WOLFOWITZ VUOLE DISTRUGGERE L’OPEC, MA IL SUO PIANO E’ RIDICOLO

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DI JUAN COLE

Joe Conanson ha già presentato numerose ragioni per cui Paul Wolfowitz non sembra adatto a dirigere la Banca Mondiale. Ma ne mancano delle altre.

Il notiziario delle BBC Newsnight, parla di una lotta titanica scoppiata fra i neo-conservatori e l’industria petrolifera per quanto riguarda il petrolio dell’Irak. Se la storia è vera si tratta di una delle migliori storie sugli scandali dell’Irak per i prossimi mesi; Greg Palast e i suoi collaboratori hanno superato i colleghi del Washington Post e del New York Times.

Si tratta di una storia collegata anche al tentativo di Wolfowitz di diventare presidente della Banca Mondiale. Avrei da porgli alcune domande. Vuole ridurre gli arabi in povertà? E’ contrario alla semplice esistenza dell’OPEC e alle associazioni dei produttori di materie prime essenziali? E’ favorevole all’uso dei conflitti armati da parte degli stati per consentire alle proprie aziende di appropriarsi delle risorse energetiche degli altri paesi nel Sud del mondo? Le sue politiche economiche hanno radice nel desiderio di incrementare ulteriormente gli interessi del Likud e degli altri partiti di estrema destra dei paesi del Sud del mondo?

Secondo Palast i neo-conservatori (probabilmente Wolfowitz, Perle e Feith) assieme al Ministero della Difesa americana volevano privatizzare l’industria petrolifera irachena per raggiungere uno dei loro scopi principali riguardo al destino dell’Irak. La loro speranza era che un’industria petrolifera irachena, in mano a mani private, presumibilmente compagnie americane, si sarebbe presto staccata dall’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) fornendo petrolio a volontà, senza rispettare le quote programmate dall’organizzazione. Le quote programmate dall’OPEC servono ad impedire improvvise cadute o oscillazioni troppo accentuate dei prezzi.

Che il Pentagono avesse una specie di culto delle privatizzazioni non era un mistero per nessuno. L’Irak è sempre stato un paese socialista almeno sin dal 1968 (elementi di socialismo erano presenti anche nel periodo della dittatura militare 1958-1968.) Le principali industrie erano di proprietà pubblica. In più gli iracheni dimostravano di esserne contenti. I sondaggi indicano che l’80% degli iracheni si aspettano che il governo intervenga per assistere la popolazione.

Paul Bremer, il secondo amministratore civile degli USA, era un fautore fanatico del laissez-faire. Lasciati a se stessi i fautori del laissez-faire sarebbero capaci di privatizzare e vendere a caro prezzo anche l’acqua e l’ossigeno. Jay Garner, il primo amministratore civile, ha affermato in una intervista alla BBC che il Ministero della Difesa ha smobilitato l’esercito iracheno, procurandoci guai a non finire, per il timore che mantenendo in piedi una grande organizzazione del partito Bahat, come l’esercito, ci sarebbero stati problemi per condurre in porto le privatizzazioni desiderate. Secondo Bremer le compagnie americane dovevano essere messe in condizione di poter comprare qualunque ditta irachena esportando subito i profitti. (L’abolizione dei regolamenti relativi alle valute, imposta dai libero scambisti collegati a Washington contribuì al dissolversi delle economie asiatiche nel 1997; la Malaysia è riuscita a salvarsi dalla devastazione opponendosi ai libero scambisti e ponendo regole sulle valute. Si è scoperto che se non ci sono regole sul trasferimento dei capitali subito la speculazione se ne approfitta; bella sorpresa!).

Naturalmente il pezzo pregiato delle privatizzazioni era costituito dal petrolio. Nessun’altra industria pubblica aveva qualche valore, e comunque era difficile da vendere a causa della inefficienza e burocratizzazione.

