di Redazione Blog Giubbe Rosse
Le immagini che ci arrivano ogni sabato dalla Francia da cinque settimane ci dicono che c’è una parte non trascurabile del paese che non ci sta. Una parte di Francia che oggi scende in piazza esasperata dalle draconiane misure del Pass Sanitaire, ma che già nel recente passato aveva mostrato segni di insofferenza contro le politiche sociali ed economiche del governo Macron, come testimoniano i quasi due anni di manifestazioni dei gilets jaunes, interrotte solo temporaneamente dal Covid e dai lockdown ad esso associati.
Anche in Italia assistiamo a una situazione analoga. Le manifestazioni estive contro il Green Pass sono la punta dell’iceberg, la testimonianza contingente di un disagio e di un’inquietudine più profonda verso gli stessi capisaldi su cui si fonda il governo Draghi: liberismo, europeismo radicale, smantellamento dello stato sociale e dello stato nazionale, accettazione indiscussa della priorità degli organismi sovranazionali in campo economico, politico e, più recentemente, sanitario sui diritti individuali e sul diritto all’autodeterminazione. Una parte di Italia difficile da individuare, non perché piccola, ma perché priva di un leader riconosciuto, di un partito di riferimento, di un’ideologia definibile con i parametri usati fino al secolo scorso e, pertanto, fatalmente nebulosa e quasi indistinguibile. C’è, ma si fatica a vederla. All’ultimo piano, però, sanno bene che è ben più ampia e pericolosa di quelle poche migliaia che sfilano per ora nelle piazze nei torridi sabati di luglio e agosto. E non sono affatto tranquilli.
Il vero punto non è quanto grande sia questa parte di popolazione, in Francia come in Italia (ma il discorso potrebbe essere facilmente allargato al resto d’Europa e agli Stati Uniti). I numeri, come noto, cambiano. Il vero punto è se e in quale misura questa parte di popolazione, ancorché oggi probabilmente minoritaria, sarà capace in futuro di organizzarsi. Perché c’è un’enorme differenza tra un 40%, un 30% o anche solo un 10% organizzato e coeso e un’equivalente porzione di società disorganica, frammentaria, sfilacciata, priva di riferimenti e obiettivi. Nel primo caso abbiamo a che fare con un’opposizione pressoché impossibile da sradicare, con la quale i governi devono prima o poi fare i conti e venire a patti. Nel secondo con una protesta e una resistenza fatalmente destinate a essere assorbite. Chi si oppone, ma non può contare su una rete organizzata di mutuo soccorso, presto o tardi è costretto a cedere. Non per volontà, ma per mancanza di alternative. Quel che è certo è che questa spaccatura è difficilmente ricucibile. Anzi, tutto indica che è destinata in futuro ad allargarsi ulteriormente.
Da tempo la società occidentale si sta sfaldando in due grossi tronconi, due monadi autonome che ormai non comunicano più tra loro e sembrano ogni giorno di più intenzionate a procedere separatamente. Questo fenomeno non è certo nato oggi. Con la pandemia nel 2020 e la stretta autoritaria dei governi nel 2021 ha subito, però, una forte accelerazione. Troppo grande è ormai la distanza tra chi identifica la politica, la scienza, la società con ciò che ogni giorno raccontano i mainstream e chi, invece, percepisce, ascolta, studia, vive una realtà completamente diversa sul territorio e sulla propria pelle. Impossibile trovare un punto di contatto tra chi sogna un mondo governato da pochi organismi decisionali sovranazionali e, anzi, in ciò vede la realizzazione di un improbabile sogno multiculturale e multietnico e chi, invece, si oppone a questo progetto difendendo le libertà individuali, i diritti conquistati dalla nostra civiltà in secoli di lotte, il diritto all’autodeterminazione, il diritto al dissenso. Due visioni del mondo, due visioni della società, due visioni della nazione semplicemente inconciliabili tra loro. Alcuni esempi potranno chiarire meglio ciò di cui stiamo parlando.
