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Anomalie percettive

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A cura di Davide
Il 30 Aprile 2020
524 Views

DI ALBERTO CONTI

comedonchisciotte.org

Ormai è chiaro, siamo in presenza di una sopravalutazione del danno sanitario e di una sottovalutazione del danno economico e sociale. Questo avviene in tutto il mondo, ma in misura assai differenziata tra Paese e Paese, con l’Italia in testa.

Il lockdown come misura di contenimento del danno sanitario è giustificato dall’ignoranza scientifica su questo particolare coronavirus, del tutto nuovo rispetto ai casi precedenti e dagli effetti stranamente disomogenei sulle popolazioni. A questo si aggiunge la motivazione forte della necessità di rallentare il contagio, per non far saltare le strutture sanitarie palesemente sottodimensionate rispetto alle esigenze straordinarie dell’epidemia, soprattutto a causa di anni e anni di tagli al bilancio della sanità pubblica, quella in prima linea nell’assistenza ai casi più gravi della malattia, perdipiù in assenza di protocolli medici adeguati vista l’assoluta novità della patologia.

Al contrario la sanità privata nella sua forma più economicamente sviluppata ed influente, che è quella della ricerca e sviluppo del farmaco, si avvantaggia della situazione preparandosi a commercializzare su scala planetaria un vaccino proposto come soluzione unica e definitiva del problema, in barba alle più elementari conoscenze fin qui maturate che suggeriscono l’impossibilità di tale risultato, visti i tempi tecnici necessari in rapporto alle rapidissime mutazioni già osservate sul virus in questione.

Insomma, un quadro ideale per poter inscenare il dramma che stiamo vivendo, nelle sue diverse varianti da Paese a Paese, diverse soprattutto nei diversi livelli di paura indotta nella popolazione e conseguente percezione del rischio da parte dell’opinione pubblica.
Incredibilmente a nulla valgono i freddi numeri statistici, peraltro resi incerti e inaffidabili dalla difficoltà di classificarli e raccoglierli, perfino nella conta dei morti relativi alla malattia rispetto ai morti totali che ogni anno si registrano tra la popolazione.

Ad esempio in Italia, Paese tra i più pesantemente colpiti dal morbo, siamo avviati verso una cifra ufficiale attorno ai 30.000 decessi relativi a questa prima ondata, a fronte di circa 650.000 decessi complessivi negli anni precedenti, quando non c’era questa emergenza sanitaria, su una popolazione di circa 60.000.000 di abitanti. Parliamo perciò approssimativamente dell’1% di decessi “fisiologici” negli anni precedenti e di un ipotetico incremento del 4,6% di tale cifra, nel caso le morti collegate al covid-19 si aggiungessero a tale cifra. Ma sappiamo che quest’ultima ipotesi pessimistica è infondata, essendo preponderante la percentuale di soggetti anziani e malati tra le vittime di covid-19, soggetti che probabilmente sarebbero comunque deceduti successivamente anche senza covid-19, cioè rientranti in quell’1% totale che si è registrato in media fino al 2019. Difficile quindi al momento azzardare una percentuale ragionevolmente sensata di vittime del virus, ma sappiamo comunque che si tratta di un ordine di grandezza di pochi punti percentuali sul totale dei morti che ogni anno si contano conformemente al naturale ricambio generazionale.

Oggettivamente questo flagello, per grave e anomalo che sia, rappresenta una piccola percentuale dei rischi di morte che ognuno di noi affronta ogni giorno della sua vita, avendo la certezza che il temuto evento un certo giorno si verificherà, e con probabilità crescente con l’avanzare degli anni. Potremmo allora pensare a questo nuovo terribile rischio come uno sorta di spread relativo al normale rischio di morte, analogamente al maggior interesse sul debito pubblico rispetto a situazioni “più virtuose”. Ribadisco che tutto questo non ha nulla a che fare col giudizio di gravità della malattia, che nei fatti procura danni variabilissimi, che vanno dal semplice raffreddore alla morte più atroce. Semmai ha a che fare con la rimozione del fatto che molto probabilmente si tratta di una malattia endemica, che prima o poi sperimenteremo tutti, nella migliore delle ipotesi senza neanche accorgercene se non si fanno gli opportuni esami clinici a tappeto su tutta la popolazione, cosa attualmente impossibile.

E qui arriviamo al primo punto nodale di questa tragedia artificiale: l’idea che si è radicata nel grosso della popolazione è che siamo di fronte a un mostro di dimensioni terrificanti, dal quale possiamo difenderci solo con la misura estrema del lockdown e della distanza sociale in attesa della panacea vaccinale di massa, possibilmente obbligatoria per maggiore sicurezza.

La parola chiave è “terrificante”, che sconvolge la normale scala di priorità della vita, adombrando ogni altro valore primario che non sia la mera sopravvivenza fisica del qui ed ora.

