Se Bush voleva combattere la tirannia, poteva cominciare con i regimi sotto il controllo degli Stati Uniti. Ma la libertà ha chiaramente dei limiti
DI GARY YOUNGE
C’è un angolo molto piccolo di Cuba che per sempre resterà americano. È un posto in cui la gente innocente è trattenuta per anni senza nessuna accusa, al di là del diritto internazionale, la decenza umana ed oltre la mitica torcia sulla statua della Liberta’. È un posto in cui la tortura ha terreno fertile, le percosse sono di rito e l’umiliazione e’ una routine. La chiamano baia di Guantánamo. La scorsa settimana il nuovo segretario di Stato degli Stati Uniti, Condoleezza Rice, ha citato Cuba, tra gli altri, come “avamposto della tirannia “. Alcuni giorni dopo il presidente Bush ha iniziato il suo secondo mandato con un impegno per far prevalere “la forza della libertà” sul mondo intero. “La speranza migliore per la pace nel nostro mondo è l’espansione della libertà in tutto il mondo,” ha detto. Penserete che se gli americani sono veramente interessati alla libertà d’espansione e alla fine della tirannia a Cuba, ed in tutto il resto del mondo, la baia di Guantánamo sarebbe un buon posto da cui cominciare. Ma i prigionieri di Guantánamo non dovrebbero chiedere le chiavi delle loro catene di ferro ai piedi in qualunque momento. La signora Rice non si riferiva all’avamposto della tirannia che il suo capo ha creato a Cuba, ma al resto dell’isola caraibica, che vive di in una costante miscela di imperfezione ed instabilità.In breve, mentre gli Stati Uniti potrebbero liberare un posto dove ci sono chiari abusi dei diritti umani e di cui hanno il pieno controllo, preferiscono rovesciare una condizione sovrana, che non rappresenta una minaccia dal punto di vista economico e diplomatico, e neppure militare – con un conflitto che sta già causando caos e difficoltà. Benvenuti nella strategia politica estera di Bush per il suo secondo mandato. Il suo scopo non è cambiare i valori morali a Guantánamo in modo che siano più in conformità con quelli sostenuti dal resto del mondo. Bensì provare a cambiare il resto del mondo in modo che sia più in armonia con i valori che governano Guantánamo, dove i diritti dell’uomo e le norme legali sono subordinati agli interessi percepiti dell’America. Sotto questa filosofia, la gestione Bush capisce le parole “tirannia” e “libertà” più o meno nello stesso modo in cui percepisce il diritto internazionale. Ovvero nel modo proprio che la Casa Bianca intende considerarli. Bush è felice di sostenere la democrazia quando la democrazia sostiene l’America. Così quando la tirannia è un inconveniente, lui l’attacca; quando è un espediente, la difende.
Prendiamo l’Uzbekistan, uno dei regimi più repressivi in Asia centrale. Ad Aprile 2002 un relatore speciale dell’ONU ha concluso che nel paese la tortura era “sistematica, dominante e persistente… come risultato dal processo di ricerca”. Durante lo stesso anno, Muzafar Avazov, un leader dell’opposizione, fu bruciato vivo per essersi rifiutato di abbandonare le sue convinzioni religiose ed aver tentato di praticare riti religiosi in prigione.
Nel 2003, Bush accolse un atto scritto di rinuncia all’Uzbekistan quando il fallimento di migliorare la questione dei diritti umani portò alla riduzione del sussidio. Nel febbraio 2004 il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, ha visitato il dittatore del paese, Islam Karimov, ed ha dichiarato: “il rapporto [ fra i nostri paesi ] si sta consolidando. Aspettiamo con impazienza di rinforzare i nostri rapporti politici ed economici.” Tuttavia gli Stati Uniti continuano a fornire il sussidio al paese, lo scorso anno solo 18 milioni di dollari (intorno 20% del totale) dopo avere espresso il proprio “disappunto” riguardo al fatto che Karimov non avrebbe fatto i progressi necessari e più importanti verso la democrazia. Sulla “lista della spesa degli stati tiranni” della signora Rice (Iran, Birmania, Corea del nord, Zimbabwe, Bielorussia e Cuba) voi non troverete menzione dell’Uzbekistan. Perchè? Poiché Uzbekistan, con circa 10.000 prigionieri politici, ospita una base militare degli Stati Uniti che offre facile accesso nell’Afghanistan ed il resto della regione. Così in flagrante violazione di ogni principio che il sig. Bush ha sostenuto la scorsa settimana, e’ stato possibile selezionare un paese o posto che egli sta finanziando e controllando e del quale potrebbe migliorare immediatamente le condizioni se solo lo volesse. Il punto qui non è che gli Stati Uniti dovrebbero intervenire in più posti, ma che dovrebbero intervenire costantemente ed onestamente oppure per niente.
