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La Redazione

 

Tonni Vs Giacobini

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A cura di Rosanna
Il 25 Giugno 2019
1346 Views

DI ALESSANDRO GUARDAMAGNA

comedonchisciotte.org

Un ricordo personale: una sera di Ottobre del 2017 si tenne a Bologna una riunione di attivisti e portavoce del M5S a cui si presentò a sorpresa Luigi Di Maio. Dopo il discorso sulla casta da abbattere e il nuovo stato Italiano da ricostruire, nell’entusiasmo generale che aveva portato alcuni a cantare col karaoke, uscii per prendere una boccata d’aria, e rientrando mi imbattei proprio in Di Maio che, lasciata la sala principale vi stava tornando. Lo vidi, ne misurai a colpo d’occhio l’altezza, quasi pari alla mia, mentre avanzava passandomi letteralmente davanti agli occhi ad un metro di distanza, e non potei resistere dal rivolgergli la parola.

Ricordo che gli dissi scandendo bene le parole: “Signor Di Maio, lei è un Giacobino, vero?! Perché noi tutti a sentirla crediamo che lei lo sia, e se lo è la seguiremo perché per fare la Rivoluzione e cambiare davvero l’Italia abbiamo bisogno di Giacobini.” Lui, che si era fermato di colpo sentendosi chiamare, giratosi con scatto militaresco mi guardò per un paio di secondi prima di avvicinarsi di un passo e di stringermi la mano dicendomi: “Mi raccomando. Tenete duro tutti verso la vittoria finale”. Poi riprese spedito in direzione del salone dove poco più tardi lo vidi ad un tavolo in attesa di mangiare.

Lì per lì la cosa non mi colpì particolarmente. Vedi uno che ti chiama e che non conosci, sei stanco per un tour estenuante in tutta Italia, come disse Bugani che lo aveva fatto arrivare in gran segreto a Bologna, e forse ci sta che tu possa rispondere con una frase fatta. Però non potei togliermi dalla testa che quello che sarebbe diventato da lì a 8 mesi il vice-primo ministro dell’attuale governo Italiano, nonché capo politico del MoV, in verità non mi aveva risposto sui Giacobini.

Un anno e mezzo più tardi l’onda recente di motivi che avrebbero causato al MoV la perdita di sei milioni di voti alle Europee lo scorso Maggio, dimezzandone nel giro di un anno i consensi dal 34 al 17% – caso unico nella storia della Repubblica per un partito di governo – ha portato Luigi Di Maio a perdere le staffe di fronte a certi comportamenti di Alessandro Di Battista, colpevole a suo dire di aver scritto un libro che destabilizzerebbe il governo, e con Salvini, che avrebbe fatto scorrettamente campagna elettorale utilizzando voli di stato.

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Da poche settimane Di Maio ha inaugurato un programma per riformare il M5S a poco meno di 10 anni dalla sua fondazione e poter risolvere così la piaga dell’anarchismo cronico, da sempre segnalato da parte della base ai vertici, staff e stampa.

Per una decade il MoV ha insistito che la presente organizzazione dell’Europa e le sue scelte liberticide non funzionano, che l’UE è gestita da una cricca di banchieri e burocrati senza scrupoli che impongono di continuo politiche economiche neoliberiste. Queste hanno  impoverito i popoli europei al punto da produrre 75 milioni di poveri totali in meno di 20 anni, fino a fare a pezzi interi stati, come la Grecia, i cui asset sono stati incamerati da aziende private e banche tedesche, francesi ed italiane e da multinazionali, come la cinese Cosco che ora possiede il 67% del porto del Pireo, o la tedesca Fraport che dal 2015 detiene il controllo di 14 aeroporti ellenici. Poi improvvisamente il 17 Aprile scorso il M5S annunciava di andare alle elezioni europee a sostegno dell’attuale assetto dell’UE per difendere il PIL dell’Italia. Di Maio si è chiesto il perché di tale scelta? Lo ha spiegato agli elettori?

