Philip Giraldi – The UNZ Review – 1 Marzo 2022
Non dovrebbe sorprendere che molti osservatori, da varie prospettive politiche, stiano cominciando a notare che c’è qualcosa di seriamente scollegato nella annaspante politica estera degli Stati Uniti. Il fallimento dell’evacuazione in Afghanistan ha frantumato la già calante fiducia in se stessi dell’élite politica americana e i continui negoziati a fasi alterne con l’Iran e la Russia, che erano destinati in partenza a non andare da nessuna parte, non forniscono alcuna prova che qualcuno alla Casa Bianca sia davvero concentrato sulla protezione degli interessi americani. Ora abbiamo come risultato una vera e propria guerra in Ucraina, un conflitto che potrebbe facilmente intensificarsi se Washington continuerà a mandare i segnali sbagliati a Mosca.
Per citare solo un esempio di come le influenze esterne distorcano la politica, in una telefonata del 9 febbraio, il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha consigliato al presidente Joe Biden di non stipulare alcun accordo di non proliferazione con l’Iran. Biden non si è impegnato, anche se raggiungere un accordo è un effettivo interesse americano, ma ha invece indicato che per quanto riguarda gli Stati Uniti, Israele potrebbe esercitare la “libertà d’azione” nel trattare con gli iraniani. Con questa concessione è finito con ogni probabilità l’unico possibile successo diplomatico che l’amministrazione avrebbe potuto vantare.
La politica di sicurezza globale di default dell’amministrazione Biden è attualmente ridotta a ciò che alcuni critici hanno descritto come “accerchiamento e contenimento”. Questo è il motivo per cui un esercito statunitense sovraccarico viene incaricato di creare sempre più basi in tutto il mondo nel tentativo di contrastare i “nemici” percepiti, che spesso stanno solo esercitando la propria sovranità nazionale e il diritto alla sicurezza all’interno delle proprie zone di influenza. Ironicamente, le nazioni che si rifiutano di sottomettersi al controllo di Washington vengono spesso descritte come “aggressori” e “antidemocratici”, il linguaggio che è stato più particolarmente usato in relazione alla Russia. La politica di Biden, così come esiste effettivamente, sembra essere un ritorno al campo di gioco nel 1991-2 quando l’impero sovietico è crollato. Si tratta di mantenere il vecchio sogno americano di un completo dominio globale unito all’interventismo liberale, ma questa volta gli Stati Uniti non hanno né le risorse né la volontà nazionale per continuare nello sforzo. Speriamo che la Casa Bianca capisca che non fare nulla è meglio che fare minacce vuote.
Nel frattempo, mentre la situazione continua ad erodersi, sta diventando sempre più ovvio che le crisi gemelle che si sono sviluppate sull’Ucraina e Taiwan sono “made in Washington” e sono in qualche modo inspiegabili in quanto gli Stati Uniti non hanno alcun interesse nazionale impellente che giustifichi le minacce di “lasciare sul tavolo” opzioni militari come possibile risposta. L’amministrazione ha ancora una volta risposto alle mosse russe avviando sanzioni devastanti. Ma la Russia ha anche armi non convenzionali nel suo arsenale. Può, per cominciare, spostare l’attenzione dall’Ucraina intervenendo molto più attivamente a sostegno della Siria e dell’Iran in Medio Oriente, disturbando i deboli tentativi americani di gestire quella regione a beneficio di Israele.
Secondo gli economisti, la Russia ha anche efficacemente reso la sua economia a prova di sanzione ed è capace di un selettivo reverse-sanctioning dei paesi che sostengono con entusiasmo un’iniziativa americana. Una tale risposta danneggerebbe probabilmente gli europei molto più di quanto danneggerebbe la leadership del Cremlino. Bloccare il gas russo dall’Europa chiudendo il Nord Stream 2 permetterebbe, per esempio, di aumentare le vendite alla Cina e altrove in Asia e infliggerebbe più dolore agli europei che a Mosca. Spedire in Europa il gas liquido fornito dagli Stati Uniti costerebbe, per esempio, più del doppio della tariffa offerta dal Cremlino e sarebbe anche meno affidabile. I membri europei della NATO sono chiaramente nervosi e non completamente dietro l’agenda degli Stati Uniti sull’Ucraina, in gran parte perché c’è la legittima preoccupazione che qualsiasi e forse tutte le opzioni prese in considerazione da Washington potrebbero facilmente produrre passi falsi che si trasformerebbero in uno scambio nucleare che sarebbe catastrofico per tutte le parti coinvolte.
A parte il reale pericolo immediato che deriva dai combattimenti attualmente in corso in Ucraina, il vero danno a lungo termine è strategico. L’amministrazione di Joe Biden si è bellamente rinchiusa in un angolo mentre i due principali avversari dell’America, Russia e Cina, si sono avvicinati per formare qualcosa di simile a una relazione difensiva ed economica che sarà dedicata a ridurre ed eventualmente eliminare il ruolo assunto da Washington come egemone globale ed applicatore delle regole.