A fronte di questa pesantissima deformazione della percezione del rischio in senso amplificativo c’è però una ancor più grave deformazione della percezione delle conseguenze nel medio e lungo termine sulla vita economica e sociale, in senso riduttivo. Le stesse vittime di panico da coronavirus covano in fondo all’animo la convinzione, che è più di una semplice speranza, che nel dopo-coronavirus tutto ritornerà come prima, se non meglio. E’ come una necessità di compensazione dell’incubo presente, altrimenti insopportabile. E’ così che si sposa e si accetta la procrastinazione del lockdown oltre ogni ragionevolezza complessiva, rimuovendo freudianamente le ben più gravi conseguenze che questo comporterà nel dopo coronavirus, delle quali peraltro nessuno è in grado ora di calcolare esattamente la portata. Paradossalmente l’ignoranza in materia sanitaria agisce da catalizzatore dell’esagerazione protezionista, percepita come necessaria e prioritaria, mentre l’ignoranza in materia economica agisce da inibitore della preoccupazione del futuro occupazionale ed economico, oggettivamente ben più grave nel suo insieme dello stesso coronavirus, non solo sulla qualità della vita, ma anche in termini di aumentata mortalità generale. Quando le deformazioni percettive, alimentate da una paura artificiale, producono l’effetto di accentuare il danno dal quale ci si vorrebbe riparare, siamo in presenza di una evidente patologia percettiva e quindi comportamentale, assai più pericolosa della causa fondante della paura stessa.
Che ci sia una regia più o meno occulta a governare questo processo socio-comunicativo per finalità speculative, o che sia il sistema stesso che corre impazzito col pilota automatico inserito, il risultato non cambia, ed è un risultato di impoverimento, morte e distruzione per i popoli, che solo il risveglio delle coscienze può scongiurare nelle sue estreme conseguenze.

In questo si misurano le diverse popolazioni del mondo, e perciò è anche sul confronto reciproco che occorre soffermarsi e ragionare, imparando il più possibile dagli esempi altrui. Chissà che così facendo non si trovi anche il coraggio di cambiare le nostre precedenti regole e abitudini, per adattarsi al meglio a questo mondo in rapidissima trasformazione, soprattutto in senso sistemico. Ci troviamo in mezzo al guado e di fronte a un bivio contemporaneamente. Da una parte una salvezza che non può prescindere dal rinsavimento percettivo, dall’altra la perdizione nelle psicosi indotte da un sistema già gravemente malato, da molto prima che il coronavirus le trasformasse in panico irrazionale esponendoci ad ogni sorta di attacco mortale.

Un ultima considerazione, strettamente legata a questa patologia percettiva della dura realtà che ci troviamo a vivere, riguarda l’origine del virus, che come il metaforico cigno nero sembra spuntato improvvisamente dal nulla seminando panico e distruzione sistemica.
Sappiamo tutti che dal niente non nasce niente, e al contrario ogni fatto grave ha una sua causa precedente che lo scatena. All’inizio i soliti “scienziati mainstream” si sono prodigati per imporre la loro certezza che il virus fosse di origina naturale, come nel passato costellato da casi anche ben più gravi di pandemia. Però sappiamo che in Cina esiste un laboratorio a Wuan compartecipato da vari altri Stati, dove si manipolano virus con le più recenti e sofisticate tecnologie, così come sappiamo che il Pentagono controlla direttamente e segretamente 400 di questi tipi di laboratori sparsi per il mondo, dedicati alla ricerca e sviluppo di armi biologiche di distruzione di massa, talvolta presentati come laboratori per la ricerca vaccinale per il bene di tutti. Ora però alcuni scienziati un po’ meno mainstream, come il Nobel Montagnier prontamente aggredito per questo dalle calunnie di “Repubblica”, si azzardano a sostenere l’origine artificiale del virus, ossia l’ingegnerizzazione di un virus naturale per altri scopi rispetto a quelli previsti da madre natura, come sicuramente ne esistono in gran quantità e varietà nei suddetti luoghi di produzione. Di fronte ai patimenti presenti e futuri per questa crisi da covid-19, un essere umano dotato di percezioni aderenti alla realtà dei fatti dovrebbe indignarsi come mai ha saputo fare in tutta la sua vita, di fronte anche solo alla possibilità che ciò sia avvenuto e possa ripetersi, e pretendere di conseguenza lo smantellamento e la neutralizzazione di queste strutture, garantendolo tramite supervisione di un organismo sovranazionale, al quale perfino l’impero USA deve assoggettarsi pena l’inevitabile giudizio universale di stato-canaglia, con tutte le conseguenze alle quali gli USA stessi ci hanno abituati. Parlo di un qualunque onesto cittadino del mondo che sia normodotato, che non può non provare questo forte e profondo sentimento. Moltiplichiamolo per almeno 7 miliardi e ne esce un urlo che non può rimanere inascoltato a qualsivoglia livello.

Perché di questa misura urgente e definitiva non se ne parla? Dobbiamo aspettare un nuovo virus “migliorato”, cioè enormemente più letale e distruttivo per l’umanità nel suo complesso, prima di agire in questa direzione? Chi ha ancora qualche dubbio in proposito e tergiversa, sappia che si avvicina rapidamente il momento in cui sarà troppo tardi per agire, anche se nessuno può predire esattamente quando sarà quel momento. Anche la nostra morte individuale è certa e non sappiamo quando sarà, ma questa è una fortuna, che ci ripara dall’angoscia quotidiana della morte e ci consente la gioia di vivere sereni giorno per giorno. Nell’altro caso invece è un ulteriore vulnus sociale non sapere quando sarà, però sappiamo fin da ora e per certo che dall’evitare quella catastrofe irreversibile ci separa solo la nostra personale passività e stupidità, la semplice e banale stupidità dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia.
E allora che fare individualmente? Semplice, prender coscienza, far pace tra percezione e ragione. Tutto il resto, cioè quanto basta per raggiungere l’obiettivo, di certo maturerà strada facendo.

 

Alberto Conti

Fonte: www.comedonchisciotte.org

29.04.2020

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