TAP: Caviar Democracy e si distrugge il Salento

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DI ROSANNA SPADINI

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Lo storytelling della distruzione delle coste del Salento con gli scavi per il gasdotto Tap prevede sporchi affari di corruzione a partire dall’ambito europeo: una tangente da 2 milioni e 390mila euro, che il governo dell’Azerbaijan avrebbe dato all’ex deputato comasco dell’Udc Luca Volontè, ora indagato per corruzione e riciclaggio, secondo i magistrati della Procura di Milano.

Nel gennaio 2013 il Consiglio d’Europa bocciò il rapporto “Strasser” su 85 prigionieri politici nella repubblica caucasica, che includevano dissidenti e giornalisti. Quella votazione a favore dell’Azerbaijan sarebbe stata la prova del favore che il deputato italiano dell’Assemblea del Consiglio avrebbe fatto in cambio della mazzetta milionaria per sostenere “le posizioni politiche dello Stato straniero”.

Sembra infatti che l’allora parlamentare Udc avesse orientato le votazioni del gruppo Popolari-Cristiano Democratici all’Assemblea, di cui era presidente, «contro il rapporto sui prigionieri politici stilato dal socialdemocratico tedesco Christoph Strasser e fortemente osteggiato dall’Azerbaijan».

Nell’avviso di conclusione delle indagini l’allora parlamentare Udc avrebbe assicurato «nel corso di incontri e riunione in Azerbaijan e a Strasburgo, il proprio sostegno alle posizioni politiche dello Stato straniero dietro il pagamento di denaro», arrivando a «orientare le votazioni» del gruppo Popolari-Cristiano Democratici all’Assemblea, di cui era presidente.

Il Consiglio d’Europa dovrebbe promuove i valori democratici e i diritti umani, in realtà sembra essere più sensibile alle richieste dei 30mila lobbisti attivi a Bruxelles e a Strasburgo. E qui entrano in gioco i rapporti affaristici tra Italia e Azerbaijgian, ricco di idrocarburi e di caviale … 2 milioni e 390 mila euro, a versarli tra il 2013 e 2014 è stato Elkhan Suleymanov, capo della lobby azera a Strasburgo e buon amico del presidente Aliyev, e così ha centrato l’obiettivo: giornalisti in prigione, una fortuna nascosta a Panama, repressione degli oppositori politici, amichevoli rapporti con l’occidente. Poi arriva la brutta sorpresa sulle coste del Salento con il gasdotto Tap. e il seguente video ne è una vomitevole spiccata propaganda d’interesse.

 

Ma tutto ciò non basta. All’origine del maxi-gasdotto che minaccia di perforare le coste del Salento c’è un’altra  storia nera, molto nera, fatta di affarismo mafioso, valigie di contanti che approdano in Svizzera, oligarchi russi amici di Putin, lobbisti  italiani legati alla politica, forzieri oscurati con la targa offshore.

Dai retroscena del maxi-progetto tuttora in corso, su cui è calato il silenzio assordante dei media, emergono  altri interrogativi: perché è un consorzio privato svizzero a gestire un’opera dichiarata strategica dalle autorità europee? Chi ha scelto l’attuale tracciato? E’ davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge meravigliose e oliveti secolari, anziché in zone già industrializzate?

Il TAP (Trans Adriatic Pipeline) è la parte finale di un gasdotto di quasi quattromila chilometri che parte dall’Azerbaijan e arriva in  Salento, dove a Melendugno sono iniziati gli scavi del tunnel autorizzato dal ministero dell’Ambiente per passare sotto la spiaggia di San Foca. Da lì sono previsti altri 63 chilometri di condotte, per cui il consorzio Tap Ag prevede di dover “trapiantare” circa diecimila olivi. Il costo preventivato è di 45 miliardi.

Alcuni documenti riservati della Commissione europea svelano il ruolo cruciale della società-madre che ha ideato il Tap, si chiama Egl Produzione Italia, controllata dalla Egl lussemburghese, a sua volta posseduta dal gruppo elvetico Axpo, che fa capo a diversi cantoni della Svizzera tedesca e che avrebbe ottenuto due finanziamenti europei a fondo perduto, per oltre tre milioni, utilizzati proprio per i progetti preliminari e gli studi di fattibilità del Tap (2004-2009). I ricercatori avevano chiesto altri atti, ma la Commissione li ha negati «per rispettare segreti industriali, sicurezza e privacy» delle multinazionali interessate.

