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L’Italia è immota e trascinata nella polvere dai soft power esterni, che non sono più soltanto quelli europei, ma anche cinesi
L’ex ministro Moavero ha pronunciato frasi lapidarie in un’intervista a La Repubblica dell’11 giugno 2020, dettata con grande nettezza e precisione. È stato chiarissimo. Tutto ciò che ci sarà dato attraverso le regole europee sarà controllato in modo preciso e puntuale dalla Commissione: mi pare di poter sintetizzare così il succo del suo pensiero, come sempre essenziale e concreto.
È un breve riassunto dell’ordoliberismo teorizzato negli anni Trenta negli Usa e negli anni Quaranta del Novecento in Germania. Se non si ricorre, un’altra volta, a quelle teorie e insieme alle condizioni socioeconomiche ch’esse hanno – in più di sessant’anni – di fatto determinato a creare in Europa e nel mondo, non si può comprendere cosa succederà nel dopo pandemia. Infatti, se non poniamo mente a quali erano le condizioni dell’economia e delle società mondiali prima del coronavirus, non comprendiamo nulla di ciò che ci aspetta in futuro se la “Resurrezione” non giungerà.
Le fondamenta mondiali “pre-pandemia” dei sistemi di proprietà e le radici profonde delle formazioni economico–sociali sono rimaste strutturalmente le stesse sino a oggi. Le trasformazioni politiche sono state, invece, profonde e sono di fatto culminate in tutto il mondo nell’indebolimento delle strutture statali weberiane, sostituite via via da forme estese di patrimonialismo che va dagli Stati africani, dove esso ha radici post–coloniali e territoriali e clanistiche, al modello sudamericano che ha esacerbato il neo–caciquismo descritto da Antonio Costa nel suo capolavoro sulla vita politica locale spagnola, scritto nel 1902 ma sempre più attuale. Si va dallo spappolamento dei partiti politici in clan dominati da imprenditori politici ed economici a piccoli gruppi, al modello degli Stati a common law dove i caucus plutocratici degli affari si sono mescolati ai gruppi locali di interesse multi–etnici afroamericani, wasp, neri e latini in un mosaico formidabile per varietà e libertà di espressione, sino alla poliarchia europea dominata dagli Stati indeboliti dalla sottrazione di sovranità dall’alto per le tecnostrutture ordoliberiste dei Trattati che si sono susseguiti sino a Maastricht e oltre.
Con tutti i regolamenti che ci attanagliano ben si comprende come i partiti si siano sgretolati in Europa con la sola eccezione della Germania, che, non a caso, conserva forti partiti rank and file unitamente a un pugno di Stati scandinavi anch’essi con partiti dentro e “attorno” a forti Stati weberiani ordoliberisti da manuale.
In fondo la grande trasformazione che è avvenuta nel mondo a partire da Bretton Woods pareva simile, ma nella sostanza era esattamente opposta, a quella che avvenne tra il Congresso di Vienna e la Prima guerra mondiale. Allora si fondò il mondo moderno e si generò il mercato regolato non dallo Stato, ma dalla haute finance e dalle big corporations, con i correttivi allo stesso mercato costituiti dai partiti politici: essi, nel mentre organizzavano la democrazia – come per primo capì Ostrogorski (La démocratie et les partis politiques) e che Gaetano Quagliariello ha fatto conoscere in Italia tanti anni or sono –, costruivano un apporto tra Stato e cittadini fondato su sistemi di welfare. Lo fecero, quel miracolo, i partiti, dando vita alle basi della “società del welfare”, tra le due guerre e nel corso della guerra civile europea contro l’Urss, fase della storia mondiale ben descritta da Karl Polanyi in quel suo immenso libro che è La grande trasformazione.