I meno giovani tra i nostri lettori ricorderanno certamente i talk show di 25 o 30 anni fa, quando vigeva la cosiddetta par condicio e si era soliti invitare nelle trasmissioni un egual numero di esponenti della maggioranza e dell’opposizione, se non altro nella speranza di aumentare l’audience e la visibilità del programma presso il maggior numero possibile di telespettatori. Niente di tutto ciò sembra rimasto oggi. I talk show si sono ridotti a conventicole chiuse, con indici di ascolto per lo più modesti, dove gli invitati vengono scelti da due o tre potentissime agenzie di consulenza strategica di comunicazione e sono, quindi, inevitabilmente sempre gli stessi, dove il dibattito avviene all’interno di confini rigorosi, ritenuti ideologicamente e politicamente ammissibili, dove si escludono fin dall’inizio voci realmente dissenzienti e discordanti, dove la diversità tra i partecipanti è data più dalla personalità e dall’individualismo che da reali differenze politiche o ideologiche. Oppure pensiamo ai sempre più decadenti quotidiani a tiratura nazionale, che da anni si dibattono disperatamente per sopravvivere alla chiusura cercando di rivolgersi a un target di pubblico ben definito e sempre più circoscritto, consapevoli dell’impossibilità di raggiungere fasce di pubblico che ormai semplicemente “parlano un’altra lingua”. I media mainstream sembrano aver abbandonato ogni velleità di raggiungere quello che un tempo si chiamava il grande pubblico. Consapevoli che questo obiettivo è ormai un’utopia nella società di oggi, mirano selettivamente a una fascia di pubblico che sanno essere raggiungibile e di cui conoscono bene l’orientamento, le sensibilità, gli umori. Fingono che l’altra parte della società semplicemente non esista e deliberatamente la ignorano. Il concetto di totalità, ammesso fosse raggiungibile in passato, oggi è consapevolmente scartato fin all’inizio.
Oppure, più recentemente, pensiamo all’esclusione di un’intera fetta della comunità scientifica dal dibattito sulla pandemia, rea di aver sollevato obiezioni sull’uso indiscriminato dei vaccini come unica arma per combattere il SARS-CoV-2 in tutte le fasce di età. Virologi, epidemiologi, immunologi, fisici, biostatistici di fama mondiale, in qualche caso premi Nobel, tutti improvvisamente dimenticati, in qualche caso persino derisi dalla nuova schiera di televirologi e sedicenti debunker, che da due anni dispensano certezze e verità conclusive in TV con presunzione illimitata di chiaroveggenza. Una parte di comunità scientifica che, per titoli accademici, riconoscimenti e uso rigoroso del metodo scientifico, ha ben poco da invidiare a quella dominante, eppure viene trattata oggi come di serie B o, nel migliore dei casi, ignorata. Oppure pensiamo a quanto sta accadendo in questi giorni negli Stati Uniti, dove stati diversi stanno adottando sul piano delle misure di profilassi contro il Covid-19 un approccio così antitetico tra loro che si stenta a credere provengano dalla stessa nazione. Se a New York il sindaco De Blasio imporrà a partire da settembre l’esibizione di un attestato di vaccinazione per accedere a qualunque locale o attività al chiuso[1], i governatori di Texas[2] e Florida[3] stanno vietando l’obbligo nell’uso della mascherina nelle scuole del loro stato, in aperta sfida alle linee guida della CDC e del Dipartimento dell’educazione.
