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La Redazione

 

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Il genocidio della Galizia: la distruzione dell’identità russa in quella che oggi è l’Ucraina occidentale

Prima che la regione diventasse il centro del nazionalismo ucraino, i Russofili locali erano stati annientati in uno dei primi campi di concentramento d'Europa
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A cura di Markus
Il 21 Marzo 2023
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Dmitry Plotnikov
rt.com

La Galizia, una regione storica dell’Ucraina occidentale, è attualmente il centro del movimento nazionalista del Paese. Un tempo, però, le cose erano molto diverse. Poco più di cento anni fa, i rappresentanti di opposti movimenti politici russofili e filo-ucraini si contendevano la fedeltà degli abitanti della regione, i Ruteni (o Rusini). I Russofili della Galizia avevano accolto l’inizio della Prima Guerra Mondiale come un passo verso l’atteso ricongiungimento con la Russia. Tuttavia, il movimento filo-ucraino era rimasto fedele all’Austria-Ungheria. Con l’aiuto di quest’ultima, Vienna aveva eliminato l’intellighenzia russa, che considerava una “quinta colonna.” A tal fine, gli Asburgo avevano allestito dei campi di concentramento.

Ciò che era accaduto in seguito era stato un vero e proprio genocidio.

L’inizio della tragedia

All’inizio della Prima Guerra Mondiale, il movimento russofilo in Galizia stava attraversando momenti difficili. A seguito della politica del “divide et impera” attuata dagli Austriaci, il movimento aveva subito una spaccatura. Le organizzazioni più antiche e rispettate erano finite nelle mani di leader filo-austriaci che sostenevano l’identità ucraina, non quella russa.
Dopo l’offensiva lanciata dall’esercito imperiale russo in Galizia il 18 agosto 1914, le repressioni di massa avevano interessato tutta la regione. La gente subiva l’Ira delle autorità austriache per questioni di poco conto, come il possesso di letteratura russa, l’appartenenza ad una società russa, avere studiato in una scuola russa o una semplice simpatia per San Pietroburgo. In alcuni casi, le persone venivano arrestate solo per essersi definite russe. Le prigioni erano piene di “nemici dello Stato” e di “pericolosi agenti di Mosca” e le strade erano fiancheggiate da patiboli.

Chi era sospettato di ‘russofilia’ veniva appeso a questi alberi davanti alle finestre. Le persone venivano appese proprio agli alberi. Venivano appesi per un giorno, poi venivano tolti e altri prendevano il loro posto…,” aveva raccontato uno dei contadini del distretto di Gorodetsky. Le repressioni avevano colpito soprattutto l’intellighenzia e i sacerdoti ortodossi, la maggior parte dei quali aveva completato gli studi spirituali nell’Impero russo.

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Foto d’archivio. Militari austro-ungarici posano davanti a tre impiccati il 30 agosto 1914 a Mukachevo. © Wikipedia

Alle repressioni contro l’intellighenzia erano poi seguite quelle contro il pubblico in generale. Chiunque fosse ritenuto simpatizzante della Russia o della cultura russa diventava un sospetto. Questo comprendeva persone che avevano visitato la Russia, che leggevano giornali russi o che erano semplicemente conosciuti come “russofili.” I tribunali militari lavoravano 24 ore su 24 e era stata introdotta una procedura legale semplificata per i casi di sospetto tradimento.

I membri del movimento Ruteni della Galizia che avevano scelto la “via ucraina” partecipavano attivamente alle repressioni. I politici filo-austriaci preparavano liste di sospetti “inaffidabili” e basate su semplici accuse, arrestando chiunque simpatizzasse per la Russia. Il personaggio pubblico russofilo Ilya Terekh aveva scritto: “All’inizio della guerra, le autorità austriache avevano arrestato quasi tutta l’intellighenzia russa della Galizia, insieme a migliaia di contadini, sulla base delle liste consegnate alle autorità amministrative e militari dagli Ucrainofili.

