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La Redazione

 

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Un caso francese: il professor Didier Raoult

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A cura di Davide
Il 26 Aprile 2020
988 Views

DI MICHEL ONFRAY

rt.com

Con la verve che conosciamo bene, il filosofo Michel Onfray prende le difese del professor Didier Raoult fustigando in contemporanea coloro che sottovalutano l’infettivologo e professore di microbiologia marsigliese.

Siamo a metà marzo. Nei mezzi di comunicazione si parla molto del professor Raoult. È una grande passione per molti francesi avere un’opinione su tutto, anche quando non si hanno le competenze sulla materia, né la possibilità di chiamare al lavoro o alla mobilitazione sull’argomento. Mi ricordo un intellettuale francese che oggigiorno è accademico, che fu capace a suo tempo di dare un parere su un film che non aveva visto…diceva anche, nel maggio ‘68, che bisognava mettere alla prova i giovani; oggigiorno professa il suo disprezzo per quell’epoca ma senza fare di conseguenza un’ autocritica… Tempo fa c’è stato un parere gastronomico pubblicato da un critico su un sito web quando il ristorante non era ancora aperto. Questo senza tenere conto dei giornalisti che hanno una rubrica di cronaca letteraria da decenni e che incensano o smontano un libro solo perché bisogna detestare o venerare l’autore per delle penose ragioni mondane (il più delle volte ragioni parigine) nei quali il risentimento gioca un ruolo più importante dell’opera.

Quando Bernanos scrive “i falliti non vi daranno fastidio”, afferma una grande verità psicologica …. Per quanto riguarda il professor Raoult, è facile avere un opinione sul suo lavoro: basta giudicare il suo aspetto… La televisione va pazza per queste scorciatoie che potremmo chiamare, per ridere, intellettuali.

Il personaggio ha un curriculum vitae planetario lungo come due braccia ma dà soprattutto l’impressione di uscire da un fumetto tipo “Asterix e i Vichinghi” e questo è sufficiente per avere un’opinione: per alcuni è il segnale che nel suo aspetto c’è già tutto e quindi non c’è nient’altro da dedurre (e di qui elencare la sua megalomania, la sua paranoia, il suo carattere di sporcaccione, il suo orgoglio, il suo delirio, le sue sfuriate, la sua gestione dittatoriale), per gli altri è proprio questa la prova che non assomiglia per nulla agli algidi aspiranti alla Legion d’onore ben vestiti e incravattati che sostengono in pieno schermo (televisivo) con immutata compostezza che il virus ignora le frontiere, subito prima di farci sapere che comunque riconosce quelle di Schengen, che sarà soltanto un raffreddorino, prima di gridare ai quattro venti che si tratta di una grave epidemia, che le mascherine non servono a niente ma che bisogna fabbricarne a milioni. Lui tira dritto. Un allievo di quel Nietzsche che scrisse nel Crepuscolo degli Dei: “Un sì, un no, una linea diritta.” Didier Raoult mantiene una direzione che sul pianeta intero gli vale anche il rispetto dei suoi pari, per dire. Quando persino gli invidiosi e i gelosi sono obbligati a far tacere l’invidia, la gelosia per togliersi il cappello davanti al grande uomo, è perché bisogna arrendersi all’evidenza: l’uomo ha un’ importanza superiore alla sua persona singola; è esattamente ciò che Hegel chiama un grande uomo: un uomo che fa la storia nello stesso tempo in cui la storia lo fa. Dal mio letto dentro il quale smaltivo una febbre tropicale, mi sembra di ricordare di aver sentito la voce nasale di uno di questi San Giovanni Boccadoro mediatici (un fine dicitore che rivela verità nascoste- N.d.T.) (medico sulle reti televisive e giornalista in camera operatoria) che diceva del professor Raoult che “lavorava lontano da Parigi”. Era tutto detto! D’altra parte si può forse parlare di lavoro quando si è così lontani dalla capitale? A Marsiglia non sono forse dei contaballe? Gente che dà aria ai denti ? Dei fanfaroni? Degli esperti di sardine che bloccano il porto? Marsiglia! E poi che altro ?