In questa «Egl», la società-madre del Tap, anche l’amministratore delegato è un cittadino svizzero: Raffaele Tognacca, un manager che in Italia aveva lavorato con il gruppo Erg, poi in Svizzera ha lanciato la finanziaria «Viva Transfer», che un’indagine antimafia ha additato come una lavanderia di soldi sporchi. Intervistato dalla tv svizzera italiana, il pm Michele Prestipino descrisse la vicenda come «un caso esemplare di riciclaggio internazionale di denaro mafioso».

Nel 2014 la Guardia di Finanza scopre un presunto clan di narcotrafficanti collegati alla ’Ndrangheta,  capeggiato dal calabrese Cosimo Tassone, che viene intercettato mentre deve versare un milione e mezzo di euro ai Narcos sudamericani, ma non può usare il previsto canale bancario brasiliano. I calabresi allora reclutano un corriere toscano e i suoi due figli, che accettano di «portare quei soldi in contanti, dentro due trolley, a Lugano, nella sede della Viva Transfer», come confermano le confessioni degli stessi corrieri poi arrestati, che consegnano il malloppo a «Raffaele Tognacca in persona», il manager che ha tenuto a battesimo il Tap.

Finché il clan si convince che è Tognacca ad aver incamerato una parcella di oltre 400 mila euro (35 %). Al processo, in corso a Roma, i pm hanno formulato una specifica accusa di riciclaggio, e hanno chiesto ai magistrati svizzeri di indagare sulla parte estera. Nel 2009 la Commissione europea accetta pure di cambiare il beneficiario del residuo finanziamento a fondo perduto, dirottato dalla «Egl» alla «Tap Asset spa», un’altra filiale di «Axpo» con sede a Roma, nello stesso palazzo della delegazione europea (#strano).

La società-bis però eredita i contributi quando è già diventata una scatola vuota: nove mesi prima, infatti, ha venduto il progetto del supergasdotto, per almeno 12 milioni, all’attuale capofila Tap Ag, società svizzera, ma controllata oggi dalla compagnia di Stato azera Socar, dalla British Petroleum, dalla norvegese Statoil (ognuna ha un pacchetto pari al 20% delle azioni), dalla belga Fluxys (16%), dalla francese Total (10%), dai tedeschi di E.On (9%) e dalla svizzera Axpo (5%). Colossi che stanno piazzando pubblicità su siti Internet e giornali per cercare di spiegare la bontà del progetto.

Ci sarebbe anche un accordo segreto per favorire anche un oligarca russo legato a politici italiani, e le tesorerie offshore dei manager di Stato in Azerbaijan e Turchia, documentate dai Panama Papers.

I governi Monti, Letta e Renzi hanno inserito il Tap tra le opere strategiche, per cui si possono ignorare comuni e regioni: basta una valutazione d’impatto ambientale gestita dal ministero, poi convalidata dal Consiglio di Stato (Sblocca Italia). Il super gasdotto è dunque un’opera progettata, eseguita e gestita da imprese private, ma dichiarata di eccezionale interesse pubblico, addirittura sovranazionale. Comunque ora è chiaro che il Tap è nato con «fondi strutturali europei» concessi a un colosso svizzero dell’energia, in teoria esterno alla Ue.

Nel 2013 l’intero maxi-gasdotto viene approvato dalle autorità europee, appoggiate dagli Usa, con una dichiarata funzione anti-russa, per creare un’alternativa al metano della Gazprom, però in seguito il gigante russo Lukoil è entrato con il 10% nel consorzio, mentre alcune intercettazioni italiane autorizzano a pensare all’esistenza di accordi sotterranei anche con altre società russe, controllate da oligarchi fedeli al presidente Vladimir Putin.

Infatti «Avelar» non è mai comparsa ufficialmente nel Tap, ed è una società svizzera creata dal miliardario Viktor Vekselberg, titolare del colosso Renova e vicinissimo a Putin, per investire nelle energie rinnovabili. Per sbarcare in Italia, Vekselberg ha inserito nella «Avelar» due manager senza alcuna esperienza nell’energia, ma con forti agganci politici a destra e a sinistra: il dalemiano De Santis, e un grande amico di Marcello Dell’Utri, Massimo Marino De Caro, come vicepresidente esecutivo. De Caro è stato poi arrestato e condannato per il furto di libri antichi nella biblioteca dei Girolamini a Napoli. Dall’inchiesta esce anche che De Caro, dopo aver ricevuto un bonifico milionario dalla «Avelar», ha girato oltre 400 mila euro a Dell’Utri, per motivi rimasti oscuri, mentre l’ex senatore di Forza Italia in quel momento era ancora in attesa della condanna definitiva per mafia.

