The Guardian in questi giorni ha pubblicato l’importante inchiesta di Harry Davies, Simon Goodley, Felicity Lawrence, Paul Lewis e Lisa O’Carroll (1).
Una indagine giornalistica riguardante le attività illecite compiute dal colosso Uber: “azienda da 43mld di dollari, che effettua circa 19 milioni di viaggi al giorno” ed ora presente in 77 Paesi.
Pare che la multinazionale sia stata per cinque anni in accordo con esponenti politici di 40 Stati diversi: è accusata di lobbying. A provarlo oltre 124mila documenti non più segreti, che The Guardian ha prontamente condiviso con 180 giornalisti di 29 Paesi, oltre alla testimonianza di Mark MacGunn (2), capo lobbista per Uber su Europa, Medio Oriente ed Africa.
I dati mostrano come Uber abbia cercato di ottenere sostegno corteggiando con discrezione primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e baroni dei media.
L’ 11 luglio scorso, The Guardian titolava:
“Uber infrange le leggi, inganna la polizia e fa lobbying coi governi, si rivela in perdita“.
Nel periodo tra il 2013 ed il 2017, ai tempi di Travis Kalanick, cofondatore insieme a Garrett Camp, la società con sede a San Francisco si era data alla vita da “pirata”, imponendosi di fatto come l’alternativa smart alla categoria dei tassisti.
Messaggi, e-mails e altri documenti svelerebbero gli accordi e i rapporti di forza tra Uber (azienda) e figure di rilievo (ma pur sempre figure) della politica internazionale.
Attività di lobbying con l’allora ministro delle finanze Emmanuel Macron, oggi (ri)presidente della Francia; tentativi anche con l’attuale cancelliere tedesco Olaf Scholz ai tempi sindaco di Amburgo e da sempre fermo oppositore di Uber; e ancora, col vice presidente di Barack Obama, ossìa l’attuale presidente USA Joe Biden (3). Non poteva mancare l’ex commissaria europea alla concorrenza (udite, udite) Neelie Kroes sotto indagine della Commissione Europea per possibili pressioni su politici olandesi.
Insomma, non proprio una rivelazione. Possiamo chiamare “Uber Files” il modo in cui un’azienda s’impadronisce di una fetta di mercato, non per merito o seguito, ma più semplicemente scaraventando all’aria ogni principio di giustizia, trasparenza e legittima concorrenza.
Coinvolti pure Renzi e De Benedetti, in questo che si presenta come un assicurato futuro d’innumerevoli io non c’ero.
Attualmente l’azienda dichiara che dal 2017 (dopo le dimissioni di Kalanick), con l’arrivo alla gestione di Dara Khosrowshahi, la situazione è stata completamente risanata.
Oggi vuole essere un’onesta società per azioni di proporzioni globali che ieri si prendeva quello che voleva, istigando le proteste dei tassisti, strumentalizzando persino i suoi stessi affiliati:
In uno scambio, Kalanick rassicurò gli altri dirigenti sul fatto che l’invio di conducenti Uber ad una protesta di tassisti in Francia li mettesse a rischio di violenza da parte di oppositori arrabbiati nell’industria dei taxi. “Penso che ne valga la pena”, rispose. “La violenza garantisce il successo”. (4)
Non ho ancora capito cosa intendesse suggerire con queste parole, probabilmente nulla di vitale importanza.
E ancora:
Nairi Hourdajian, ex direttore della comunicazione di Uber, lo ha espresso in modo ancora più schietto in un messaggio a un collega nel 2014, tra gli sforzi per chiudere l’azienda in Thailandia e in India: “A volte abbiamo problemi perché, beh, siamo solo fottutamente illegali.” Contattato dal Guardian, Hourdajian ha rifiutato di commentare.
Forse l’ha presa sul personale.
In questo contesto, Uber ha sviluppato metodi sofisticati per contrastare le forze dell’ordine. Uno era conosciuto internamente a Uber come un “kill switch”. Quando un ufficio di Uber veniva perquisito, i dirigenti dell’azienda inviavano freneticamente istruzioni al personale IT per interrompere l’accesso ai principali sistemi di dati dell’azienda, impedendo alle autorità di raccogliere prove.
I file trapelati suggeriscono che la tecnica approvata dagli avvocati di Uber, è stata utilizzata almeno 12 volte durante i raid in Francia, Paesi Bassi, Belgio, India, Ungheria e Romania.
Il portavoce di Uber ha affermato che, all’inizio, “le norme sul ridesharing non esistevano in nessuna parte del mondo” e le leggi sui trasporti erano obsolete per l’era degli smartphone.
Adesso che Uber è un’azienda ripulita, da 43mld di dollari, possiamo addirittura parlarne sui media mainstream!
12/07/2022
Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte.org
FONTE: https://www.theguardian.com/news/2022/jul/10/uber-files-leak-reveals-global-lobbying-campaign
Note:
(1) Reporters: Harry Davies, Simon Goodley, Felicity Lawrence, Paul Lewis, Lisa O’Carroll, John Collingridge, Johana Bhuiyan, Sam Cutler, Rob Davies, Stephanie Kirchgaessner, Jennifer Rankin, Jon Henley, Rowena Mason, Andrew Roth, Pamela Duncan, Dan Milmo, Mike Safi, David Pegg and Ben Butler https://www.theguardian.com/news/2022/jul/10/uber-files-leak-reveals-global-lobbying-campaign
(2) https://www.icij.org/investigations/uber-files/uber-lobbyist-whistleblower-mark-macgann/
(3) “Quando Joe Biden, allora vice-presidente degli Stati Uniti, sostenitore di Uber al tempo, si presentò in ritardo ad un incontro con l’azienda al World Economic Forum a Davos, Kalanik mandò un messaggio ad un suo collega:
“Ho detto ai miei di fargli sapere che ogni minuto in cui lui è in ritardo, è un minuto in meno che ha con me”.
Dopo aver incontrato Kalanik, parrebbe che Biden avesse addirittura modificato il suo discorso preparato per Davos, riferendosi al CEO dell’azienda che ha dato a milioni di lavoratori “libertà di lavorare tante ore quante ne desiderano, organizzando la propria vita come desiderano”, https://www.theguardian.com/news/2022/jul/10/uber-files-leak-reveals-global-lobbying-campaign
(4) https://www.theguardian.com/news/2022/jul/10/violence-guarantees-success-how-uber-exploited-taxi-protests