Il governo italiano punta i piedi sul MES, vuole l’unione bancaria per salvare l’euro ed i risparmi dell’élite

Il ministro del Mef Giancarlo Giorgetti, con impeto inconsueto, si mette contro il resto dei paesi UE sul tema dell'approvazione della riforma del Mes: "discutere prima di unione bancaria". Mentre per quanto riguarda l'unione fiscale (tema più importante per famiglie ed imprese) - ovvero la riforma del patto di stabilità - ci si limita alla richiesta di tenere fuori dal rispetto dei parametri spese per Pnrr ed Ucraina.

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di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

Anche l’uomo della strada, ormai è pienamente cosciente di quanto l’eurozona sia una unione monetaria creata da una ristretta élite su modelli di dottrina economica inesistenti e resi plausibili attraverso l’infondere di un pensiero accademico del tutto fraudolento.

Unire più paesi attraverso l’uso di una stessa moneta, senza al contempo dotarli di una politica fiscale ed un sistema bancario comune, rappresenta un unicum storico in quanto a metodi di sperimentazione su come saccheggiare le nazioni e condurre i popoli alla schiavitù.

Tutto questo è avvenuto sotto i nostri occhi,  in quella che l’informazione main-stream non si stanca mai di ricordarci essere la civile, democratica e solidale Europa!

E’ come se si fosse costruita una macchina che agli occhi del mondo apparisse come una prestigiosissima Ferrari, senza dotarla di motore e benzina, con la pretesa di correre e vincere tutti i Grand-Prix.

A distanza di ventitré anni dall’entrata in vigore della moneta unica, senza che si fosse fatta anche l’unione fiscale e bancaria, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: malcontento, distruzione economica, disoccupazione, precarietà, povertà, mortalità infantile ed ogni altro indicatore che confermi la caduta in picchiata di un benessere diffuso conquistato nei decenni scorsi, sono presenti, con un grado di intensità più o meno forte, in quasi tutti i paesi membri dell’Unione.

Quindi, seguendo questo semplice ragionamento, l’unione bancaria che oggi, chiede con forza il nostro ministro delle Finanze, è certamente cosa buona e giusta. Fare in modo che tutti i depositi denominati in quella materia (la valuta), che la Banca Centrale Europea, produce in regime di monopolio (sto parlando della moneta Euro), siano da essa stessa garantiti al cento per cento, è essenziale per la tenuta del sistema bancario europeo e dell’unione monetaria stessa.

Eccoci di nuovo! Anche il nostro attuale governo, come del resto i precedenti, attraverso il suo ministro si preoccupa della sopravvivenza della moneta Euro. E la cosa non deve sorprenderci, se alla figura di Giancarlo Giorgetti rendiamo onore a quello che è il suo forte e solido legame che da anni coltiva con Mario Draghi.

Intendiamoci subito, Mario Draghi nella storia delle sue azioni, ha dimostrato ai conoscitori della materia, di comprendere alla perfezione il funzionamento della moneta e dei sistemi monetari moderni. Tant’è vero che ha sempre assolto in modo esemplare alla mission della sua vita, ovvero quella di intervenire sempre e comunque, con estrema competenza al momento giusto, per salvare la moneta unica europea.

Tanto per ripercorrerne le tappe principali a giustificazione del mio pensiero, basti pensare alla famosa frase (“whatever it takes”), pronunciata quando il nostro spread (il differenziale fra il nostro Btp ed il Bund tedesco), era oltre i 500 punti percentuali e Mario Monti si era appena insediato sulla poltrona di premier.

“Faremo di tutto per salvare l’euro” e poi aggiunse Draghi: “e vi assicuro che sarà abbastanza” – una frase, che pronunciata da colui che in quel momento era seduto sulla poltrona di governatore della BCE – e poi seguita dai fatti, rappresentati dalla messa in atto dei vari programmi di acquisto titoli del debito pubblico (OMT prima e QE poi) – rappresentava, a tutti gli effetti, una garanzia di fatto sui debiti pubblici degli stati membri e di conseguenza anche sui depositi bancari.

Andando oltre nel tempo, l’altro intervento decisivo di Mario Draghi per salvare la moneta euro, lo ritroviamo all’indomani dello scoppio della pandemia. Quando Madame Lagarde, suo successore a Francoforte, in modo del tutto avventato e devastante per coloro che tengono alla salute dell’euro, pronunciò la frase: “non rientra tra i compiti della BCE chiudere gli spread”.

La Signora francese, in quella occasione, mostrò di conoscere alla perfezione gli assurdi mandati che chi aveva costruito questa unione monetaria, aveva deciso di conferire all’Istituto centrale da lei governato in quel momento. Ma al contempo, dimostrò anche la poca conoscenza in materia economico-monetaria, visto che se li avesse portati a termine, nel giro di breve tempo non sarebbero più esistite né la BCE né la moneta euro.