Potremmo andare avanti per ore citando centinaia di esempi. La scissione appare ormai in atto a tutti i livelli, dalla politica, all’economia, all’informazione, alla concezione dello stato nazionale e della sua funzione nella società e nell’economia, al concetto di servizio pubblico di fronte al ruolo sempre più pervasivo e asfissiante delle multinazionali private, alla percezione dell’identità individuale e collettiva, alla visione delle tradizioni culturali, linguistiche e artistiche e alla loro preservazione come patrimonio identitario, fino al concetto stesso di scienza e della sua finalità ultima. Diversamente dal passato, quando maggioranza e opposizione dibattevano attorno a una base di valori giuridici ed etici condivisi, che consideravano un recinto comune e insuperabile, oggi è proprio quella base condivisa a venire meno. La libertà di scelta, ad esempio, oggi non è più considerata dai decisori politici e da una cospicua parte della società come un principio inalienabile, bensì come un diritto implicitamente limitato che deve essere sacrificato laddove si impongano presunti obiettivi di interesse generale considerati indiscutibili e irrinunciabili. Pensiamo, ad esempio, all’assioma di vaccinare l’intera popolazione per raggiungere l’immunità di gregge contro il SARS-CoV-2 o a quello della transizione energetica, finalizzata a ridurre le emissioni di CO2 e combattere i cambiamenti climatici. Dietro un simile approccio si nasconde evidentemente una convinzione radicata nell’arco di decenni, che oggi viene considerata una verità ultima al di là di ogni ragionevole dubbio. Chi osa metterla in discussione merita solo la censura e l’esclusione. Anche la libertà di espressione e di pensiero non è più un principio inviolabile per molti. Il pluralismo esiste ormai solo a livello teorico. Viene invocato per lo più quando si vorrebbe esaltare la superiorità morale della cosiddetta “società libera” rispetto ad altre forme di organizzazione sociale e politica considerate “non libere” o “meno libere”. Succede, però, che è quella stessa parte di società oggi a mettere per prima in discussione il principio di democrazia e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e a invocare la censura del dissenso non appena vengono messi in discussioni assiomi considerati inoppugnabili e irrefutabili. Si pensi, ad esempio, alle recenti esternazioni di politici e personaggi pubblici nei riguardi della categoria dei no vax, ai quali oggi si vorrebbe negare non solo il diritto di parola, ma anche il diritto a esercitare la propria professione e a partecipare alla vita sociale. O alla demonizzazione di chiunque metta in discussione la sacralità dell’Unione Europea e della moneta unica. O a come la censura di migliaia di account sulle reti sociali durante l’ultimo anno sia stata non solo tollerata, ma in molti casi addirittura difesa e salutata con entusiasmo da coloro che si definiscono difensori dei valori democratici e amano richiamarsi a principi e valori suppostamente liberali.
Naturalmente, lo stesso accade dall’altra parte. La cosiddetta informazione alternativa, che ormai sembra aver scelto Telegram come piattaforma privilegiata (anche perché spesso orfana di Facebook, Twitter o Instagram, da cui è stata di fatto esclusa), non ha né voglia né interesse ad ascoltare i mainstream e a confrontarsi con quella parte di popolazione che si affida ad essi per informarsi e si mostra sempre più ostile e indisponibile al confronto con chi dissente. Fatalmente anche questa parte tende a cristallizzarsi attorno a posizioni e principi assoluti e irrinunciabili e a chiudersi in se stessa, anche perché spesso obbligata a farlo dalla censura e dall’esclusione della maggioranza.
Il dialogo è ormai possibile solo entro determinati confini. Ognuna delle due monadi comunica solo al proprio interno e non con l’esterno. Procede da sola, in modo autonomo rispetto all’altra. Due mondi paralleli, che si allontanano sempre più tra loro come nella deriva dei continenti. Ognuno parla alla propria bolla, difficilmente riesce a trascendersi e ad andare oltre se stesso. Anche perché, nel momento in cui si azzarda a farlo, fatalmente va incontro o a resistenze o a qualche forma di censura. La spaccatura è sempre più evidente e profonda e non si intravedono, al momento, segnali che lascino presagire un’inversione di rotta.
