Vale la pena soffermarci sulla Dama con liocorno, dipinta si ipotizza tra il 1506 e il 1509 da Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520), perché non è sempre stata abbigliata nel modo in cui si vede oggi presso la Galleria Borghese: è importante sottolineare, infatti, il fatto che fino ai primi anni ’30 del Novecento la giovane si presentava coperta da una mantella che le copriva le spalle e veniva ritenuta Santa Caterina d’Alessandria, con lo strumento del martirio. Anche l’attribuzione era incerta (si ipotizzava, come autore, il Ghirlandaio).
La giovane effigiata è una fanciulla fiorentina, come si evince dal prezioso abito alla moda dei primi anni del Cinquecento – la gamurra – con le ampie maniche di velluto rosso e il corpetto di seta marezzata. Il dipinto, del quale non si hanno notizie documentarie certe, fu commissionato, con molta probabilità, come dono di nozze. Lo suggeriscono alcuni dettagli decorativi, in particolare le pietre del pendente (rubino e zaffiro), riferimenti simbolici allusivi alle virtù coniugali e al candore virginale della sposa: ne è un esempio la perla scaramazza, simbolo dell’amore spirituale e della femminilità creatrice, già dall’età antica. La stessa collana d’oro, caratterizzata dal nodo, è un chiaro riferimento al vincolo matrimoniale. Allo stesso modo è stata interpretata la presenza del piccolo unicorno che le giace sul grembo, animale fantastico tratto dalla letteratura medievale, attributo di verginità.[1]
La Fototeca del Catalogo Zeri mostra, attraverso la documentazione fotografica, i vari passaggi dello sviluppo del restauro. Prima del 1935, il dipinto mostrava una Santa Caterina d’Alessandria con spalle coperte da un mantello e con lo strumento del martirio. In alto, Anderson – Roma – S. Caterina – Ghirlandaio – Galleria Borghese – insieme, prima del restauro del 1935.
Gli studi di Roberto Longhi tra il 1927 e il 1928 arrivarono ad affermare che
il ritratto borghesiano, nel variare delle qualità, rivela due pittori diversi; il manto, le mani, la palma e la ruota del martirio e, insomma, tutti gli attributi relativi alla immaginaria santificazione della ritrattata, essendo aggiunte palesi, di qualità assai più rozza, intervenute a trasformare in una santa Caterina un puro ritratto dipinto, come appare da tutto il restante, da un pittore di ben altra levatura, «non molti anni prima».[2]
In alto, Roma, Galleria Borghese. Raffaello Sanzio, Ritratto di giovane donna con l’unicorno (radiografia durante il restauro del 1960),
Le indagini radiografiche confermarono la tesi del critico, e cioè che il dipinto era stato grossolanamente modificato, e contribuirono all’attribuzione definitiva a Raffaello:
Ille hic est Raphael»[3].
Nel 1935 iniziarono i lavori di restauro. L’obiettivo era quello di recuperare l’aspetto originario del ritratto: venne così a emergere l’ampia scollatura della gamurra che era stata coperta dal mantello, e un piccolo cane, che era stato poi coperto dal liocorno, che era stato a sua volta ricoperto dalla ruota in una fase successiva alla realizzazione dell’originale. Da collezionegalleriaborghese.it:
Le radiografie effettuate nel 1933 dal direttore della Galleria Achille Bertini Calosso rivelarono la figura sottostante e fu pertanto deciso l‘intervento di restauro, affidato ad Augusto Cecconi Principe. Il fissaggio della pellicola pittorica precedette la distruzione della tavola originale; il colore venne quindi trasportato su una tela poi applicata su un nuovo supporto ligneo e le sovrammissioni della ridipintura rimosse con un bisturi. Venne quindi alla luce il soggetto originale rivelando la presenza dell’unicorno, simbolo di castità (De Rinaldis 1636). Un’operazione invasiva, che rese necessario un successivo intervento eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro nel 1960. Le nuove radiografie effettuate in quell’occasione rivelarono al di sotto dell’unicorno la presenza di un cane, animale legato al concetto di fedeltà coniugale, mentre la leggera pulitura permise il recupero del nastro che lega la manica sinistra. Permangono tuttavia i dubbi non risolti riguardo alle circostanze, alla committenza e dunque al personaggio per cui fu eseguito il ritratto originale.
L’ipotesi di Studio per la Dama con liocorno, realizzato da Raffaello come bozzetto preparatorio per il dipinto intorno al 1505-1506, che ora si trova al Louvre mostra a sua volta una donna che indossa un diverso abbigliamento rispetto al ritratto definitivo: priva di gioielli, la protagonista indossa una gamurra molto scollata con busto aderente e ampie maniche staccabili, e sottostante una camicia a fitte pieghe con scollatura ampia ma aderente all’attaccatura del collo.
In basso, Raffaello, Studio per la dama col liocorno, Parigi, Musee du Louvre.
[1] Da collezionegalleriaborghese.it
[2] Longhi, “Il ritratto femminile n. 371”, in Precisioni nelle Gallerie Italiane, I. R. Galleria Borghese, Roma, a cura di «Pinacotheca», 1928, pp. 146-147.
[3] Ibidem, p. 159