Il discorso di inaugurazione di Bush è stato imballato con verità ovvie, con assiomi, banalità e principi che appaiono ragionevoli solo alla prima occhiata. Il problema è che tutti questi valori sono contraddetti dalla realtà che egli stesso ha generato e che continua a sostenere. Mentre teneva il suo discorso, si potevano percepire gli avvertimenti nascosti tra le parole. “l’America non fingerà che i dissidenti imprigionati preferiscano le loro catene [ eccetto per Abu Ghraib e la baia di Guantánamo ], o che le donne accolgano favorevolmente le umiliazioni e le schiavitu’ [ eccetto che in Arabia Saudita] o che ogni essere umano aspiri a vivere nella misericordia degli oppressori [ eccetto che in Uzbekistan e Israele ].” Tale ipocrisia non è nuova.
Quando il sig. Bush disse “il nostro obiettivo preferibilmente deve aiutare gli altri a trovare la propria voce, per raggiungere la loro propria libertà e vivere secondo il proprio credo”, nessuno immaginava che stava riferendosi ai contadini boliviani che combattono gli aumenti del prezzo del petrolio e la globalizzazione o ai senza terra venezuelani che assumono il controllo dei poderi. L’ordine del giorno per un secondo mandato Bush rappresenta non un cambiamento di direzione ma un’accelerazione della colossale e omicida follia che egli, e la maggior parte dei suoi predecessori, ha perseguito.
Il danno che questa nozione selettiva della libertà infligge al resto del mondo dovrebbero ormai essere abbastanza chiaro. Secondo il website indipendente Iraqbodycount.net i morti civili in Iraq già hanno raggiunto un numero tra 15.365 e 17.582 dall’inizio della guerra, mentre lo studio recente di Lancet ha valutato il tributo di morte almeno a 100.000 e probabilmente di più; nel frattempo, il numero sta aumentando velocemente. Le elezioni della prossima settimana in Iraq – che non avvengono durante la guerra del Medioriente contro gli occupanti stranieri, che non avvengono con gran parte dei candidati troppo spaventati per intraprendere una campagna elettorale, con la posizione dei luoghi di votazione mantenuti segreti fino all’ultimo minuto e con le zone chiave impossibilitate a partecipare – è diventato non un esempio di democrazia ma un imbarazzo all’idea stessa di democrazia.
Nel frattempo, durante la scorsa settimana, un sondaggio globale per la BBC ha mostrato che gli Stati Uniti sono ancora più isolati che mai, visto che in 18 paesi su 21 la gente afferma che il secondo mandato Bush avrà un effetto negativo sulla pace e la sicurezza. Cio’ che è poco chiaro è se la maggior parte degli Americani si rendono conto che questo isolamento li lascerà più vulnerabili all’attacco. La settimana scorsa la signora Rice ha promesso “un dialogo, non un monologo” con il resto del mondo. Ma vista la situazione in Iraq, le conversazioni che cominciano con “Volete un pezzo di questo?” raramente finiscono bene per qualcuno.
Sia Osama bin Laden che i Talebani hanno dimostrato che le tirannie che gli Stati Uniti supportano oggi possono, domani, ritorcersi facilmente contro di loro attraverso la crescita di rancore delle loro vittime. Tuttavia l’idea che gli Stati Uniti siano una forza di civilizzazione dotata d’intenzioni benevole è ancora prevalente negli Stati Uniti tanto quanto e’ rifiutata fuori dall’America. Effettivamente, Tony Blair sembra essere l’unico leader straniero che ancora detiene una miscela di desiderio intenso, ignoranza ostinata e logica deformata dietro l’idea che Bush stia conducendo interventi umanitari.
Una volta interrogato circa i prospetti per il secondo mandato di Bush, il primo ministro britannico e’ stato ottimista. “lo sviluppo viene con l’esperienza,” ha detto. Il fatto che Bush non crede nello sviluppo e’ conosciuto da tempo. Solo adesso capiamo quanto poco impara Blair dall’esperienza.
Gary Younge.
Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,1396962,00.html
24.01.05
Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Manrico Toschi