Questione morale: irrisolta o irrisolvibile ?

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DI ROSANNA SPADINI

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Tra sfide sagaci e oscuri retroscena nelle odierne consultazioni, spunta dalla foresta istituzionale, frequentata da ircocervi populisti e partiti comatosi, uno scenario non certo gratificante, che complica ulteriormente un possibile accordo Lega M5S per la formazione del prossimo governo. Infatti con ammirevole tempistica editoriale, esce un’inchiesta giornalistica sull’Espresso di Giovanni Tizian e Stefano Vergine, che indaga i retroscena finanziari della Lega di Matteo Salvini.

Ci sarebbero milioni investiti illegalmente, e una Onlus «Più voci» per incassare i soldi dei finanziatori, ecco il segreto inconfessabile della Lega. Allora quale possibilità di un’alleanza con i cultori dell’onestà stellata, che non potrebbero certo accettare patti con chi ha frodato le leggi dello stato, facendo sparire 48 milioni di euro.  L’Espresso ha fatto partire l’inchiesta ad orologeria, mentre il partito di Salvini ha preferito non rispondere.

Intanto il tribunale di Genova vorrebbe metterli sotto sequestro quei milioni, dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato, mentre i giudici finora ne hanno trovati solo poco più di due. Eppure lo scorso gennaio Matteo Salvini, piangendo miseria, aveva detto che «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro».

Alcuni documenti bancari, tuttavia, farebbero chiarezza sulla ricchezza leghista, che come l’araba fenice, che vi siaciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Difatti sotto la gestione di Roberto Maroni prima, poi sotto quella di Salvini, sarebbero stati investiti illegalmente parecchi milioni. Una legge del 2012 vieta però ai partiti di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Invece il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» ha cercato di lucrare comprando le obbligazioni di quelle banche e multinazionali. Colossi come la General Electric, la Gas Natural, Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo, Arcelor Mittal, il gruppo siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di lasciare a casa circa 4mila lavoratori.

Ma c’è di più, perché compare dal nulla un’associazione finora sconosciuta, una Onlus di area leghista «Più voci», utilizzata dalla Lega per ricevere finanziamenti dalle aziende, denari girati però subito dopo a società controllate dal partito. L’associazione è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Salvini nell’ottobre del 2015, al tempo del processo per truffa contro Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito. Non ha un sito web, né appare attiva nel dibattito pubblico, certamente però ha fatto incetta di lauti bonifici.

I documenti ottenuti da L’Espresso permettono di bypassare i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi sei anni, quelli cioè della gestione Salvini, dopo la cacciata di Umberto Bossi. Una gestione economica opaca, che richiama la nemesi storica bossiniana, divenuta molto ingombrante in tempi di moralizzazione populista.

Alcuni documenti bancari, dice L’Espresso, aiutano però a comprendere meglio che sia sotto la reggenza di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente. Il 16 maggio del 2012, poco dopo le dimissioni da segretario federale di Bossi, la Lega apre un conto corrente presso la filiale Unicredit di Vicenza, e nel giro di sei mesi vi trasferisce buona parte della liquidità parcheggiata in altre banche: 24,4 milioni di euro in totale. Da quel momento inizia una frenetica girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel giro di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie della Lega nazionale.

Degli oltre 24 milioni arrivati in Unicredit, una decina sparisce quasi subito, tramite prelievi in contanti, pagamenti non meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti sui conti delle sezioni locali del partito, bonifici a favore di società di capitali controllate dalla stessa Lega come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale Nord. A gennaio del 2013 il partito, allora guidato da Maroni, apre un nuovo conto corrente, dove sposta una buona fetta del tesoretto custodito in Unicredit. Questa volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa di risparmio di Bolzano. (L’Espresso)

Ma guarda caso il presidente della banca altoatesina è Gerhard Brandstätter, già socio d’affari dell’avvocato della Lega di quel momento, il calabrese Domenico Aiello. Sul conto della Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari, 6 milioni di liquidità, però dopo solo sei mesi spariscono. La maggior parte del denaro viene usata per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a società di comunicazione e organizzazione eventi, tra cui spiccano i quasi 400 mila euro diretti alla sede irlandese di Google.

Anche in questo caso non mancano i trasferimenti alle sedi locali del partito, ma la parte del leone, la fanno le società di capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila. Editoriale Nord: 600 mila. Pontida Fin: 206 mila. Fin Group: 360 mila. Una volta prosciugato il conto Sparkasse, si torna a puntare tutto su Unicredit. Nel dicembre del 2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, il Carroccio ha in pancia titoli per 11,2 milioni di euro. Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani, mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche 380 mila euro investiti in un derivato, un titolo basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario della Borsa di Milano. Insomma una Lega che, a dispetto della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali.