In un recente articolo sul New Yorker, il commentatore di affari esteri Robin Wright, che potrebbe essere ragionevolmente descritto come un “falco”, dichiara che il nuovo sviluppo è “Russia e Cina svelano un patto contro l’America e l’Occidente”. E non è la sola a suonare il campanello d’allarme, con l’ex osservatrice della Russia del National Security Council (NSC) di Donald Trump, Anita Hill, che avverte che l’intenzione del Cremlino è quella di costringere gli Stati Uniti ad uscire dall’Europa, mentre l’ex esperto ucraino del NSC Alexander Vindman consiglia di usare la forza militare per scoraggiare la Russia ora, prima che sia troppo tardi.
Wright fornisce l’analisi più seria dei nuovi sviluppi. Sostiene che “Vladimir Putin e Xi Jinping, i due autocrati più potenti, sfidano l’attuale ordine politico e militare”. Descrive come, in un incontro tra i due leader prima delle Olimpiadi di Pechino, abbiano citato
“un accordo che sfida anche gli Stati Uniti come potenza globale, la NATO come pietra miliare della sicurezza internazionale, e la democrazia liberale come modello per il mondo“.
Hanno promesso che non ci sarebbero state “aree di cooperazione ‘proibite'” e una dichiarazione scritta che è stata successivamente prodotta ha dichiarato che
“Russia e Cina si oppongono ai tentativi di forze esterne di minare la sicurezza e la stabilità nelle loro comuni regioni adiacenti, intendono contrastare le interferenze di forze esterne negli affari interni dei paesi sovrani sotto qualsiasi pretesto, si oppongono alle rivoluzioni di colore e aumenteranno la cooperazione“.
Wright nota che c’è una forza considerevole dietro l’accordo. “In quanto due paesi con armi nucleari che abbracciano l’Europa e l’Asia, l’allineamento più muscolare tra Russia e Cina potrebbe essere un cambio di gioco militarmente e diplomaticamente“. Si potrebbe aggiungere che la Cina ha ora la più grande economia del mondo e la Russia ha un esercito altamente sviluppato che schiera nuovi missili ipersonici che le darebbero il vantaggio in qualsiasi conflitto con la NATO e gli Stati Uniti. Sia la Russia che la Cina, se attaccate, ne beneficerebbero anche perché combatterebbero vicino alle loro basi su linee interne.
E, naturalmente, non tutti sono d’accordo che spingere gli Stati Uniti fuori dal loro auto-proclamato ruolo egemonico sarebbe una brutta cosa. L’ex diplomatico britannico Alastair Crooke sostiene che ci sarà un perpetuo stato di crisi nell’ordine internazionale fino a quando non emergerà dallo status quo che ha concluso la guerra fredda un nuovo sistema, e sarebbe senza gli Stati Uniti come creatore di regole transnazionali semi-ufficiali e arbitro. Egli osserva che “Il nocciolo delle lamentele della Russia sulla riduzione della propria sicurezza ha poco a che fare con l’Ucraina di per sé, ma sono radicate nell’ossessione dei falchi di Washington per la Russia, e il loro desiderio di ridurre Putin (e la Russia) alla misura – un obiettivo che è stato il segno distintivo della politica statunitense fin dagli anni di Eltsin. La cricca di Victoria Nuland non potrebbe mai accettare che la Russia diventi una potenza significativa in Europa – possibilmente eclissando il controllo degli Stati Uniti sull’Europa“.
Quello che sta succedendo in Europa e in Asia dovrebbe ridursi a una comprensione molto semplice sui limiti del potere: l’America non ha interesse a rischiare una guerra nucleare con la Russia per l’Ucraina o con la Cina per Taiwan. Gli Stati Uniti hanno combattuto in gran parte del mondo per oltre due decenni, impoverendo se stessi e uccidendo milioni di persone in guerre evitabili, a partire dall’Iraq e dall’Afghanistan. Il governo degli Stati Uniti sta cinicamente sfruttando i ricordi del vecchio nemico Russia della Guerra Fredda per creare una falsa narrazione che recita più o meno così: “Se non li fermiamo laggiù, la prossima settimana saranno nel New Jersey”. Sono tutte sciocchezze. E poi, chi ha fatto degli Stati Uniti l’unico arbitro delle relazioni internazionali? È ora che gli americani comincino a chiedere che tipo di ordine internazionale è quello che permette agli Stati Uniti di determinare ciò che le altre nazioni possono e non possono fare.
La cosa peggiore è che lo spargimento di sangue in Ucraina è stato completamente inutile. Un po’ di vera diplomazia con negoziatori onesti che soppesano gli interessi reali avrebbe potuto facilmente portare a soluzioni accettabili per tutte le parti coinvolte. È davvero ironico che l’ardente desiderio di andare in guerra con la Russia dimostrato dal New York Times e dal Washington Post, così come da Capitol Hill, abbia in realtà creato un vero nemico formidabile, legando Russia e Cina in un’alleanza dovuta alla loro frustrazione nel trattare con un’amministrazione Biden che sembra non sapere mai cosa sta facendo o dove vuole andare.
Philip M. Giraldi, Ph.D., a suo tempo analista della CIA, è direttore esecutivo del Council for the National Interest,
Link: https://www.unz.com/pgiraldi/creating-new-enemies/
Scelto e tradotto da Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte