per il controllo dei nostri dati», e che bisogna «favorire l’adozione e lo sviluppo delle tecnologie di cloud computing, introducendo incentivi economici per l’uso e lo sviluppo di servizi cloud nel settore pubblico e privato». Però se si usa un programma proprietario o un server web di qualcun altro, si è indifesi, e si diventa preda di chiunque abbia sviluppato quel software.

 

Di fatto comunque la centralizzazione – e forse potenziale privatizzazione – dei dati italiani sembra essere già partita proprio da Torino, nel comune amministrato dal MoV di Casaleggio, l’11 novembre scorso. Il fatto passò inosservato, ma l’ad di Tim Luigi Gubitosi annunciò allora una joint venture potentissima con Google per la costruzione del più grande data center unificato italiano, al quale sarebbero stati conferiti i dati di 22 data center sparsi.

Tim promise che con Google tutto sarebbe stato fatto in fretta, che il data center torinese diventerà uno dei più grandi d’Europa, e la sindaca Appendino benedisse l’accordo, insistendo sul concetto caro alla Pisano (suo ex assessore all’ Innovazione): l’integrazione tra pubblico  e privato.

Il mega data center voluto dal M5S nasce quindi per accelerare la digitalizzazione delle aziende italiane, dalle pmi alla grande industria. In realtà questo immenso conferimento di dati a un gigante tech come Google lo porrà in pole position per diventare il grande cloud per la pubblica amministrazione?

Cosa accadrebbe se «la digitalizzazione radicale della pubblica amministrazione» di Casaleggio, avvenisse su un cloud privato, e per di più di una big tech americana? Fisco, sanità, regioni, potrebbero conferire dati, fossero anche solo “dati generici”, nel cloud di un monopolista americano? E Casaleggio risente forse di un lieve conflitto d’interessi?

Altro problema è l’infrastruttura 5G, che attraverso la Belt and Road rappresenterebbe un’autostrada per i cinesi di Huawei, con annessi e connessi le gravi incognite di sicurezza nazionale che ciò solleverebbe.

Ne “Il cerchio” di Dave Eggers, romanzo distopico profetico del 2014, la giovane  Mae viene assunta al “Cerchio” per occuparsi dell’Assistenza clienti. Il Cerchio è un’azienda di Web Marketing che investe i propri profitti in importanti scoperte e innovazioni in diversi campi, da quello scientifico, a quello tecnologico, umanitario, sociale, medico, dell’educazione, etc etc… L’azienda è grande quanto una città, viene infatti chiamata “campus” e i dipendenti “circles”, e offre a chi vi lavora dei benefit gratuiti che farebbero invidia a chiunque, persino alle attuali sedi di Google e Facebook.

Il tema chiave è la dipendenza dai social media e dal web a discapito della privacy. Le innovazioni tecnologiche del Cerchio infatti danno libero accesso a qualsiasi essere umano non soltanto ai dati sensibili dell’intera popolazione mondiale, ma anche a quello che accade alle persone in tempo reale, grazie a una telecamera delle dimensioni di un pollice, che invia tutte le informazioni a un archivio digitale. Ai vertici del Cerchio ci sono i Tre saggi, che monitorano le azioni di ogni dipendente, sia all’interno che fuori dall’azienda, che loro chiamano “comunità”.

Naturalmente ogni riferimento al sistema digitale della piattaforma Rousseau e al Non-Statuto del M5S, compresi trasparenza, direttorio, streaming, democrazia diretta, etc etc…  è puramente casuale.

Da un passo del libro di Dave Eggers:

“Bailey si voltò verso il pubblico “Non è un modo di esprimersi interessante ragazzi? La privacy è un furto”. Poi le parole apparvero sullo schermo alle sue spalle, a grandi lettere bianche:

I segreti sono bugie

Condividere è prendersi cura

La privacy è un furto

 

Rosanna Spadini

Fonte: https://comedonchisciotte.org/

 

 

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