Quello che accadde dopo la Seconda guerra mondiale fu complesso e per molti versi imprevedibile: per un breve arco di anni parve continuare il mondo che ho evocato, mentre si ponevano, invece, le basi della sua profonda trasformazione. Da Bretton Woods a oggi quello che è avvenuto, come ho cercato di descrivere in alcuni dei miei lavori e che due studiosi francesi (Pierre Dardot, Christian Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale) hanno minuziosamente ricostruito con gli strumenti della storiografia intellettuale, è una trasformazione ancora più profonda forse di quella descritta da Polanyi. Sfortunatamente per l’umanità, tale trasformazione ancora si tiene in vita.
Mi riferisco all’avvento di quel nuovo liberismo economico che non si fonda più sul rifiuto dell’azione dello Stato, per lasciar mano libera a un mercato immaginario che dovrebbe esistere in natura. Dopo la Seconda guerra mondiale, invece, grazie al lavoro intellettuale tanto negli Usa quanto e soprattutto in Germania, si posero le basi del mondo di oggi che drammaticamente rallenta e rallenterà la nostra fuoriuscita dalla pandemia sul piano economico, sociale e culturale, il più importante di tutti gli altri. Quel mondo neoliberista impedisce la “Resurrezione” dopo la tragedia pandemica, come ci esorta invece a fare escatologicamente la Lettera di San Paolo ai Romani.
Ciò di cui oggi siamo prigionieri sta scritto nelle opere – e qui si comprende la tragedia in cui siamo incorsi, tra Hollywood e la torsione illiberale della democrazia – non di grandi pensatori, di immensi intellettuali, ma di severi accademici di grande onestà e di sobrio stile di vita, che però non raggiungono affatto le vette né della scienza, né della gloria filosofale.
Mi riferisco ai pensatori che fondano il mondo che ha preparato le società allo sgretolamento sotto i colpi della pandemia: Walter Lippmann (fondamentale il Suo The New Imperatif), Walter Eucken e J.C.B. Mohr (altrettanto fondamentale Das Ordnung Politische Problem, nel volume I degli Ordo: Jahrbuch für die Ordnung der Wirtschaft und Gesellschaft). Per intenderci non sarebbero mai stati ritratti in una “Scuola di Atene” del divino Raffaello. Ma le loro idee unite e fatte proprie dai poteri situazionali di fatto della finanza e prima ancora delle grandi corporations hanno dominato e dominano il mondo tra Hollywood e i regimi illiberali che stiamo da molti anni costruendo come umanità dotata di mondi vitali.
A opporsi a questa trasformazione, nel mondo borghese e non in quello marxista e sovietico, fu sino agli anni Sessanta del Novecento il pensiero critico francese che ebbe in De Gaulle e in Rueff i suoi illustri campioni, ma che fu sconfitto allorché si trattò di ricostruire l’economia mondiale iniziando da un’Europa in pericolo per la pressione sovietica. Allora si decise, dopo il 1957, di dare un nuovo volto all’Europa, un volto ordoliberista. Vinsero coloro che propugnavano e propugnano, ieri come oggi, il ruolo dello Stato non solo per imporre l’economia di mercato, ma per imporne una minuta regolamentazione attraverso la creazione di istituzioni internazionali che tutte si ispirano anche nel loro vestir tecnocratico all’utopia della pace universale propria dell’Onu. Solo che Fmi, Ocse, Banca mondiale, Organizzazione mondiale della sanità e infine i Trattati europei via via succedutisi non sono i fautori della pace universale. Essi sono invece i propugnatori perennemente attivi del governo tecnocratico non eletto ma delegato. l’Europa sottoposta al controllo dei Trattati non ha una Costituzione, ma solo dei rapporti di potenza nazionali schermati dai regolamenti, ignoti ai più e in primo luogo a coloro che dovrebbero farli agire attraverso le democrazie nazionali che ancora rimangono in vita, ma senza più forza vitale.