Quest’uomo che si poteva, andando per le spicce, prendere per Johnny Hallyday negli anni settanta, quest’uomo aveva dunque la sfacciataggine non di essere pagato per cercare senza trovare, come si fa a Parigi, ma pagato per trovare dopo aver cercato; e che ha trovato, come è successo in questa ormai famosa nave ammiraglia francese: l’istituto universitario ospedaliero per le Malattie Mediterranee. Quest’uomo dunque aveva la sfrontatezza di pretendere di curare e di guarire con una combinazione di medicine semplici che hanno il vantaggio di costare poco e di essere efficaci. Ma allo stesso tempo, come potrebbe dirsi da un altro punto di vista, questo protocollo presenta l’inconveniente enorme, per l’industria farmaceutica, di non far guadagnare delle fortune giocando con la salute dei malati. È una rappresentazione tragica, come quelle di Eschilo, di Sofocle, di Euripide, che si recita sotto i nostri occhi: da un lato fare fortuna sacrificando la salute delle persone e si suppone dunque che il potere, connivente con l’industria farmaceutica, opti per la morte delle persone che serve come variabile di regolazione del mercato e che col passare del tempo, dunque con l’aumento dei cadaveri, rende il prodotto farmaceutico appetibile, dunque raro e caro; dall’altra parte salvare il maggior numero di persone possibili, il più presto possibile, al costo minimo possibile, ma in questo modo non produrre i guadagni planetari che l’armata dei mercenari dell’industria farmaceutica si aspetta.

A questo punto si sarà capito che ciò che oppone il professor Raoul ai suoi avversari (il più ragguardevole sembra essere il signor Levy, più noto in città come signor Buzyn [1] ) è il trionfo di una vecchia contrapposizione. Il vecchio dualismo che oppone l’eroe alla carogna; o anche: il professore che odia la morte e ama la vita contro i burocrati della sanità che amano la morte e odiano la vita; è l’antica contrapposizione tra il leone con la criniera minacciosa che li manda tutti a quel paese e i pangolini con i quali si confezionano delle minestre fetide. Una strana linea di confine separa coloro che detengono il potere, le élite, per dirlo con una parola semplice e quelli che subiscono questo potere.

La frattura che divideva i Gilet Jaunes e i loro nemici sembra ricalcare la geografia di quelli che ritengono che il professor Raoult incarni un mondo nel quale si trova la provincia, la campagna, la ruralità, la povertà, i bifolchi, i contadini, gli incolti, i laureati senza lavoro, eccetera..,mentre sull’altro fronte si trovano i Parigini, gli accademici “alla Lambron”,[2] snob come un liceale di provincia anche se ha già superato tre volte quell’età, l’irraccontabile Cohn-Bendit, che per il suo passato di pedofilo dovrebbe essere tenuto definitivamente lontano da qualunque emittente ma che nello stile contorto e grossolano che da mezzo secolo gli appartiene, chiede al professore di “chiudere la bocca “.

