UNA LETTERA AGLI ANTIAMERICANISTI

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Il 30 gennaio a Roma c’è stata l’Assise fondativa di Legittima Difesa (Movimento Antiamericanista). I miei commenti sulla riunione, indirizzati agli organizzatori, ma credo validi in generale.

DI TRUMAN BURBANK

Sicuramente interessante e stimolante l’assemblea di oggi [30-1]. Molte sono le convergenze con gli antiimperialisti, uno dei gruppi più lucidi nell’interpretazione di ciò che sta avvenendo.

Certamente ben diversi dalla commedia dell’arte che si recita tutti i giorni in TV, dove i politici interpretano dei ruoli fissi, adattandoli alla situazione giornaliera, ma sempre all’interno di un canovaccio prestabilito. Certo, se Berlusconi viene bene nel ruolo di novello Pantalone, non si può dire che Fassino e Bertinotti siano altrettanto riusciti nel fare la moderna replica di Arlecchino. Comunque dove mancano gli attori (o la parte a loro assegnata) c’è una regia televisiva ormai consumata che supplisce. Tutto bene insomma, purché non si faccia l’errore di credere che il teatrino televisivo serva a qualcosa per orientare la propria vita reale.
Ottimo da questo punto di vista il convegno di oggi. Molte idee, spesso discutibili, ma comunque sporcate da un alto coefficiente di verità. (La verità è sporca, perché quasi mai è politicamente corretta). Molte le riflessioni che ho fatto.

Il primo aspetto che mi lascia perplesso è la scelta di un’identificazione “contro”, contro l’America, o più precisamente contro i suoi valori peggiori.

Se tatticamente una scelta di questo tipo è valida, perché non c’è niente di meglio di un nemico comune per coalizzare le persone, in una prospettiva di lungo periodo (strategica) non è sufficiente essere contro, ma bisogna essere “per” qualcosa. I punti sui quali si fonda l’essere “per” sono usciti fuori in modo un po’ faticoso solo alla fine dei discorsi e suonano un po’ come puntelli aggiunti ad una costruzione non sufficientemente solida.

Bisognerebbe quindi rinforzare questi punti, va bene la cultura e la tradizione storica europea, va bene l’approccio diretto al popolo (inclusa l’accettazione del rischio del populismo) ma serve altro.

Va bene ritornare alla nostra eredità culturale, alla nascita della democrazia ed ai lunghi sforzi per migliorarla. Bisogna anche considerare gli errori nella storia europea, le lunghissime guerre dei gruppi di potere contro (in definitiva) i propri popoli.

Un punto che mi appare importante ricordare è la nostra identificazione storica (noi italiani) con il Mediterraneo prima che con l’Europa. Il Mediterraneo per millenni è stata la via di comunicazione su cui si svolgevano i traffici commerciali e gli scambi culturali. Il Mediterraneo dei greci e degli arabi, e delle repubbliche marinare. Il Mediterraneo insomma come simbolo di una tradizione di socialità, come un mare che unisce, da contrapporre all’Atlantico, un oceano che è sempre stato simbolo di divisione fisica.

Qualcuno fa osservare che mentre la storia sembra avanzare sempre più furiosamente è la geografia che ormai sembra essere alle corde, perché ormai il mondo è unificato dalla attuale velocità di movimento del denaro, delle merci, ma anche delle persone e delle idee. Va bene, ma la tradizione mediterranea esiste e da lì bisogna partire per un approccio storico e culturale che ci riporti alle nostre vere origini e lasci spazi minimi all’avversario.

Ma bisognerebbe secondo me anche fare altro.
Nel momento in cui il materialismo storico sembra aver vinto su tutti i fronti – “Noi siamo ciò che mangiamo” era uno dei motti del marxismo e oggi potrebbe esserlo per il linguaggio mercificato della tv – non mi appare sufficientemente osservato questo fatto: che nel sentire comune siamo giunti ad un livello diffuso di materialismo che forse Marx si aspettava solo con la dittatura del proletariato.

Ma lì dove sembra che il materialismo sia inarrestabile riemerge l’idealismo. “Non di solo pane vive l’uomo” diceva Cristo. E non per nulla alcuni gruppi di opposizione radicale sono cattolici. Perché ci vogliono idee ed ideali oltre alle nude analisi dei fatti ed al necessario per vivere.

E mi riviene in mente Philip K. Dick, quando si interrogava sui sogni degli androidi (1). Come se nei sogni della notte ci fosse la preparazione delle azioni del giorno dopo. Se la tigre e la gazzella durante la notte sognano di correre per la vita, la mattina si alzeranno pronte a correre per la propria sopravvivenza. Se un umano sogna di vivere in pace con gli amici ed i familiari, probabilmente la mattina si sveglierà pronto a vivere in armonia con loro. Ma se i suoi sogni sono invece basati sulla logica del profitto egli si sveglierà come una tigre (o una gazzella) pronto a correre in cerca del denaro ad ogni costo in un mondo ridotto a giungla.

E Claudio Lolli era stato un precursore quando faceva notare che avevamo lasciato “Disoccupate le strade dei sogni” abbandonandole al nemico. (“Stavo sognando Reagan stamattina” comincia una canzone).

Insomma penso di essere stato chiaro, bisogna recuperare l’immaginario, quello nostro tradizionale, sociale e mediterraneo e cooperativo. Tornare indietro da un immaginario consumistico ad un immaginario di socialità. E la sinistra deve tornare a frequentare le strade dei sogni.

Ma non finisce qui: c’è un punto in cui Moreno Pasquinelli pecca di orgoglio (sto parlando ancora una volta cattolico) quando espone le sue idee con logica stringente, pensando di aver capito tutto (con una “presunzione bolscevica” dice lui). Se anche avesse capito tutto, egli segue una logica lineare, di rapporto causa- effetto, o almeno aristotelica (A oppure Non-A). Come se il mondo reale seguisse percorsi non contraddittori. Solo nelle nostre interpretazioni (solitamente ricostruzioni a posteriori) il mondo appare avere degli aspetti razionali. Molto spesso per adattarsi al mondo bisogna avere delle logiche di tipo contraddittorio, dove si fanno a volta delle cose che sembrano essere contro il proprio interesse, o contro le proprie idee dichiarate, e sicuramente lo sono in una visione tattica (ora sto parlando militare) mentre si ribaltano completamente in una visione strategica.

Ottimo a questo proposito l’articolo di Sbancor “Bush, Bin Laden e il petrolio” su Information guerrilla quando spiega i “folli” compromessi degli USA con il terrorismo. Da qualche altra parte vedo delle notizie su israeliani che hanno aiutato “terroristi” palestinesi nel loro addestramento.
http://italy.indymedia.org/news/2005/01/717903.php

Ma bisognerebbe leggere “In nome di Ishmael” di Genna per capire meglio le logiche contraddittorie.

In definitiva solo una visione strategica può dare la vittoria e tale visione deve essere potentemente immaginifica, condivisa da molte persone e può (forse deve) avere potenti contraddizioni. Non bisogna guardare con eccessiva sufficienza ai possibili alleati. In questa visione sono sicuramente alleati i no-global / new-global, ma possono essere utili i vari Bertinotti, Prodi, ed al limite anche Rutelli.

Truman Burbank

note
(1) Philip Kindred Dick: “Do the android dream of electric sheep?” – all’origine della sceneggiatura di quell’incubo riuscito che è il film “Blade runner”.

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