DI UGO BARDI
Il grande “impulso” verso uno sterminio di massa che si verificò durante il XX secolo (grafico di Rummel).
In questa rassicurante analisi scritta per Insurge Intelligence, il professor Ugo Bardi cita statistiche storiche sulle guerre che diedero il via a modelli di violenza in passato e che ci possono indicare i sintomi per prevedere il nostro prossimo futuro, mettendoci in guardia sul fatto che certi dati statistici segnalano che stiamo scivolando verso un altro ciclo di grandi guerre che, potenzialmente, porteranno morti in massa, su una scala che potrebbe competere con quanto abbiamo già visto all’inizio del XX secolo.
Lontano dal voler spaventare la gente, la considerazione di Bardi è una accurata valutazione dei modelli statistici basata su dati e, considerando che è la prima volta che siamo in grado di usare il passato per discernere il futuro – come mai abbiamo fatto prima – non dobbiamo pensare che, il futuro a cui stiamo pensando, sia qualcosa scolpito sulla pietra. Forse, allora, il percorso verso la libertà che desumiamo dai modelli del passato resterà piuttosto vago e la vera domanda è: cosa faremo con queste informazioni?
Gli esseri umani sono creature pericolose e questo è evidente. Nel XX secolo, sono stati uccisi, direttamente o indirettamente circa un miliardo di esseri umani da altri esseri umani.
Non tutti questi omicidi sono stati intenzionali, ma una buona parte lo è stata, come i 262 milioni di persone uccise in ciò che Rummel chiama “democidi”, lo sterminio organizzato dai governi di un gran numero di persone per motivi politici, razziali o in generale per ragioni settarie.
Se aggiungiamo il numero di persone assassinate qua e là (forse 177 milioni durante il XX secolo), si arriva a quasi mezzo miliardo di persone uccise dalla rabbia di altre persone.
Considerando che nel corso del XX secolo sono morti circa 5 miliardi di persone, possiamo dire che in quel secolo la probabilità di essere ammazzati da un’altra persona è stata di circa il 10%. Non male per delle creature che dicono di essere state create ad immagine di un Dio benevolo.
Nessun altro vertebrato sulla Terra riesce a fare qualcosa nemmeno paragonabile alla lontana, anche se scimpanze e altre scimmie sanno essere crudeli con i loro familiari e qualche volta si cimentano in schermaglie che potremmo definire delle piccole guerre.
Oggi, rispetto alla turbolenta metà del XX secolo, ci sembra di vivere in un periodo relativamente tranquillo e, come dice Steven Pinker , i nostri tempi sono particolarmente tranquilli rispetto al passato (anche se di quanto siano veramente tranquilli potremmo parlarne). Ma c’è una grande domanda: per quanto tempo durerà ancora questa bonaccia?
Naturalmente, è una domanda, a dir poco, molto difficile, ma un buon modo per essere pronti per il futuro è guardare il trend del passato. Nel caso degli stermini di massa, i dati storici sono scarsi e poco affidabili, ma qualcosa c’è. Il Conflict Catalog (QUI) di Peter Brecke contiene informazioni su 3.708 conflitti ed arriva fino a quelli del XV secolo. È un buon punto di partenza.
I dati sui “Morti nelle Guerre” del Conflict Catalog includono sia le vittime civili che quelle militari, anche se non sembrano includere gli stermini di massa avvenuti al di fuori di operazioni militari – ad esempio lo sterminio degli indigeni nativi in Nord America. Ma è coinvolgente leggere questi dati.
Vediamo che il grafico è dominato dalle guerre del XX secolo, con la seconda guerra mondiale che segnala il massimo storico, ma questo non significa che i tempi precedenti siano stati tempi sereni: proviamo ad ingrandire i dati su una scala 1 : 10.
Ora, si sentono meglio gli scoppi delle guerre del passato, come la guerra dei Trentanni nella prima metà del 1600, e come la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche alla fine del 1700 e all’inizio del 1800.
Ora, ingrandiamo ancora di dieci volte e guardiamo il risultato:
Ora, quei periodi che sembravano tranquilli non sembrano essere più tanto tranquilli. Nella storia umana, la guerra sembra essere endemica (e qualche volta epidemica) almeno negli ultimi sei secoli.
E allora che cosa possiamo dire su questi dati?
Un primo punto è l’aumento apparente dell’intensità nel tempo. Ma i dati non sono corretti, perché non tengono conto della crescita della popolazione, che sembra essere un fattore chiave per spiegare la tendenza verso l’alto.
Per esempio, l’impulso al democidio mondiale del XX secolo ha generato 260 milioni di vittime su una popolazione di circa 2,5 miliardi di persone. La guerra dei Trentanni, durante il XVII secolo, causò circa 8 milioni di vittime su una popolazione europea, che era, all’epoca, di 80 milioni di persone. Il rapporto è quasi uguale in entrambi i casi: una persona su 10 è stata ammazzata. Sembra che l’intensità e il tasso di spinta verso i grandi conflitti siano delle costanti in proporzione alla popolazione.
Troviamo qualche segno di periodicità in questi dati? Apparentemente non nei diagrammi che abbiamo visto. Ma potremmo cercare di trovare una curva più lineare che riporti le medie ed ecco i risultati in un grafico di “OurWorldInData.” Si tratta degli stessi dati dei grafici precedenti, ma riportati su una scala logaritmica. I dati sono stati messi in fila ed il risultato è la linea rossa.