Dopo essere passato dalla linea NO TAV, NO VAX, NO UE, con cui aveva vinto le elezioni nel 2018, il MoV senza consultazione su Rousseau, ne ha inaugurata una nuova col trittico QUASI SI TAV, SI VAX e SI UE. Di Maio si è chiesto il perché di tale inversione totale di rotta? Crede forse sia sufficiente dire che il ministro della Sanità sa cose che la portano a concludere che invertire la barra di 180° sulle vaccinazioni sia la cosa migliore da fare? Quando egli ribadisce con forza di essere andato “al governo per fare le cose”, è sicuro che tra queste vi fosse sostenere l’UE? La domanda non è meramente retorica e priva di significato e conseguenze politiche, perché sostenere l’UE vuol dire che Mario Monti ha ragione.

Ma Monti, conosciuto nel MoV come Rigor Mortis, è lo stesso che maledice la lebbra populista, che predica che spendere soldi per aiutare i poveri sia una sorta di crimine e che la cosa più importante per il governo Italiano sarebbe far quadrare i conti, a discapito di chi muore letteralmente di fame. Che poi far quadrare i conti come fece lui abbia comunque prodotto un drastico aumento del debito pubblico sembra non considerarlo nessuno…

E infatti quando fu presidente del consiglio non spese un ghello per gli italiani in difficoltà, ma nel 2011 non ebbe scrupoli nel rastrellarne i risparmi per aiutare le banche franco-tedesche a rischio di crack perché esposte al debito greco. Però il ritenere che una linea di appoggio all’UE vada in qualche modo accettata, significa che Grillo, Di Battista e l’intero MoV per dieci anni hanno raccontato agli Italiani plateali kaxxate sui massacri sociali causati dagli esperimenti di politica economica Made in Bruxelles e cattiverie gratuite su Monti… è un po’ il ragionamento che facevano i primi Giacobini se volete, gli stessi di cui chiesi a Di Maio, quando decisero di mettere a morte Luigi XVI re di Francia.

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In sintesi era questo: o noi abbiamo ragione, e allora il re deve morire per tutto quanto rappresenta e ha fatto contro il popolo, oppure ha ragione lui, e quindi deve vivere, ma se ha ragione lui, non solo abbiamo torto noi, ma vuol dire che tutto quello su cui abbiamo basato le nostre azioni e convinzioni non ha senso, o non esiste, e che ci siamo inventati tutto. Ma poiché esiste, allora non è possibile che ci siamo sbagliati e quindi merita di morire, perché la rivoluzione lo chiede.

E infatti, dopo non pochi sforzi e conflitti, lo misero comunque a morte e non si travestirono da cicisbei per ballarci il minuetto dicendo “Maestà, sa che a pensarci bene il suo ancien régime non è poi così male?! Se ci scordiamo questa cosa difficile chiamata rivoluzione e ci rimettiamo la parrucca per sostenere l’attuale assetto della monarchia, vediamo bene che le nostre due pagnotte alla settimana riusciamo pure a mangiarle. Poi se le sembra troppo cibo, veda lei…”. Il re finì invece ghigliottinato, come a morte, politicamente parlando, ci dovrebbero finire l’attuale UE coi suoi burocrati, finti profeti e sicumere, Monti compreso, e non chi fra i popoli d’Europa è stato costretto a subire il peso delle loro scellerate manovre economiche.

Dopo aver detto e ribadito che il MoV è diverso dagli altri partiti che spesso candidano dei nominati, Di Maio ha scelto come capolista per le Europe delle perfette sconosciute che hanno una loro professionalità e che gli sono state consigliate, ma che per la base del MoV non significavano nulla. Di Maio ha spiegato agli elettori il perché di tale decisione, che contrasta con tutti i principi di meritocrazia, impegno e condivisione che stanno alla base del MoV e che de facto ha relegato in cavalleria candidati che si sono spesi per anni a sostegno del M5S?

Se prima Di Maio sostiene e accetta che vi sono persone legate al MoV che dopo anni di lotte hanno deciso di fare altre scelte nella vita, avendone tutto il diritto – ci mancherebbe altro! – riferendosi a Di Battista, come mai poi si stupisce se quest’ultimo ha scritto un libro?

Perché se la prende se Salvini è riuscito ad intercettare fasce più larghe di pubblico rispetto a quanto ha fatto lui? Se invece di andare a Reggio Emilia un Sabato sera in un auditorium ad incontrare 300 followers del M5S, Di Maio vi si fosse recato in pieno giorno come ha fatto Salvini incontrando nelle piazze  della città emiliana migliaia di cittadini, avrebbe interloquito e forse convinto un pubblico più vasto anziché qualche decina di soliti noti.