La strategia quindi non è cambiata con Salvini. Alcuni documenti riassumono il saldo del conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio del 2014, quando Matteo è ormai da qualche mese al comando del partito. Nello specifico, ha puntato 1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural. Poi dal dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio si dimezza, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni. Non è chiaro dove siano finiti tutti quei soldi, di certo oggi i conti della Lega sono ufficialmente a secco. Tant’è che lo Stato italiano, attraverso i giudici di Genova, si è dovuto accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48 teorici.

Perché dunque la Lega ha fatto finanziamenti in spregio della legge italiana? E come mai gli  stanziamenti delle imprese sono arrivati sui conti di una sconosciuta Onlus invece che su quelli ufficiali? Dubbio, forse la Onlus è stata creata per evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati?

«Più Voci» finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, mentre il conto corrente di riferimento mostra una certa vitalità. Soldi che entrano, fanno una sosta e poi ripartono verso altri conti intestati a società di area leghista, aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di rilievo.

Nel dicembre 2015 sul conto della Onlus piovono 250 mila euro, con la causale classica usata per i contributi ai partiti «erogazione liberale», e i versamenti provengono dalla Immobiliare Pentapigna srl, di proprietà al 100% di Luca Parnasi, uno dei più noti costruttori della Capitale.

Proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma, erede di una dinastia di palazzinari, il cui padre comunista aveva gettato le basi dell’impero, oggi invece lui registra debiti milionari in mano a Unicredit. La società non ha disdegnato affari con personaggi equivoci, come quello con il capo della famigerata cricca Diego Anemone, di recente condannato in primo grado a 6 anni per associazione a delinquere.

Perché dunque Parnasi avrebbe versato almeno 250 mila euro alla Onlus leghista? Di certo il primo contributo risale al tempo delle Comunali poi vinte dai Cinque Stelle e Virginia Raggi. Insomma, il sostegno offerto dal re del mattone Parnasi potrebbe essere letto in questa ottica palazzinara,  vista la prospettiva della costruzione dello stadio.

Poi ultimamente anche il Milan avrebbe individuato nel palazzinaro romano l’uomo giusto per la realizzazione di un futuro campo di proprietà rossonera. A questo punto i contributi alla Onlus leghista acquisirebbero un significato più concreto.

Ma esistono altri finanziamenti indicativi, quali i 40 mila euro di Esselunga, la catena di ipermercati della famiglia Caprotti. Se è un investimento pubblicitario, come ha sostenuto il gruppo commerciale, perché non destinarlo direttamente al partito o a Radio Padania? È forse un modo per evitare il sequestro dei soldi? E per quale motivo scrivere nella causale «Contributo volontario» se di pubblicità si trattava?

Ora dato che l’asse Di Maio/Salvini sembra abbastanza consolidato, che fine farà la questione morale sostenuta dai 5Stelle con tanto impegno durante la traversata nella densa palude della corruzione partitica italiana? E cosa dovremmo pensare della dichiarazione di Grillo, secondo cui «Salvini sarebbe una persona seria che mantiene la parola data»?

Quanto al problema se sia più o meno lecito sostenere una campagna a favore della moralizzazione della politica, credo che vada considerato secondo un’ampia prospettiva culturale. Prendiamo come esempio il campo dell’etica medica e più in generale della bioetica, dove la discussione è animatissima da anni, ma a nessuno viene in mente di negare il problema, cioè che nell’esercizio dell’attività medica sorgano problemi etici.

Lo stesso accade nella disputa sulla moralità del mercato, di cui sappiamo bene che la mano invisibile di Adam Smith ha provocato guai devastanti, quindi la deregulation del mercato dovrebbe essere normalizzata proprio dall’etica giuridico istituzionale rappresentata dallo stato, attraverso una ridistribuzione della ricchezza.

Quando si arriva alla politica invece, emergono tutti gli stilemi postmoderni, che rielaborano la realtà secondo direttive ben precise. Diversa prospettiva sarebbe quella di Thomas Hobbes, secondo cui non esisterebbe un sistema normativo diverso o superiore a quello della politica, che sarebbe quindi l’unico proponibile. Hobbes sosteneva che ci sarebbero due condizioni nella vita dell’umanità, quella naturale e quella civile, nella prima non vi è alcuna regola morale, nella  seconda non c’è altra regola di condotta che quella imposta dal «sovrano», cioè da colui che dovrebbe stabilire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.

Machiavelli stesso, dopo aver esaltato quell’infame stragista di Cesare Borgia, inteso da lui come il perfetto «Principe», nell’ultimo capitolo con tono acceso ed ispirato esprime tutto il suo disprezzo per il barbaro dominio straniero che occupa l’Italia e invoca l’intervento dei Medici per restituire la libertà agli italiani. È una sorta di accorato appello mosso non solo da passione politica, ma anche passione etica, infatti che cos’è l’amore della patria se non una componente etica del nostro agire civile?

 

Rosanna Spadini

comedonchisciotte.org

04.04.2018

 

 

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