Da questo stesso ambiente viene Patrick Cohen, giornalista a disposizione del nazionalismo maastrichtiano, che ha recentemente parlato di una deriva della crisi sanitaria verso un “Giletjaunizzazione” sulla rete di “C’est à vous” il 25 marzo. Dunque proprio in una trasmissione di servizio pubblico Patrick Cohen ha fustigato quelli che avevano il torto di credere che questa crisi fosse affrontata malamente dal potere macroniano…E anche Michael Cymes che dopo aver annunciato che con questo coronavirus si sarebbe trattato di un raffreddorino, adesso dà lezioni in una trasmissione del Servizio Pubblico dove lui è presentato come esperto della materia nonostante la sua imperizia… Lo stesso Cymes affronta il professore; è vero che, affiancato da Adriana Karembeu che gli fornisce l’appoggio intellettuale e medico che gli manca, questo comico mancato può intanto passare alla cassa grazie alle sue numerose attività fatturate. Non dimentichiamo Alain Duhamel, cronista maastrichtiano di Liberation, giornale progressista che ritiene che l’orizzonte sessuale invalicabile oggigiorno consista nel copulare con gli animali e mangiare del materiale fecale (la pedofilia, è roba superata), secondo il quale il professor Raoult è “un anticonformista del potere un po’ squilibrato psichicamente”…Ce ne vuole dell’astio per permettersi un giudizio del genere che riguarda la parte più intima di un essere e trattarlo semplicemente come pazzo, come ai bei vecchi tempi dell’Unione Sovietica che considerava pazzia qualunque pensiero critico. Infine, ciliegia marcia sul dolce del potere, bisogna ugualmente tenere conto dei servizi del giornale Le Monde ( “giornale Vichysta della Sera” diceva De Gaulle negli anni ‘50) che Il 28 Marzo ha istruito un processo sul complottismo -un tempo sarebbe toccato loro il processo dell’Inquisizione, il rogo per le streghe, il tribunale rivoluzionario e altre istituzioni giuridiche nelle quali l’obiettivo è prima uccidere e poi istruire il processo. Grazie a giornalisti come quelli il professor Raoult viene assimilato ai complottisti, all’estrema destra, al Rassemblement National (LePen) , alla sinistra radicale, ai russi, a quelli di Trump, ai climatoscettici, all’antisemitismo, e senz’altro ai Gilet Jaunes. Non compaiono nell’elenco gli amici di Adolf Hitler, probabilmente perché Le Monde non è riuscito a raggiungerli…

Quando si considerano tutti i nemici di quest’uomo, si ha francamente voglia di essere suoi amici… Dunque preceduta da questa sequela di ingiurie ho ricevuto in Martinica, molto presto la mattina a causa del fuso orario, il messaggio di un’amica giornalista franco- libanese che mi domandava se poteva dare il mio recapito telefonico al professor Raoult. Ho chiesto da chi venisse questa richiesta. Da lei? Niente affatto, dal professore in persona che desiderava parlarmi. “Gli piace molto il tuo lavoro- mi disse lei- gli piacerebbe proprio parlarti .” Ovviamente ho acconsentito… era abbastanza surreale conversare con quest’uomo che la stampa mondiale voleva intervistare e che trovava il tempo per una conversazione filosofica. Lo immaginavo piegato sotto il peso delle richieste planetarie di intervista e noi parlavamo di … Nietzsche. La Gaia Scienza [3] fu per lui come una rivelazione. Avevamo dunque in comune di aver scoperto all’età di circa 15 anni un pensiero che poteva generare tanto una civiltà, una cultura, quanto essere la base di una vita personale e privata. Il vero filosofo non è quello che cita una grande figura della storia delle idee come potrebbe rievocare una scultura di Verrocchio, un dipinto di Greco…(quest’uomo d’altra parte mette in risalto la fiamma crescente del Greco…) o un’opera di Spinoza. Ė colui che dopo la lettura di un’opera non vive più la stessa vita che viveva prima: la Gaia Scienza può In effetti cambiare la vita di chi lo abbia appena letto. Che cosa vuol dire essere Nietzchiani? Ci sono vari modi di esserlo e lo si può essere in modi diversi nel corso di una stessa vita. Certamente ci sono i più sempliciotti che sono i più superficiali e che non hanno bisogno di grandi cose, se non di cadere nella maniera più ottusa in tutte le trappole tese dal filosofo: che vuol dire non accorgersi per nulla del suo humor, della sua ironia, del suo cinismo (nel senso greco del termine: del suo diogenismo…) ovvero cadere a piedi giunti dentro la sua misoginia, la sua fallocrazia e non accorgersi che ogni rivendicazione di un desiderio di forza deriva invece in lui dalla voglia di compensare una debolezza anatomica, fisiologica idiosincrasica; è come confondere l’ebreo dell’Antico Testamento che per mezzo di Paolo rende possibile il cristianesimo, e l’ebreo dell’industria del XIX secolo. Si può commettere più di un errore quando si apre un libro di Nietzsche in quest’epoca in cui il mondo si apre a noi con il suo vasto caos. Il Nietzsche di cui noi parliamo, lui e io, è quello dei nostri 17 anni con il quale ci si rafforza dentro: è quello della forza che identifica ogni violenza che sa dove si dirige, la violenza essendo in sé una forza che non sa dove va, verso che cosa va. La familiarità vissuta a lungo con quest’opera forgia l’essere come una spada. Quello che rimase al professor Raoult di Nietzche è il suo nocciolo aureo: un metodo. Bisogna purgare Nietzsche dalla lettura fatta da sinistra da decostruzionisti come Deleuze e Guattari, e anche come Foucault, che hanno confuso la lettura che Nietzche fa della verità come un insieme di punti di vista, con la negazione di qualunque verità.