Poi arrivano anche i Panama Papers, i documenti offshore ottenuti dal consorzio giornalistico Icij, che mostrano tra i clienti dello studio Mossack Fonseca anche il manager più importante della Tap Ag svizzera. Si chiama Zaur Gahramanov, è nato nel 1982 in Azerbaijan e occupa ruoli cruciali in tutte le società chiave del maxi-gasdotto: è dirigente di grandi aziende del gruppo Socar, il colosso petrolifero dello Stato azero. Consigliere d’amministrazione dei gasdotti Tap e Tanap e gestore di varie società estere, tra cui la cassaforte svizzera che gestisce i profitti miliardari di gas e petrolio, nella sua posizione di super manager di Stato, dovrebbe avere qualche problema ad aprire società offshore, cioè casseforti anonime utilizzabili per nascondere denaro nero e azzerare le tasse (o peggio).

Invece il 18 febbraio 2011 lo studio di Panama registra proprio Gahramanov come azionista di una società offshore delle British Virgin Islands, che però viene resa inattiva il 12 settembre 2014, con singolare tempismo perché proprio quel giorno il governo di Enrico Letta approva la valutazione d’impatto ambientale del Tap. La stessa autorizzazione ministeriale ora è convalidata da una sentenza del Consiglio di Stato, il cui presidente aggiunto è Filippo Patroni Griffi, ex ministro e poi sottosegretario dello stesso esecutivo che ha approvato il Tap.

I danni sull’ambiente e sul business del turismo in Puglia rischiano di essere enormi, mentre le amministrazioni comunali, associazioni e comitati si sono già schierati con il movimento No-Tap, che protesta contro la costruzione dell’opera. Sono a rischio migliaia di ulivi (che la Tap dice di voler ripiantare), l’assetto idrogeologico della costa, una spiaggia e un’oasi protetta, senza parlare dell’ecosistema che vede, tra le specie a rischio, cetacei e tartarughe caretta caretta.

La Puglia è una delle zone più avvelenate d’Italia, e i residenti sono preoccupati per possibili nuove fonti d’inquinamento. «Se si usa qui nel Salento la stessa determinazione e la stessa unanimità della Val Susa» ha detto lo scrittore Erri De Luca in visita a Melendugno «non si farà neanche la Tap».

Una storia dunque che parte dall’Azerbaijan, passa da Panama e arriva fino alla Puglia. Ma cos’è l’Azerbaijan? Da 23 anni il paese è governato dalla dinastia Aliyev, che detiene i settori produttivi, banche e petrolio, controlla l’informazione, i miliardi vengono spostati nei paradisi fiscali come a Panama, in società offshore emerse dall’inchiesta Panama Papers. A Panama l’evasione fiscale non è reato, impediscono ai magistrati di compiere le indagini, le tasse arrivano al massimo al 30%, quindi portare i soldi fuori dall’Italia e approdare là in fondo è semplice.

A Panama si trovano i soldi dei narcos, i signori della droga, che trattano i loro affari nei più importanti grattacieli della città, e lo studio Fonseca, il più grande di Panama, ha curato anche gli interessi della famiglia Aliyev. Mentre esplodeva lo scandalo dei Panama Papers, in Azerbaijan è partita la guerra, nella zona del Nagorno Karabach: il sospetto è che Aliyev abbia voluto nascondere lo scandalo con la guerra di aprile, che ha prodotto quasi 300 morti.

All’eurodeputato Strasser è stato negato l’ingresso nel paese, ci sono centinaia di giornalisti in carcere, eppure l’aula del Consiglio d’Europa votò contro la sua relazione. Il potere delle lobby sfrutta favori e ricatti per ingraziarsi i politici europei, con prostitute usate come arma di ricatto e con doni ai politici come il famoso caviale.

In quei mesi poi, quando si è votato sui diritti civili in Azerbaijan, si è deciso anche l’accordo commerciale sul TAP in Puglia, e pochi mesi dopo la bocciatura del rapporto «Strasser», il premier Letta si recò in Azerbaijan a firmare un accordo. È forse un caso? Il costo del gasdotto ricade anche sull’Italia, quindi ce lo ritroveremo spalmato in bolletta?

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org

30.04.2017

 

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