Il conflitto di potenza è, infatti, alla base di un insieme di Stati non uniti né da un disegno costituzionale federale, né confederale, con un profilo giurisprudenziale dell’ordine ricercato con il dominio del paradigma di mercato. Paradigma continuamente imposto da una schiera di non eletti nelle vesti della tecnocrazia schermata ideologicamente, creando un velo che oscura la verità e che alimenta scenograficamente un palcoscenico illusorio (ecco gli “Stati generali” e i “Piano Colao”, che ascenderanno a modello universale di espropriazione dei parlamenti). Sul palcoscenico recitano un manipolo di compagnie di ventura italiche ed extra-italiche.
La questione si è aggravata quando è apparsa sulla scena l’altra grande trasformazione: la trasformazione del capitalismo neoliberista in capitalismo a finanza dispiegata. La crisi esogena di blocco simultaneo della domanda e dell’offerta non ha bloccato la finanza e la sua tecnologica virulenza. Anzi, grazie alla stessa innovazione che ha consentito di ricostruire le relazioni tra i viventi in condizioni relazionali tramite le onde magnetiche (è sempre Marconi che ci ha donato tutto ciò che riguarda il dominio tecnoumano dell’etere), il mondo è andato avanti tra webinar e diavolerie del genere.
L’economia mondiale è arrivata all’appuntamento con il Covid-19, però, nella peggiore delle situazioni possibili, con alta vulnerabilità al debito e alla leva finanziaria speculativa, e la pandemia ha avuto un effetto catalizzatore su tutta una serie di problemi che ormai erano evidenti da tempo. Le bolle speculative su credito ed equity che circolavano prima del coronavirus attendevano la miccia della crisi esogena per esplodere: la crisi finanziaria, del resto, sarebbe arrivata comunque, anche solo per una semplice recessione. Questo perché il modello mondiale del capitalismo a finanza dispiegata si fonda sull’eccesso di leva, sull’abbassamento dei redditi, su un enorme debito speculativo e deboli investimenti nell’economia reale per la deflazione secolare in cui siamo immersi, Banche centrali e non Banche centrali.
Ecco un sistema socioeconomico, non solo europeo, che dipende da quanto debito si è in grado di fare, senza tenere conto della qualità del debito e della sua utilizzazione. Il tutto in un costante deperimento dei redditi reali del 99% dei viventi umani. Il debito pubblico e privato cresce da trent’anni più del reddito e si dovrebbe sostenerlo con crisi sistemiche continue che sono iniziate con quelle asiatiche di fine del secondo millennio (Thailandia) e che continuano ciclicamente sino a oggi.
Il debito diventa, insieme, da un lato un divieto europeo e dall’altro la condizione di vita dello stesso capitalismo europeo e mondiale. È in questa contraddizione che si sta dividendo l’Europa tra Stati che ripiegano lentamente verso una maggiore autoregolazione, ponendo di fatto il tema di un ritorno crescente a politiche economiche nazionali (gli Stati che con a capo la Francia rifiutano di ricorre al Mes), e Stati che sono invece decisi a fare del Mes uno strumento per muovere un più forte dominio delle leve tecnocratiche europee, così da dominare per via regolatoria la vita economica e sociale di tutti gli altri Stati.
La Germania potrebbe spaccarsi in due tra i sostenitori di un ordoliberismo assoluto come quello descritto e un’altra Germania che è trascinata dalla sua storia borbonica e bavarese, ossia dal legame storico e ideale ed economico con l’Italia, la Spagna e il Sud dell’Europa giù sino alla Turchia, che del resto è già nel cuore stesso della vita sociale tedesca con le migrazioni operaie. A meno che lo spirito dello scorpione tedesco non risorga e uccida la rana che lo trasporta a riva facendo tutti annegare. È la tentazione al suicido sempre presente nella storia tedesca.
La “vecchia talpa” scava. Ma in che direzione? L’Italia è immota e trascinata nella polvere dai soft power esterni, che non sono più solo quelli europei, ma cinesi. Ma la Cina sta crollando. Ci trascinerà con sé? Hic Rhodus, hic salta!
13.06.2020