Pochissimi ebbero il tempo di metabolizzare lo scivolone e gli effetti che si sarebbero susseguiti con la forza di uno tsunami, se Mario Draghi (sempre lui), non fosse intervenuto, la notte seguente alle citate dichiarazioni, prendendo metaforicamente madame Lagarde per un orecchio e costringendola a mettere in piedi quello che ad oggi resta il più grande e massiccio programma di acquisto titoli del debito pubblico della storia europea.

Una vera e propria monetizzazione dei debiti degli stati membri attraverso la creazione dal nulla di migliaia e migliaia di miliardi di euro, facendosi beffa dei trattati e smentendo tutte le fandonie dottrinali, mediante le quali, gli stessi personaggi – che ci vendevano la moneta unica come benefica – per anni ci hanno costretto a sacrifici enormi, per “starci dentro”.

Pensate arrivammo fino a mettere in un cassetto il dogma dei dogmi, quello secondo il quale la BCE non potrebbe per assoluta volontà divina, finanziare direttamente i deficit degli Stati. Nel 2020, in conseguenza delle mancate entrate fiscali per i lockdown, la BCE fu costretta a finanziare al governo italiano un deficit di 250 miliardi, senza il quale il Tesoro non sarebbe stato in grado di far fronte ai propri impegni, a partire dalle pensioni e dagli stipendi del settore pubblico.

Oggi, siamo nuovamente di fronte ad uno di quei momenti storici dove l’euro corre seri rischi e – nel segno della storia che si ripete – l’intervento di Mario Draghi pare proprio essere più necessario che mai.

La struttura dell’euro, come abbiamo visto è totalmente fallace, e di conseguenza sottoposta a crisi sistemiche di livelli dimensionali progressivi necessariamente tendenti al rialzo. Del resto, stiamo parlando di crisi che si manifestano per una essenziale mancanza numerica di denaro nella disponibilità della maggioranza, all’interno di un sistema che è creato appositamente per concentrare la ricchezza finanziaria in poche mani, affogando nel debito tutti gli altri.

Insomma, siamo nella esatta situazione di colui che pretende di sollevare un secchio da terra tirando il manico con le mani, mentre si trova in piedi al suo interno!

Anche un bambino di terza elementare sarebbe perfettamente in grado di comprende l’illogicità del ragionamento appena esposto che rappresenta esattamene la follia di quello che ci chiedono ed impongono di fare e rispettare.

Oggi, da dove arriva il problema per Mario Draghi e company?

Semplice, come ben preventivabile e previsto, sono iniziati i fallimenti delle banche e dagli USA sono già arrivati fino nel cuore del continente europeo, persino nelle tanto decantate e sicure banche svizzere.

La paura che fa novanta per chi ha a cuore la salute dell’euro, oggi è rappresentata dal sempre più che preventivabile default di una grossa banca sistemica europea. Un default di dimensioni tali che trascinerebbe con sé euro, Unione Europea e tutti i risparmi di coloro che l’hanno sostenuta negli anni per esclusivo interesse di potere ed arricchimento personale.

Altro che Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), in considerazione di tale evento – che ripeto preventivabile con altissime probabilità che possa verificarsi (magari qualcuno ne ha già la certezza!) – se a Francoforte non si mettono a schiacciare, senza limiti, quel tasto del computer che permette loro di creare dal nulla la moneta euro, necessaria a garantire i depositanti dell’istituto eventualmente coinvolto…. beh, la fine dell’euro sarebbe certa! Visto che, a quel punto, la stessa operazione dovrebbe essere svolta necessariamente a livello nazionale con una nuova valuta.

Ecco spiegato perché Giancarlo Giorgetti, ben istruito da Mario Draghi, non molla sull’unione bancaria.
Il mantenimento della moneta coloniale rappresentata dall’euro – da sempre utile per il saccheggio della nazione e del popolo italiano – e salvare i risparmi dei rentier di casa nostra, sono nel loro insieme, una più che plausibile e necessaria ragione per non mollare.

Del resto se non fosse così, o almeno se in chi ci governa ci fosse quel minimo di patriottismo, di attenzione al territorio ed un sano amor proprio per spingerli anche a pensare al loro popolo, tutto questo emergerebbe sull’altro fronte di battaglia che si sta combattendo sui tavoli della discussione politica in Europa.

Sto parlando della riforma del patto di stabilità, ovvero l’altro elemento essenziale affinché si possa provare almeno a far correre questa Ferrari rappresentata dall’unione monetaria europea.

L’unione fiscale è un punto cruciale e rispetto alla pur necessaria unione bancaria, ragionando in termini di democrazia, riguarda la netta maggioranza della gente. Temi come il salario minimo uguale per tutti i cittadini del continente ed una medesimo regime fiscale per le imprese, per non parlare di un allineamento sui tassi di interesse a livello europeo, sono temi per i quali le poste in gioco sono: la stabilità sociale, la sicurezza ed il benessere di famiglie ed imprese.

