DI THOMAS FAZI
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Stamattina alle ore 06:00 sono ufficialmente entrati in vigore i dazi statunitensi contro l’Europa, Italia inclusa.
Si tratta di un’ottima notizia: oggi qualunque azione che vada nella direzione di una riduzione degli scambi internazionali è da ritenersi positiva sia da un punto di vista sociale che, soprattutto, ambientale.
È ormai sempre più evidente, infatti, come il liberoscambismo – cioè l’idea che l’obiettivo della politica commerciale globale debba essere quello di incrementare il più possibile il volume e l’intensità degli scambi commerciali internazionali – sia non solo completamente irrazionale dal punto di vista sociale ed economico – perché significa rendersi dipendenti dalla capacità di consumo (e dunque dalle politiche economiche) degli altri paesi, perché provoca una competizione al ribasso sui diritti, perché sta distruggendo la base produttiva di interi paesi ecc. – ma sia anche completamente suicida dal punto di vista ambientale. Il trasporto marittimo è infatti uno dei settori più inquinanti al mondo.
È altresì evidente che serve un ribaltamento radicale di questa logica, che ponga al primo posto la riduzione – non l’allargamento – del grado di apertura commerciale dei singoli paesi. Una nuova razionalità economica che si ponga come obiettivo l’ottenimento del massimo grado di autosufficienza economica nazionale possibile, secondo la filosofia esposta da Keynes nel suo noto saggio del 1933 “Autosufficienza nazionale”:
«Io simpatizzo piuttosto con coloro che vorrebbero ridurre al minimo il groviglio economico tra le nazioni, che non con quelli che lo vorrebbero aumentare al massimo. Le idee, il sapere, la scienza, l’ospitalità, il viaggiare – queste sono le cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma lasciate che le merci siano fatte in casa ogni qualvolta ciò è ragionevolmente e praticamente possibile, e, soprattutto, che la finanza sia eminentemente nazionale».
In questo senso, tutti i produttori italiani che si lagnano per i dazi – che al massimo determineranno una piccola flessione di un export che è in crescita, anche troppo, da anni – farebbero meglio a preoccuparsi del “dazio” dell’austerità che ha provocato in questi anni una drammatica stagnazione dei consumi interni, che sono il vero motore dello sviluppo economico.
Thomas Fazi
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18.10.2019