Chiunque possedesse un giornale russo, un libro, un’immagine sacra o anche solo una cartolina dalla Russia veniva catturato, maltrattato e portato via. “E poi c’erano patiboli ed esecuzioni senza fine: migliaia di vittime innocenti, mari di sangue di martiri e lacrime di orfani,” aveva scritto un altro russofilo, Julian Yavorsky.

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Foto d’archivio. Talerhof nel 1917, il luogo in cui venivano eseguite le esecuzioni del campo. © Wikipedia

Nell’ottobre 1914, lo scrittore russo Mikhail Prishvin, che prestava servizio come assistente medico al fronte, aveva scritto nel suo diario: “Quando sono arrivato in Galizia… ho sentito e visto le immagini vive dei tempi dell’Inquisizione.” Prishvin descriveva i sentimenti dei Galiziani verso la Russia come segue: “I Galiziani sognano una Russia grande, pura e bella. Uno studente di diciassette anni mi aveva accompagnato per le vie di Lvov [ora Leopoli, poi Lemberg] parlando in russo senza accento. Mi aveva raccontato della persecuzione della lingua russa. Agli studenti non era permesso nemmeno avere una mappa della Russia e, prima della guerra, era stato costretto a bruciare i libri di Pushkin, Lermontov, Tolstoj e Dostoevskij.”

L’inferno in terra

Le prigioni della Galizia non erano abbastanza grandi per ospitare tutti i prigionieri. Il 28 agosto 1914, solo a Leopoli c’erano duemila internati. Era stato allora che le autorità austriache avevano deciso di istituire dei campi di concentramento. Nel settembre 1914, in Stiria, era stato allestito l’enorme campo di Thalerhof. I primi prigionieri erano arrivati il 4 settembre. Secondo la testimonianza di uno dei sopravvissuti, il sacerdote Theodor Merena, i prigionieri erano “persone di classe ed età diverse.” Tra loro c’erano ecclesiastici, avvocati, medici, insegnanti, funzionari, contadini, scrittori e studenti. L’età dei prigionieri variava dai neonati ai centenari.

Occasionalmente, anche qualche attivista ucraino fedele al regime austriaco veniva accidentalmente internato Thalerhof. La maggior parte di loro veniva però rapidamente rimossa. Una persona aveva ricordato che tutti i prigionieri avevano la possibilità di andarsene, rinunciando al loro nome russo e registrandosi come “Ucraini” nella “lista ucraina.”

Fino all’inverno del 1915, a Thalerhof non c’erano baracche. La gente dormiva per terra all’aperto, nonostante la pioggia e il gelo. Le condizioni sanitarie del campo erano pessime. Le latrine erano scoperte e utilizzate da venti persone alla volta. Quando poi erano state costruite le baracche, queste erano subito diventate sovraffollate, ospitando 500 persone invece delle 200 previste. I prigionieri dormivano su letti di paglia che venivano raramente sostituiti. Naturalmente, le epidemie erano molto diffuse. Nei soli due mesi successivi al novembre 1914, oltre tremila prigionieri erano morti di tifo.

Non c’era alcuna possibilità di curare i malati. Persino i medici erano ostili ai prigionieri, aveva ricordato una scrittore russo imprigionato, Vasilij Vavrik.

Ai prigionieri non veniva fornita alcuna assistenza medica adeguata. All’inizio, Thalerhof non aveva nemmeno un ospedale. Le persone morivano sul terreno umido. Tuttavia, quando finalmente erano state costruite le baracche dell’ospedale, i medici non somministravano quasi nessuna medicina ai pazienti.

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Foto d’archivio. Talerhof. Il cimitero “sotto i pini” nel 1917. © Wikipedia

Per incutere timore, le autorità carcerarie avevano rizzato forche in tutto il campo e vi appendevano regolarmente i “trasgressori.” La violazione poteva essere una semplice sciocchezza, come fumare nelle baracche di notte. Come punizione venivano usate anche le catene di ferro, anche per le donne. Inoltre, il campo era dotato di filo spinato, torri di osservazione con sentinelle, cani feroci, manifesti con slogan e propaganda, sale per la tortura, un fossato per le esecuzioni, forche e un cimitero.

