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DI ALESSANDRO GUARDAMAGNA

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Prima della diffusione della cosiddetta “peste di Atene” nel 430. A.C. nessuna città della Grecia aveva mai sperimentato nulla di vagamente simile. Era il maggio del secondo anno della Guerra del Peloponneso, e Atene aveva visto raddoppiare in poco tempo la propria popolazione, raccogliendo masse di profughi dalle campagne in fuga di fronte all’avanzata dell’armata della nemica Sparta. Circa 200.000 persone si erano rifugiate nella città, dove spuntarono da subito baracche, tende e sistemazioni improvvisate erette dai nuovi venuti, che brulicavano come formicai ai piedi dell’Acropoli e nello spazio fra le grandi doppie mura lunghe oltre 27 chilometri che univano la città al porto del Pireo e che avrebbero dovuto garantire ai suoi abitanti protezione contro qualsiasi nemico esterno. Nessuna città della Grecia, neppure la possente Tebe, aveva difese tanto estese, e non a caso il governo ateniese affermava con adamantina sicurezza che la città aveva il sistema difensivo migliore della Grecia. Eppure la peste entrò in città e si diffuse. Le scarse condizioni igieniche e la mancanza di acqua potabile e pulita, unita al sovraffollamento creatosi nel caldo dei mesi estivi, favorirono la propagazione di un morbo sconosciuto.

Tucidide, che ne dettagliò l’escalation, racconta come molti morirono nell’abbandono, e altri nonostante le numerose cure prestate loro. Nessun trattamento particolare sembrava funzionare e ciò che apparentemente migliorava le condizioni di alcuni, peggiorava quelle di altri. Sia i forti che i deboli, giovani e meno giovani perirono. Terribile era la vista di coloro che si ammalarono dopo aver cercato di aiutare i propri concittadini e in breve tempo morivano come mosche. I sintomi erano diversi, accomunati da febbre che inizialmente si accompagnava a raffreddore e tosse acuta e all’indebolimento dell’apparato intestinale. Il progredire portava a convulsioni e al blocco dell’apparato respiratorio. Tucidide, più interessato alle implicazioni militari della vicenda, si limitò a speculare sulla natura “bellica” della malattia, mentre Diodoro cercò di considerare i possibili agenti di trasmissione, arrivando a sostenere che l’affollamento aveva inquinato l’aria e questo finì poi col colpire la popolazione. Seppur l’aria avesse poca attinenza con il contagio, le sue osservazioni empiriche non erano del tutto errate quando pensiamo che i virus, e il Coronavirus non fa eccezione, si trasmettono tramite piccole gocce espulse e diffuse nell’ambiente mentre parliamo, tossiamo, starnutiamo, e più un ambiente è affollato e maggiori diventano le probabilità di essere esposti al contagio.

Le poche centinaia di ateniesi che erano caduti durante il primo anno del conflitto erano stati celebrati con tutti gli onori, mentre le migliaia di donne e bambini che morirono nell’epidemia furono lasciati spesso a marcire nelle strade nell’abbandono più totale. Inizialmente nessuno sapeva spiegarsi il propagarsi del morbo, che continuò a mietere vittime fra la popolazione. Un po’ come oggi di fronte all’estendersi del contagio del Coronavirus nessuno ha saputo ancora chiarire come un agente patogeno dalle pianure dello Yangtze e del Fiume Giallo a 9.000 km di distanza sia atterrato indisturbato nel mezzo del Nord Italia.

E questo nonostante l’Italia “avrebbe, secondo il governo, il sistema di controlli e prevenzione migliore d’Europa“, sul modello delle dichiarazioni del governatore dell’ER che ritiene la sanità della sua regione una delle migliori al mondo. La Germania ha un volume di rapporti commerciali con la Cina di circa tre volte superiore a quello dell’Italia, e finora ha evitato il focolaio del contagio. Secondo alcuni facciamo troppi tamponi, a differenza di quanto avviene in altre nazioni europee. Ed è per questo che noi abbiamo registrato un focolaio ed altri no. Quindi, secondo la stessa logica, nelle regioni d’Italia dove non vi sono focolai è forse perché non vengono fatti controlli sufficienti?

Vi erano molti abitanti di Atene che – come molti Italiani di oggi – ritenevano che il contagio non fosse assolutamente casuale. E anzi fosse il diretto risultato di azioni compiute dagli Spartani per colpire i propri nemici. Tale logica, per quanto apparentemente paranoica, aveva un suo senso. Infatti epidemie di tale virulenza erano praticamente sconosciute nella Grecia del V secolo A.C., cosa che induceva gli ateniesi a credere a qualsiasi congettura pur di darsi una spiegazione. In compenso la guerra batteriologica era invece già ampiamente praticata. Un secolo prima Solone avrebbe contaminato le acque utilizzate dalla popolazione di Cirra, indebolendone la guarnigione che capitolò.