I paradisi fiscali (come l’Olanda), all’interno di un’unione monetaria, non sono contemplati nè dalla dottrina economica nè tanto meno se puntiamo il nostro sguardo verso l’aspetto morale di una solidarietà europea tanto sbandierata a parole quanto totalmente assente nei fatti.

Ditemi voi come si possa ritenere unita, solidale e giusta questa Europa, dove nella Germania dei così detti falchi dell’austerity e dell’inflazione, i salari stanno andando verso i 14 euro all’ora, mentre in Italia abbiamo già sentenze definitive dei tribunali dove si certifica che già da tempo si pagano i lavoratori 3,96 euro all’ora.

E’ bene chiarirlo una volta per tutte, la deflazione salariale, ovvero la corsa dei salari verso lo zero, è l’autostrada diretta che conduce alla schiavitù…. e 3,96 euro l’ora rappresenta già una situazione di schiavitù ben definita.

E la decisone di introdurre un salario minimo che possa permettere al lavoratore di poter crescere la sua famiglia con la necessaria tranquillità economica, è bene precisarlo, rientra nelle decisioni di politica fiscale dei singoli governi e non dipende da nessun altro fattore presente sul pianeta terra. Quindi il non applicarlo nel nostro paese non dipende nella maniera più assoluta dai tedeschi, ma  trattasi soltanto di una precisa volontà politica dei nostri governi di voler tenere il livello dei salari così basso e costringere il popolo alla sofferenza.

La disoccupazione è sempre, solo e soltanto frutto di un deficit troppo basso da parte dei governi, non esiste alternativa. E se fossimo in una civiltà compiuta, tale fenomeno dovrebbe essere già identificato come un crimine contro l’umanità.

Sinceramente farebbe ridere, se non ci fosse da piangere in considerazione delle gravi sofferenze che la maggioranza delle famiglie italiane sono costrette ad affrontare nel loro quotidiano, la diatriba politica social dei giorni scorsi tra Matteo Renzi e Giorgia Meloni, su chi debba intestarsi il così detto abbassamento delle tasse più alto della storia italiana.

Tanto per rendervi l’idea, ed i numeri la rendono perfettamente, i due peones della politica italiana, si stanno dando del bugiardo a vicenda sulla pelle degli italiani, per un taglio delle tasse che va dagli attuali 4 miliardi operati sul cuneo fiscale dalla Meloni, ai supposti 10 miliardi del bonus 80 euro introdotto da Renzi quando era a Palazzo Chigi.

Fermo restando che entrambi i provvedimenti sono stati realizzati all’interno del pareggio di bilancio e quindi a livello macro-economico valgono entrambi zero per le tasche degli italiani; gli economisti seri, già prima della pandemia, indicavano a livello numerico, per dare inizio ad una vera e reale ripresa economica nel nostro paese, la necessità di un deficit governativo annuo di almeno un 10% del nostro PIL (circa 200 miliardi).

Attenzione! sto parlando di deficit, quindi via il pareggio di bilancio e tutte le regole contenute nel patto di stabilità attualmente in revisione nelle stanze europee, le quali invece pare proprio debbano rimanere in vita tutte, esattamente identiche con la stessa follia di come sono state partorite.

Ed invece il nostro governo, per voce del ministro Giorgetti, cosa rimarca sui tavoli europei dove è in atto, appunto la revisione del patto di stabilità?

In un confronto avuto pochi giorni fa con l’omologo tedesco Christian Lindner, il ministro leghista, controbatte: “Non si può mettere un Paese di fronte alla prospettiva di scegliere se aiutare l’Ucraina o rompere le regole del Patto di stabilità, mi sembra una cosa assurda”.

Sarò un sognatore, ma se questo mio articolo potesse finire sul tavolo del nostro ministro, suggerirei a lui, nel prossimo incontro all’Ecofin che si terrà sull’argomento in questione, di modificare le sue parole come segue:

“Non si può mettere un Paese di fronte alla prospettiva di scegliere se aiutare a non morire le sue famiglie e le sue imprese, o rompere le regole del Patto di stabilità, mi sembra una cosa assurda”

Insomma, Caro ministro Giorgetti, il suo popolo non le chiede di non aiutare il popolo ucraino, ma almeno, in onore al patriottismo ed al giuramento che lei stesso ha fatto sulla nostra Costituzione, di farlo dopo che ha pensato a mettere in sicurezza le vite degli italiani.

di Megas Alexandros

Fonte: Il governo italiano punta i piedi sul MES, vuole l’unione bancaria. La priorità resta sempre quella: salvare l’euro e non famiglie ed imprese. – Megas Alexandros

 

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