Il campo aveva funzionato per quasi tre anni ed era stato chiuso nel maggio 1917 per ordine di Carlo I d’Austria. Le baracche erano rimaste fino al 1936, quando erano state definitivamente demolite. Erano stati riesumati 1.767 cadaveri e poi sepolti in una fossa comune nel vicino villaggio di Feldkirchen.

Il numero esatto delle vittime di Thalerhof è ancora controverso. Il rapporto ufficiale del Feldmaresciallo Schleer, datato 9 novembre 1914, afferma che, all’epoca, vi erano imprigionati 5.700 Russofili. Secondo uno dei sopravvissuti, nell’autunno dello stesso anno vi erano circa 8.000 prigionieri. In totale, erano passati per Thalerhof da venti a trentamila Galiziani e Bucovini russofili. Solo nel primo anno e mezzo erano morti circa 3.000 prigionieri. Secondo altre fonti, nella prima metà del 1915 erano state giustiziate 3.800 persone. Complessivamente, nel corso della Prima Guerra Mondiale, le autorità austro-ungariche avevano eliminato almeno 60.000 Ruteni.

Ricordare i dimenticati

Nel periodo tra le due guerre mondiali, gli ex prigionieri si erano sforzati di preservare la memoria della tragedia che aveva colpito i Ruteni della Galizia e di perpetuare il ricordo delle vittime di Thalerhof. Un primo monumento era stato eretto nel 1934, e ben presto monumenti simili erano comparsi in altre parti della regione. Negli anni 1924-1932 era stato pubblicato l’Almanacco di Thalerhof, con prove documentali e testimonianze oculari del genocidio. Nel 1928 e nel 1934 si erano tenuti a Leopoli i congressi del Thalerhof, a cui avevano partecipato oltre 15 mila persone.

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Foto d’archivio. Il corteo dei partecipanti al Congresso di Talerhof in occasione dell’inaugurazione del monumento alle vittime di Talerhof, 1934. © Wikipedia

La Galizia era entrata a far parte dell’URSS nel 1939. Anche prima dell’epoca sovietica, vigeva un tacito divieto sull’argomento Thalerhof, perché il fatto stesso della presenza russa in Galizia era visto come un ostacolo all’ucrainizzazione, attivamente perseguita nell’Ucraina occidentale anche dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’ingresso nell’URSS della Galizia e della Volhynia, la maggior parte delle organizzazioni russofile di Leopoli erano state chiuse. Tuttavia, le funzioni commemorative presso i monumenti erano continuate. Man mano che i testimoni oculari e i contemporanei degli eventi invecchiavano e morivano, una nuova generazione di Galiziani veniva cresciuta nello spirito dell’ateismo e assumeva un’identità nazionale ucraina. Di conseguenza, sempre meno persone facevano visita ai monumenti commemorativi.

Nell’Ucraina moderna, il genocidio dei Rusini non viene discusso in pubblico. Thalerhof non è menzionato in nessun libro di testo scolastico sulla storia del Paese. L’idea che un tempo dei Russi vivessero in Galizia – il centro orgoglioso della “cultura ucraina” – non si adatta all’ideologia nazionalistica dell’Ucraina contemporanea. La maggior parte dei giovani non ha mai sentito parlare di Thalerhof.

La tragedia aveva segnato la fine del movimento russofilo in Galizia. Tutti coloro che non si erano sottomessi e non avevano assunto un’identità ucraina erano stati fisicamente annientati. Pochi anni dopo i tragici eventi, l’opinione pubblica era cambiata. La regione avava subitol’influenza di altri movimenti politici. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, dopo la sconfitta dell’Austria-Ungheria, la Galizia era così diventata il centro del movimento nazionalista ucraino.

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Foto d’archivio. Vista a volo d’uccello del campo di concentramento di Talerhof. © Wikipedia

 

Dmitry Plotnikov

Fonte: rt.com
Link: https://www.rt.com/russia/572970-gallows-and-executions-without-end/
15.03.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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