Occorre prendere atto che questo fenomeno è ormai irreversibile e guardare oltre. Passata la fase della resistenza, è tempo di pensare in fretta alla fase successiva: quella dell’organizzazione. Non basta semplicemente dire di no, anche perché gli spazi per il dissenso si sono ormai ridotti a zero e dall’altra parte nessuno si sente in dovere di fare sconti o concessioni. Qualcuno seriamente pensa che vi siano margini di discussione con chi, non pago dell’imposizione del Green Pass, chiede apertamente di privare i cosiddetti no vax del diritto all’assistenza sanitaria, del diritto al voto o del diritto al lavoro, con la tracotanza di chi si sente dalla parte della scienza e dalla parte giusta della storia e, pertanto, in diritto di decidere anche sulla vita altrui? Qualcuno seriamente si illude che la magistratura possa fermare questa deriva autoritaria dopo aver letto l‘intervista di Sabino Cassese a Il Messaggero? Anche immaginando che esistano oggi forze politiche seriamente intenzionate a invertire la rotta (facendo uso della fantasia senza risparmio), qualcuno seriamente crede di riuscire a cambiare il corso della storia attraverso le elezioni, ora che è ufficialmente partita, grazie a un emendamento al decreto Semplificazioni, la sperimentazione del voto elettronico, che in futuro interesserà fino a 7,5 milioni di aventi diritto per le elezioni europee, politiche, amministrative e i referendum (diciamolo apertamente: quanto basta per ribaltare all’occorrenza qualsiasi risultato elettorale)? Chiunque si illuda di poter vincere questa guerra usando le armi del nemico dovrà presto constatare che il nemico ha già occupato da tempo tutti gli spazi e anticipato tutte le nostre possibili contromosse. Partiti politici, magistratura, istituzioni finanziarie, agenzie regolatorie, organismi decisionali scientifici e giudiziari, comitati tecnici vari. Parlano tutti la stessa lingua e puntano tutti allo stesso obiettivo. Una volta stabilito che la verità può essere una sola, la loro, non c’è più spazio per altre verità. Già oggi impongono la loro volontà e le loro leggi con la forza. E il bello è che ricevono pure il plauso di milioni di persone, convinte che la limitazione della libertà altrui sia la condizione necessaria per la propria sopravvivenza.
La frattura sociale, la rottura dell’unità democratica, la progressiva scissione di una parte della società dal blocco originario non sono una scelta: sono la fatale conseguenza della crescente intolleranza del pensiero dominante verso ogni forma di pensiero non allineata e non assimilabile, l’inevitabile esito della negazione di una visione dialettica della politica, della scienza, della società.
Come dicevamo già nel nostro vademecum di fine anno, un’epoca si sta chiudendo e in quella nuova che si apre semplicemente non c’è spazio per chi non si allinea. O si obbedisce o si è fuori. Se non fate parte di quella maggioranza che, per convinzione o per conformismo, ha già scelto la prima opzione, allora oggi non avete alternative: dovete iniziare fin da subito a organizzarvi. Servono reti di medici disposti a prescrivere terapie domiciliari e a fornire assistenza sanitaria di emergenza per chi si ammala di Covid, reti di avvocati pronti a difendere cittadini, esercenti, categorie che verranno discriminate dal Green Pass o dall’obbligo vaccinale, reti di ristoratori, albergatori, esercenti che creino zone franche, reti di insegnanti disposti a dedicare qualche ora del loro tempo agli alunni che, per un motivo o per l’altro, verranno esclusi o marginalizzati dalla scuola, reti di studenti universitari che facciano sentire la loro voce contro il Green Pass, reti di tecnici, professionisti, esperti disposti a fornire consulenza pratica per i problemi più immediati. Le manifestazioni sono l’espressione di un dissenso e di un rifiuto, devono diventare un momento di aggregazione, il primo passo verso la creazione di nuove forme di associazione e organizzazione interpersonale, l’embrione di nuove reti di mutuo soccorso quanto più possibile radicate e ramificate sul territorio, che annoverino al proprio interno professionalità ed esperienze ampie e variegate. Possibilmente con la partecipazione di produttori locali, artigiani, piccoli imprenditori. È da questa base, per quanto all’inizio fatalmente minimalista ed emergenziale, che un giorno potrà nascere qualcosa di più grande, una comunità, un vero movimento politico e, chissà, magari una nuova moneta. Siamo troppo pochi, dite? Anche solo il 5%, in un paese come l’Italia, rappresenterebbe circa 3 milioni di cittadini. Quanto basta per iniziare a far paura ed essere presi sul serio. Senza mai dimenticare che il mondo non è governato dalle maggioranze, ma da minoranze coese e compatte che condividono ideali e obiettivi. Del resto, è così che da sempre funzionano le lobby. Naturalmente, è nostra convinzione che quella percentuale sia potenzialmente assai maggiore. Ma è bene partire con aspettative basse e obiettivi minimi. Sempre tenendo conto che per un governo è molto più facile avere la meglio su un 50% di popolazione irrequieta, ma disorganizzata che su un 5-10% di popolazione dissidente, ma compatta, unita, organizzata.