Se invece di dire che il M5S andava in Europa a difendere quest’ultima, avesse fatto come il leader della Lega che ha dichiarato di andarci per difendere i diritti degli Italiani contro lo strapotere di Bruxelles, avrebbe avuto dalla sua più persone. Se invece di parlare vagamente di appoggio all’UE per difendere un PIL abbattuto proprio dai maneggi di Bruxelles degli ultimi 20 anni, avesse parlato di recupero della sovranità monetaria per l’Italia e di volontà di ristabilire una piena occupazione anziché un miglioramento della occupabilita’ per gli Italiani, avrebbe trovato molte più persone disposte nuovamente a dare fiducia al MoV nonostante gli inciampi dell’ultimo anno, comprensibili per una nuova forza di governo.

Perché quello che Di Maio o chi per lui sembra essersi scordato o non aver visto è che parlare di crociate in difesa del lavoro, ma fare pasticci con Ilva e Whirlpool e produrre un RdC a metà non è segno di impegno credibile di questi tempi, come non lo sono gli slogan. E se vi sono quelli così poco accorti da non saper distinguere la realtà dalla finzione e non capire l’essenza del comportamento politico ondivago ed inconcludente del M5S, ve ne sono anche molti altri capaci di farlo.

Questi ultimi oltre a capire bene che non solo il Parlamento non è stato assolutamente aperto come “una scatoletta di tonno” come il M5S aveva promesso di fare, hanno visto proprio grazie a continui voltafaccia il tonno, anzi i tonni, saltare fuori tra i martellanti e granitici slogan democratici lanciati dal blog del MoV per essere ripetuti e condivisi come un mantra sul web. E che il tonno, come tutti i pesci, puzzi a partire dalla testa lo sapevano da ‘mo anche senza leggere il libro di Di Battista o ascoltare Salvini atterrato in tutte le piazze d’Italia con i caccia F-35. Queste clamorose esperienze di recente svelate da Di Maio hanno solo confermato quanto sapevano già.

Posto che non risulta che nessuna delle scelte degli ultimi mesi siano state fatte da Di Battista (fuori dai giochi politici del Mov dal Febbraio scorso dopo aver accompagnato Di Maio dai Gilet Gialli in Francia), o da Salvini (a capo della Lega e che non decide nulla nel M5S), ma dallo stesso Di Maio – o forse non è lui il capo politico del M5S?! – varrebbe la pena che Di Maio si facesse le domande giuste invece di lasciarsi andare ad esternazioni sbagliate.

Questo naturalmente dovrebbe farlo ammesso che  voglia evitare altri tracolli elettorali ed intenda davvero cambiare le cose, oltre che ricordarsi che nominati, raccomandati di ferro e yesmen di rivoluzioni non ne hanno mai fatte nella storia. Le rivoluzioni le portano avanti i Giacobini, quelli dell’inizio, e gli uomini come Che Guevara e i Barbudos, che nella Sierra di Cuba vivevano anche mangiando serpenti e non con pranzi e rimborsi annui per un equivalente di oltre 40.000 €, come alcuni dei più noti alfieri della falange pentastellata facevano mentre erano all’opposizione.

Quindi per sapere cosa fare in una rivoluzione e quale slancio ideale, forza d’animo e capacità richieda il cambiamento politico radicale, bisogna capire bene chi erano i Giacobini, anche per evitare di trasformarsi in burocrati lontani dal popolo, più che sapere a menadito gli slogan del blog. Di Maio lo sa chi erano? Dalla risposta che mi diede non sembrava affatto,  ma, ripeto, forse era stanco e non capì bene la domanda. Per fugare i dubbi iniziamo col dire che i Giacobini erano molte cose, ma non degli yesmen e nemmeno dei tonni, e che non necessariamente marciavano verso la grande vittoria finale se non avevano fiducia nei capi che li guidavano, e lasciamo pure Di Maio a completare il resto dell’analisi. Questo perché la libertà di pensiero di ciascuno è sempre un gran bottino: il migliore. Se poi si governa uno stato diventa essenziale saperla usare.

 

Alessandro Guardamagna

Fonte: https://comedonchisciotte.org/

 

 

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