Che la verità sia una somma di punti di vista non è l’abolizione della verità, la negazione e la soppressione della stessa, ma è piuttosto la lettura della verità come l’avrebbero presto sviluppata i cubisti per mostrarne la grande complessità. Eccitatissimo per la densità di questa conversazione sul metodo nietzchiano, in un tempo sospeso che è quello dell’alba in Martinica, passo a un personaggio nietzschiano anch’esso: il personaggio di Paul Feyerabend di cui amo il libro “Contro il metodo” che ha come sottotitolo “Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza”. Ovviamente (il prof. R.) conosce questo testo del 1975 ma l’ha insegnato in seminari di cui scopro ora l’esistenza… oltre a Nietzche e Feyerabend si dà il caso che io ami un terzo riferimento filosofico in materia di metodo: ed è “La formazione dello spitrito scientifico” di Gaston Bachelard. Questa proposta per una psicanalisi della conoscenza obiettiva (non una psicanalisi freudiana ma junghiana…), permette in effetti di vedere come si costruisce un sapere e quali sono gli ostacoli epistemologici e le rotture epistemologiche, come si costruisce e si smonta un sapere, scientifico o altro. Guardo verso il mare, il mattino è rosso, il sole liscia il mare di chiazze arancione. Il professor Raoult mi chiede se conosco una frase di Husserl che mi cita, non la conosco. In sostanza la frase dice che la verità si nasconde e che soprattutto fa velo all’essenziale che rimane celato. L’ombra di Nietzsche plana su questa discussione fra due tempi scanditi da un cronometro. La conversazione ha fine. Il silenzio che segue questa conversazione è ancora la nostra conversazione. Che ronza e danza come (uno sciame) intorno ad un alveare. Ciascuno riparte verso il suo alveare… Qualche giorno dopo, lascio la Martinica. Si annuncia un confinamento più drastico, ci sarà l’embargo totale dei voli, il divieto di scambi tra l’isola e la Francia metropolitana e il prossimo volo è previsto per giugno… Dorothée ci riserva un biglietto di ritorno con urgenza. Partiamo. Mia madre ha 85 anni, non è in gran forma, non vorrei non potermi occupare di lei. E poi, se il coronavirus deve fare il suo lavoro, essendo il mio passato una zavorra, infarto, attacco ischemico, guai cardiaci, preferisco trovarmi in Francia metropolitana. Soprattutto non voglio esporre Dorothée a una situazione che non sarebbe il meglio per lei. Abbiamo mascherine e guanti. Ma la situazione sanitaria in aeroporto è catastrofica: una fila di attesa di un centinaio di metri, le persone sono spalla-spalla, non un’uniforme né un poliziotto, né un gendarme, né un militare, nessun personale aeroportuale, bisogna attendere tre ore gli uni incollati agli altri. Le valigie e le borse si accavallano in un grande disordine tropicale. Fa caldo, tiepido, umido. Le persone vanno e vengono. I bambini sono seduti sui bagagli. Non solo: all’atto dell’imbarco, tutti si accalcano gli uni sugli altri.