Comunque la prospettiva che l’industria petrolifera finisse in mani straniere spinse molti iracheni a sabotare i vari oleodotti, o comunque a sostenere i sabotatori. Secondo Palast:

Il signor Aljibury, in passato intermediario segreto fra Reagan e Saddam, afferma che i programmi di vendita del petrolio iracheno, portati avanti dal Governing Council installato dagli americani nel 2003, furono la causa principale dell’inizio degli attacchi e della resistenza contro le forze occupanti americane e inglesi. Aljibury, nella sua casa vicino a San Francisco, ci ha detto: “Gli insorti ragionavano così: “Guardate, stiamo perdendo il nostro paese, le nostre risorse, a favore di un mucchio di miliardari che ci vogliono sopraffare e renderci infelici.” Abbiamo potuto registrare un aumento degli attentati agli oleodotti e alle infrastrutture in concomitanza alla convinzione che erano in arrivo le privatizzazioni.”

L’Irak è in grado di produrre 3 milioni di barili al giorno, però non riesce andare oltre a un milione, un milione e mezzo, a causa dei sabotaggi; le entrate del governo derivanti dal petrolio si sono così ridotte a 10 miliardi circa all’anno, invece di 20 miliardi e anche più.

Secondo Palast a bloccare Bremer sono stati dei funzionari della Coalition Provisional Authority, con solido retroterra nel ramo petrolifero, come Philip Carroll, ex dirigente generale della Shell Oil USA.

Le compagnie petrolifere USA per decenni non hanno mostrato interesse ad avere la proprietà del petrolio del Medio Oriente. I produttori del petrolio hanno nazionalizzato le loro industrie sin dagli anni 70. Le compagnie USA si sono rivolte alla raffinazione e alla distribuzione, che sono attività molto più proficue. I tentativi di possedere i campi hanno sempre procurato loro un sacco di difficoltà. Il tentativo del Primo Ministro Mohammed Mossadech di nazionalizzare il petrolio iraniano nel 1951-1953 ha provocato il boicottaggio da parte degli USA e UK e, infine, il colpo di stato del 1953, appoggiato dalla CIA, che pose fine all’ultimo governo eletto democraticamente in Iran. Da allora le popolazioni del Medio Oriente politicamente e socialmente sono diventate molto più attive e la richiesta di conservare la proprietà delle risorse nazionali è diventata irresistibile.

(Max Boot, il quale crede che gli abitanti del Medio Oriente siano come i contadini filippini del 1920 – poveri, analfabeti, senza collegamenti e politicamente ingenui – è l’esempio delle convinzioni sbagliate dei neo-con. Questi non sono ancora arrivati al 1950, oppure non hanno letto Karl Deutsch a proposito della capacità di mobilitazione del Sud del mondo. Non si può occupare una popolazione urbana, industrializzata, istruita, collegata dai mezzi moderni di comunicazione, e politicamente attiva. Ecco perché Boot e Wolfowitz non sono stati in grado di prevedere la guerriglia di lunga durata in Irak, o la sua efficacia e incisività. Veramente pensano ancora di esser Lord Curzon che ha a che fare con gente arretrata.)

Così il piano dei neo-con/Ministero della Difesa di privatizzare l’industria petrolifera stava nuotando contro la corrente della storia e si è rivelato impossibile da realizzare per i seguenti motivi: a) gli iracheni non lo avrebbero permesso, e b) anche gli industriali del petrolio si rendevano conto che il disastro era imminente.

L’altro grosso errore del piano Wolfowitz/Perle/Feith di distruggere l’OPEC per mezzo dell’Irak è che si tratta di un piano irrealizzabile. Se hanno pensato di poterlo fare è perché ignorano tutto sull’industria del petrolio e dei principi elementari di economia. La produzione giornaliera mondiale di petrolio si aggira sugli 80 milioni di barili. (La misura non è esatta per via delle oscillazioni.) I Sauditi possono produrre 11 milioni (al massimo 12 o 13). Tuttavia possono anche cavarsela con solo 7 milioni al giorno. (Con i prezzi odierni anche di meno). Gli USA, la Russia e la Cina ecc. sono produttori di petrolio, ma lo consumano quasi tutto per sé. Molti paesi produttori utilizzano gran parte del ricavato per uso interno. I produttori del Golfo, al contrario, avendo una piccola popolazione, non possono assorbire tutta la propria produzione, così sono costretti ad esportare il greggio in grandi quantità.

Attualmente, e per il prevedibile prossimo futuro, l’Arabia Saudita è il paese produttore con la maggior capacità di oscillazione. In tre giorni possono passare da una produzione di 7 milioni di barili a una produzione di 11, o tornare indietro. Essi sono in grado di aggiungere o togliere, con un semplice tratto di penna, 5 milioni di barili al giorno dal mercato mondiale di 80 milioni. Data questa possibilità e la loro influenza in seno all’OPEC i Sauditi esercitano una certa influenza (ma non controllano) sui prezzi del petrolio.