Non fatevi illusioni, però: il decoupling non è un processo indolore. È una rottura e ogni rottura comporta per definizione delle perdite. Mettete in conto fin d’ora di perdere amicizie, di entrare in conflitto con familiari, colleghi, conoscenti, di dover cambiare la vostra meta turistica abituale, la vostra trattoria preferita, la scuola di vostro figlio, la vostra palestra, le vostre abitudini. Se finora avete avuto il coraggio di tenere fede alle vostre convinzioni, certamente avrete già avuto la spiacevole sensazione di sentirvi soli. Se non vi è già successo, vi capiterà a breve. Ebbene, il primo passo da compiere in questo caso è iniziare a pensare che non siete soli. Il secondo è che tutto questo non sta accadendo perché lo avete deciso voi. Sta accadendo perché milioni di persone si sono lasciate convincere ad accettare passivamente un assioma e una serie di regole, che spesso neppure comprendono, ma che trovano conveniente applicare per bias di autoconferma, per convenienza, per semplice quieto vivere, perché così dice la TV, il giornale, il vicino. Non siete voi ad aver escluso loro. Sono loro che non vi vogliono e che non sono disposti ad ammettere altra possibilità se non la vostra resa incondizionata e la vostra obbedienza. Oggi vi dicono “Vaccinatevi e basta”, domani vi chiederanno, con l’insolente fideismo degli stolti, di rinunciare agli ultimi residui di privacy e di libertà personale, ovviamente sempre in nome della sicurezza generale, del bene comune, della salvaguardia “dei più deboli”. Se vi illudete che la doppia dose basterà a restituire la libertà a voi e a vostro figlio, a farvi sentire come gli altri, a ripristinare la normalità alla quale eravate abituati, preparatevi a rimanere presto delusi: indietro non si torna, il mondo che abbiamo vissuto prima del 2020 non tornerà più. Dopo la seconda dose, arriverà la terza, poi la quarta, poi fatalmente arriverà quello a cui lavorano minuziosamente da tempo: il controllo totale della vostra vita o, come lo chiama qualcuno, il capitalismo della sorveglianza[4].
Quello in corso è un cambiamento epocale e non lo avete deciso voi. Perderete affetti ed amicizie, è fatale. Ne farete di nuove entrando in contatto con persone che condividono i vostri ideali e le vostre convinzioni, persone di cui, magari, fino a ieri ignoravate l’esistenza. Il processo è già in atto e non si può fermare. Non resta che farsene una ragione e accettare, con un po’ di fatalismo se vogliamo, che cambiare è un puro e semplice atto di adattamento per la propria sopravvivenza.
Redazione Blog Giubbe Rosse
17.08.2021
Link all’articolo originale: http://giubberosse.blog/2021/08/17/decoupling-sociale-in-fase-avanzata-la-chiave-per-vincere-organizzarsi-dalle-manifestazioni-al-mondo-parallelo/