Alcuni fra gli ateniesi ricordavano come loro stessi avessero avvelenato i pozzi della propria città prima di abbandonarla di fronte all’avanzata dell’armata persiana di Serse nell’estate del 480 A.C. Successivamente in Sicilia gli stessi ateniesi tentarono di avvelenare l’acquedotto di Siracusa per costringere la città alla resa. A rafforzare l’idea che gli Spartani fossero responsabili contribuì probabilmente quanto avvenne l’anno successivo durante l’assedio di Platea, alleata di Atene, quando i soldati di Sparta bruciarono una pira enorme intrisa di pece e zolfo accatastata fuori dalle mura della città. Le fiamme sprigionarono gas mortali di anidride solforosa sui difensori, che per non finire intossicati dovettero abbandonare le difese.

La malattia, chiamata impropriamente peste, fu con ogni probabilità una forma di tifo, la cui diffusione fu favorita dalle scarse condizioni igieniche combinate con l’indebolimento fisico di molti dovuto a ristrettezze alimentari del tempo di guerra, o forse un agente patogeno epidemico proveniente dall’Africa, come pensava Tucidide, entrato nel Mediterraneo orientale dalla vicina Persia, e che potrebbe essere assimilato all’ebola. Ma soprattutto a radicare la convinzione che si trattasse di un morbo diffuso dagli Spartani fu semplicemente il fatto che la comparsa della malattia concise con l’invasione dell’armata Spartana in Attica nella primavera del 430 A.C.

Un po’ come la diffusione del Coronavirus in Asia coincide con un periodo di continuo braccio di ferro su dazi ed interessi commerciali globali che vede gli USA e l’Europa contrapporsi alla Cina. E in Atene i sostenitori e teorici della cospirazione ebbero ulteriori prove a conferma della propria tesi perché i primi ad essere colpiti e a perire per il morbo furono coloro che si trovarono nei pressi delle cisterne del Pireo, che, si diceva, fossero state avvelenate dagli Spartani. In realtà gli Spartani si avvicinarono alle mura quando l’epidemia era già in corso, e visto da lontano il fumo che si alzava dalle pire dove si bruciavano mucchi di cadaveri ne rimasero ben lontani, accontentandosi di devastare le campagne e razziare il razziabile. Il morbo si diffonderà invece poi nelle zone che videro il passaggio degli opliti o della flotta di Atene, ma non a Sparta, e nel Peloponneso toccherà solo Epidauro, dove gli abitanti si ammaleranno dopo essere entrati in contatto con i soldati ateniesi chiaramente infetti.

La popolazione dell’Attica di allora, non ritenendo che la combinazione di condizioni quali sovraffollamento urbano nel caldo estivo e la carenza di igiene fossero fattori scatenanti, si limitò alla semplice equazione che la peste colpiva Atene dove gli abitanti morivano in massa, ma risparmiava “stranamente” Sparta, per cui Sparta doveva esserne in qualche modo responsabile. E’ la stessa idea che di fronte ad epidemie odierne si rafforza in chi è consapevole che le forze armate di molti stati hanno messo a punto nei propri laboratori schiere di germi killer che possono essere utilizzati come armi di distruzione di massa. Sono economici da produrre, letali, assolutamente non ingombranti e possono essere facilmente trasportati, al punto che una valigetta può contenere un arsenale di gas e virus in grado di sterminare la popolazione di stati confinanti e annullare i vantaggi che un esercito più numeroso o un’economia più sviluppata hanno sulla carta contro un avversario più debole. Per cui se il morbo colpisce A ma non B, allora B, se dotato di armi batteriologiche, potrebbe avere realisticamente qualcosa a che fare con l’accaduto. Se poi B dall’indebolimento di A ci guadagna, ecco che l’ipotesi può diventare certezza e ancora più difficile da scalfire.