L’Irak può produrre soltanto da 2,5 a 3 milioni di barili al giorno, se non vi sono sabotaggi. Con enormi investimenti, spese per la sicurezza e ricostruzioni possono arrivare, entro 5 anni, a un massimo di 5 milioni di barili. Per arrivare alla capacità dell’Arabia Saudita ci vorrebbero da 15 a 20 anni. Nel frattempo però i paesi dell’OPEC potrebbero avere aumentato la loro produzione di 20 milioni di barili, tagliando completamente fuori qualsiasi aumento dell’Irak. Per di più l’Irak è un paese vero, con molte industrie e una popolazione di 25 milioni di abitanti, quindi con un fabbisogno interno del proprio petrolio. La parte destinata all’esportazione può essere solo una frazione di quella prodotta. L’Irak non potrà mai essere un grosso paese esportatore con ampie capacità di oscillazione come l’Arabia Saudita.

Poi ci sono molti paesi produttori non aderenti all’OPEC che non si preoccupano delle quote. Non sono riusciti a distruggere l’OPEC e uno in più (l’Irak) non ci può riuscire certamente. Il cartello dei paesi dell’OPEC in realtà non è tanto potente, e i prezzi del greggio hanno oscillato vistosamente per decenni, sin dalla loro costituzione. Quasi sempre l’OPEC non ha avuto nessuna influenza, e tanto meno controllo, sulla formazione dei prezzi. La politica di Bush in Irak, l’aumento di domanda da parte di Cina e India, più scioperi e altri problemi, in località come la Nigeria e il Venezuela, hanno portato il prezzo del petrolio sino a 55 dollari il barile, quando l’obiettivo dell’OPEC, per tanti anni, è stato quello di avere 25 dollari. I neo-con con la guerra all’Irak sono riusciti a far raddoppiare le entrate dell’OPEC, molto di più di quanto fosse desiderato.

Così il petrolio iracheno non può distruggere l’OPEC almeno per il prevedibile futuro, anche se chiunque fosse al comando lo volesse. In realtà ci sono tutte le ragioni per volere che qualunque governo iracheno conservi la proprietà dell’industria petrolifera e cooperi con l’OPEC per evitare sbalzi estremi nell’oscillazione dei prezzi.

Le materie prime e i beni primari sono danneggiati da grandi sbalzi nei prezzi. Lo possiamo vedere col cotone e il caffè. Ci sono boom poi crolli e poi ancora boom. Queste montagne russe sono pericolose per ogni produttore che, prima o poi, rischia di essere travolto. L’aumento dei prezzi comporta un aumento dei guadagni ma anche un aumento della concorrenza che, altrimenti, a causa dei costi, non si sarebbe fatta avanti. Prezzi molto bassi sono devastanti. Così i produttori di caffè, di petrolio, e altri beni primari, spesso formano dei cartelli per tentare, non tanto di ottenere prezzi alti, quanto di mantenerli più o meno costanti. Ad eccezione del racket DeBeers dei diamanti in Sud Africa, la maggior parte dei cartelli riescono ad avere solo un’influenza minima sui costi.

Adesso i neo-con stanno diventando verdi a favore dell’energia solare o di altre fonti energetiche per riuscire a far diminuire la dipendenza USA dal petrolio. Si tratta semplicemente di un messaggio in codice agli arabi affinché non utilizzino il petrolio per influenzare gli USA nella disputa Arabo-Israeliana. Io sono completamente favorevole all’abbandono del petrolio. Ma esistono altri usi, oltre all’aspetto energetico, specialmente nel settore petrolchimico, che assicureranno la ricchezza degli arabi negli anni a venire, per decenni e forse secoli.

La storia raccontata da Palast è la storia di un’aggressione diventata ingovernabile, e sarebbe più che tragica se è per questo che ci troviamo nel pantano iracheno.

Juan Cole
Fonte: www.juancole.com
Link:http://www.juancole.com/2005/03/wolfowitzs-plot-to-destroy-opec-and_18.html
18.03.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Vichi

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