L’aereo è un Boeing 747 noleggiato da Corsair, e cioè vi è un branco di 400/500 persone… Tutti pensano al coronavirus in questo momento: come schivarlo? Tanto più che le 8 ore di volo si faranno con un’aria condizionata che è il brodo di coltura di tutto… Il mio vicino starnutisce come un eroe di Rabelais e ne distribuisce dovunque… Io leggo “Il destino delle civiltà” di Frobenius ma ho l’impressione di imparare di più da questo volo che dal libro… Arrivo in un aeroporto vuoto: recuperiamo la nostra auto, rientriamo in Normandia. 3 ore su un’autostrada solitaria. Caen è una città morta. Eccomi a casa. Dal mio balcone scorgo una città che sembra dipinta da De Chirico: non un’anima viva, il mio frigo è vuoto, la luce è quella di una città dopo la fine del mondo, un genere di chiarore adeguato all’idea che io mi faccio dell’Apocalisse… all’indomani mattina ho un terribile mal di testa, dolori come se fossi stato coperto di botte, comincia la febbre – abitualmente la sopporto molto male… Salirà di continuo fino ad arrivare a 40 ° e non mollerà questo valore per tutta la settimana notte e giorno. Ho paura per Dorothée che ha imprestato il suo appartamento a suo figlio. È al confino con me. Non vorrei esporla al contagio; le confesso i miei sintomi e mi confessa di avere gli stessi…. chiamiamo il nostro medico che sentendo ciò che gli raccontiamo conclude che tutto questo assomiglia perfettamente al Covid-19… Con prudenza e forte circospezione, ammette che è questo: “ Ve la siete beccata”… ci dice con una vera tristezza nella voce. Dunque viviamo il Covid-19: non bisogna più averne paura, è arrivato. Non c’è più bisogno di temere che ci caschi addosso, è dentro noi. Ormai è una roulette russa. Mi viene in mente una sortita dalle trincee durante la Prima Guerra Mondiale: alcuni si prendono la pallottola in piena testa, e per loro è finita: è finita la guerra ma anche la vita; altri passano attraverso i colpi delle pallottole e degli obici che fischiano e non ne prendono nessuna, tutti i colpi passano miracolosamente vicini; un terzo si prende un colpo nella spalla, va giusto bene per uscire dalla partita e ritrovarsi all’l’ospedale e non è tanto da trovarsi poi allungati in una bara, due dita più in là c’era l’arteria. Che cosa giustifica il buco in fronte? i colpi sfiorati? la pallottola nel posto giusto che vi libera? Nient’altro che il caso … Dio non esiste altrimenti avrebbe una bella faccia tosta. Penso dunque a questo virus e a ciò che farà di Dorotea e di me. Penso ai miei morti, non immaginavo che avrei dovuto considerare la possibilità di rivederli guidato da questo genere di virus uscito da una zuppa cinese di pangolino o da un minestrone di pipistrelli. Sudo notte e giorno a 40 °C. Il mio cuore batte all’impazzata, sento le aritmie ben note di diastoli e di sistoli. Ritrovo i crepitii, il picchiettio, i graffi sulla pelle del mio cervello danneggiato da piccole ischemie.