Si calcola che l’Attica abbia avuto tra le 70.000 e le 80.000 vittime, la maggioranza delle quali morirono dopo un paio di settimane dopo aver contratto il morbo. 10.000 di questi servivano nella falange o nella flotta ateniese. Complessivamente circa il 34% della popolazione perì, la maggioranza nei primi anni due anni delle ostilità. Non meno devastante fu il contraccolpo economico. E’ stato calcolato che solo nel primo anno la perdita per le casse dello stato dovute alla mancata tassazione e al collasso dei redditi ammontò a circa 500 milioni di euro del giorno d’oggi. Nonostante Atene continuasse la guerra, non fu prima del 415 A.C., ben 15 anni dopo l’epidemia, che riuscì a organizzare nuovamente operazioni ad ampio raggio, con una forza militare rinnovata e una nuova riorganizzazione finanziaria. Non a caso è stato osservato che in termini relativi il danno causato dall’epidemia si rivelò per Atene pari al disastro che la Germania subì con Stalingrado. Nessuna sconfitta campale contro Sparta avrebbe potuto ridurla in simili condizioni.

Nei primi anni di ostilità le invasioni Spartane dell’Attica non raggiunsero lo scopo di attirare il nemico in una grande battaglia in campo aperto e distruggerlo, nonostante l’indebolimento causato dal morbo. Né gli Ateniesi, colpiti duramente, si limiteranno più a restare all’interno delle mura della città per trovarvi la morte. Ciascun contendente dovette quindi ridefinire le proprie strategie per il futuro.

Alla fine la peste di Atene, raggiunto il culmine, si arrestò per inerzia. Anche il Coronavirus, misteriosamente arrivato in Italia, potrebbe esaurire la sua forza di diffusione semplicemente per inerzia, se non lo ferma prima la propaganda, che ieri mattina confermava 480 casi e 12 morti, e ieri sera aveva ridotto i casi di contagio confermati a 282, risaliti oggi a 655. Intanto mentre i numeri fluttuano e cambiano a seconda delle circostanze, il virus continua a propagarsi. A differenza di Atene dove i morti per le strade non si potevano nascondere, qui la diffusione e i decessi sono in numero più contenuto, per fortuna, ma questo non significa che il virus non aumenti nelle aree del contagio. Non abbiamo a che fare con il capitano Trips, ma neppure con un raffreddore, visto che questo virus uccide, e il raffreddore no.

La terribile epidemia che mise in ginocchio Atene non solo causò la morte di decine di migliaia di persone, incluso Pericle, ma anche il declino della più antica democrazia del mondo. Non si possono ancora conoscere con esattezza le conseguenze che il Coronavirus avrà per l’Italia e per l’attuale governo che, nonostante le ripetute rassicurazioni sul sistema di controllo e prevenzione migliore d’Europa, qualcosa deve aver sottovalutato, purtroppo, visto che l’infezione è esplosa e il nostro è al momento il terzo stato al mondo per contagiati e deceduti, primo paese con un focolaio al di fuori dell’Asia. Sembra anche verosimile che non sarà necessario sperimentare le tragiche morti di 1/3 della popolazione (per fortuna), come avvenne ad Atene 2450 anni fa, per subire un arresto economico. I mercati di oggi si spaventano per molto meno.

In Italia coloro che già un mese fa avvertivano sulle possibili conseguenze del contagio ed invitavano il governo ad adottare misure più stringenti erano tacciati di essere sciacalli e per alcuni membri del governo rimangono tali – “Salvini? Si sta veramente comportando da sciacallo“. Secondo altri membri dell’esecutivo ora sono diventati anche untori, cioè diffusori della malattia. Chissà tra poco qualcuno potrebbe suggerire che la peste di Milano del 1630 è stata scatenata da Matteo Salvini e schiere di leghisti. Non erano ancora nati allora, e l’accusa non servirà a fermare il Coronavirus sospettato di mire populiste, ma è poi importante? Anche la CNN ieri consigliava al governo Italiano di adottare misure più severe, ma nessun esponente dell’esecutivo si è scomodato a parlare di stampa affetta da sciacallaggio.

Quando tutto sarà finito potrebbe venire anche la curiosità di visitare Codogno, luogo che alcuni media presentano come pullulante di locali, feste e balli continui e con un via vai da far invidia a Las Vegas, e che secondo il presidente del consiglio è anche sede di un ospedale che non rispetterebbe i protocolli, anche se resta da capire come.

Ad Atene, mentre si cercavano i colpevoli e cresceva l’odio contro Sparta, vi erano anche coloro che credevano che l’epidemia fosse stata provocata da un’antica profezia. Almeno loro, pur nella sventura, sapevano essere originali.

 

Alessandro Guardamagna

28.02.2020

Alessandro Guardamagna lavora come insegnante d’inglese e auditor qualità a Parma, in precedenza ha ottenuto un PhD in Storia e un Master in American Studies presso University College Dublin, in Irlanda, dove ha lavorato e vissuto per 10 anni. Da sempre sovranista, scrive articoli di politica e storia su ComeDonChisciotte dal 2017.

 

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