Mi ritrovo con le perforazioni che mi avevano forato il cervello in quell’occasione. Un giorno, due giorni, tre giorni, quattro giorni, cinque giorni, sei giorni a questo ritmo tra 38° e 40° di temperatura… Il batticuore, la pressione arteriosa che spinge contro le tubature. Non mi stupirei se tutto cedesse d’improvviso. Dorothée non sta bene. Accusa dei sintomi di meningite. Viene ricoverata in ospedale 6 giorni. Sono solo di fronte a questo cervello bruciante e bruciato, spiando la febbre che forse mi porterà via del tutto, come un’ascia trancia di colpo un nodo Gordiano.

Ogni mattina nel mio letto bagnato come una zuppa mi risveglio dicendomi che non è stata questa notte. Poi il 28 marzo alle 20 e 30, mi decido a mandare un testo al professor Raoult per raccontargli quello che mi capita in poche righe: diarrea, emicrania, febbre, dolori, precedenti di infarto e di mini ischemie, pressione alta, aggiungo che Dorothée è nel mio stesso stato ma ospedalizzata… mi richiama entro un quarto d’ora e mi chiede se soffro di perdita del senso dell’olfatto o del gusto, no non ho perso il senso del gusto ma si è modificato, tutto è diventato terribilmente amaro. La conversazione è durata meno di 4 minuti. Conclude: “Questo non è Covid”. Poi una frase che si perde dopo questa informazione che mi lascia basito e che dà una posologia di non so quale medicina per non so quale caso. Io, noi eravamo positivi al Covid: adesso non lo eravamo più. Ma allora cos’era?Non c’era più nessuno all’altro capo del telefono. Tranne quella folgorazione di cui è capace soltanto chi sa perché vede. Qualche ora più tardi l’ospedale comunicò a Dorothée che non aveva il Covid, dunque probabilmente neanch’io. Era una dengue, detta anche malattia tropicale. Colui che aveva letto Nietzsche quando aveva 15 anni non aveva passato tutto questo tempo in compagnia della Gaia scienza invano, ne aveva imparato la vera sapienza. È un capo. Si capisce che visioni del genere mettono fuori strada i sempliciotti che non le capiscono -Alain Duhamel e Daniel Cohn-Bendit, Marc Lambron e Michel Cymes, il giornalista di LeMonde ed alcuni altri fagiani, che puzzano di odio come le vecchie carogne puzzano di morte qualunque cosa facciano…

Il professor Raoult dispone della linea diretta con la Vita. Una conseguenza della sua lunga familiarità con la Gaia Scienza di Nietzsche. Che potrebbero saperne gli omuncoli che brulicano dentro Zarathustra?

 

Michel Onfray

Fonte: https://francais.rt.com

Link: https://francais.rt.com/opinions/73935-quest-qu-un-chef-michel-onfray

10.04.2020

Tradotto per CdC da Giakki49

 

Note:

[1] Mr Levy Yves – marito di Agnès Buzyn – Agnès Buzyn, nata il 1.o novembre 1962 a Parigi è un’ematologa, professore universitario e donna politica francese. Dopo aver ricoperto cariche di responsabilità legate alla Salute nelle istituzioni pubbliche è entrata in politica con la Presidenza Macron come Ministro per la Solidarietà e la Salute, ha dato le dimissioni per candidarsi come c)apolista per l’elezione del sindaco di Parigi del 2020 nel partito di Macron (LREM).Attualmente ha chiesto di essere reintegrata nell’attività ospedaliera per combattere il Coronavirus.
(estr. da Wikipedia)
[2] Marc Lambron, nato il 4 febbraio 1957 a Lione è un alto funzionario statale francese (del Consiglio di Stato), un critico letterario e uno scrittore. Dal 2014 fa parte dell’ Académie Française. (estr. da Wikipedia)

[3] La gaia scienza
Libro di Friedrich Nietzsche
La gaia scienza è un libro di argomento filosofico, composto esclusivamente da aforismi di media lunghezza, scritto dal pensatore tedesco Friedrich Nietzsche. Wikipedia

Originale su RT France – opinions
Tradotto per CdC da Giakki49

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