A prima vista, questo grafico sembra indicare una periodicità di circa 50 anni, ma questo può non essere vero, perché guardando attentamente i cicli non sono tutti della stessa durata, infatti le oscillazioni sono probabilmente dovute all’effetto visivo dell’ammorbidimento delle curve scaturito dalla media dei dati.
In realtà gli stermini di massa non sembrano essere ciclici. Piuttosto, sembrano seguire le “leggi di potere” – cioè la probabilità che gli stermini accadano è inversamente proporzionale alla loro dimensione (Roberts and Turcotte (1998) e Gonzalez-Val Rafael (2014).
È un risultato che dobbiamo prendere con cautela perché i dati sono incerti e poco affidabili, specialmente per tempi molto lunghi. Ma sembra un risultato plausibile: mette le guerre nella stessa categoria degli incendi nei boschi, delle valanghe, delle frane, dei terremoti ecc. Tutti eventi che hanno una caratteristica in comune: grandi eventi vengono innescati da piccoli eventi. Un sasso che rotola può generare una frana, basta buttare una sigaretta accesa per generare un incendio ed è lo stesso per le guerre, dove la tendenza a fare delle piccole guerre porta a dichiarare grandi guerre: si chiama “escalation”.
Tutti questi eventi tendono a seguire la “legge di potere”. Significa che le grandi guerre sono meno probabili di quelle minori. Ma non possiamo dire quando comincerà una nuova guerra, né quanto sarà grande. È lo stesso per i terremoti. È questa incertezza che rende i terremoti (e le guerre) così distruttivi e così difficili da gestire.
Questo è, a dir poco, preoccupante. Significa che, statisticamente, un nuovo impulso allo sterminio potrebbe partire in qualsiasi momento e, più tempo passa, più è probabile che cominci a produrre effetti. Infatti, se studiamo solo un pochino gli eventi che hanno portato al democidio del XX secolo che noi chiamiamo Seconda Guerra Mondiale, possiamo vedere che ci stiamo muovendo esattamente lungo le stesse linee.
Stiamo vedendo un aumento dell’odio, della violenza, del razzismo, del fascismo, delle dittature, di una crescente disuguaglianza, di ideologie settarie, di pulizia etnica, di oppressione e demonizzazione di vari moderni “sub-umani”. Tutto ciò può essere visto apripista verso un nuovo e grande impegno della guerra che verrà.
Stiamo già assistendo ad un arco di democidi che inizia in Nord Africa e continua lungo il Medio Oriente, fino all’Afghanistan e che presto potrà estendersi in Corea. Non possiamo dire se questi democidi relativamente limitati si uniranno e formeranno uno democidio maggiore, ma sicuramente possono agire come un grilletto che tira il colpo per generare un nuovo gigantesco impulso allo sterminio di massa.
Se si tiene conto che oggi la popolazione mondiale è tre volte quella che c’era al momento della seconda guerra mondiale, la proporzionalità della dimensione di un democidio per la dimensione della popolazione, nel XXI secolo, potrebbe provocare tra mezzo miliardo e un miliardo di vittime, se non di più se si considera che questa volta potrebbero essere utilizzate armi nucleari su larga scala.
Possiamo fare qualcosa per evitare questo risultato? Secondo Rudolph Rummel (1932-2014), che ha studiato guerre tutta la sua vita, le democrazie sono meno propense delle dittature ad intraprendere guerre. Con questa interpretazione, promuovere la democrazia potrebbe essere un buon modo per evitare le guerre.
È discutibile però, dato che possiamo mettere in discussione la misura in cui le democrazie occidentali si sono veramente tenute lontane dalle guerre, oppure si potrebbe dire che una sana democrazia è un patrimonio emergente di una società sana, proprio come la guerra è un patrimonio emergente di una società malata.
Così, quando una società si ammala, diventa più povera, si divide e diventa violenta, si libera della democrazia e si butta nella guerra. Sembra proprio quello che sta accadendo a noi oggi: stiamo indebolendo e buttando a mare la democrazia e ci stiamo preparando ad un nuovo, grande impulso di sterminio di massa.
Gli ultimi cinquant’anni di relativa calma, almeno tra gli Stati occidentali, possono averci fatto illudere che fossimo entrati in una nuova era di “lunga pace”. Ma questa potrebbe essere stata solo un’illusione a guardare ai continui scoppi di guerre durante l’ultimo mezzo millennio. Le guerre sembrano essere troppo inscindibilmente legate alla natura umana per essere fermate da semplici slogan o da dichiarazioni di buona volontà. In teoria tutti sono contro la guerra, ma quando cominciano a sventolare le bandiere, la ragione sembra volare via col vento.
Eppure, c’è tanto da dire su queste tendenze. Si dice spesso che tutte le guerre sono fatte per procurarsi più risorse, ma questo potrebbe non essere vero. Le guerre hanno bisogno di tante risorse. Potremmo dire che sono le risorse che generano le guerre, anziché dire il contrario. Anche perché il grande ciclo di democidi in continuo aumento da mezzo millennio è avvenuto in un contesto di popolazione che aumentava e di ricchezza che si accumulava. E’ questo che ha permesso di costruire e di mantenere l’apparato sociale e militare necessario che serve per fare le guerre.
Ma adesso? E’ chiaro che vediamo l’inizio di una fase di scarsità della disponibilità di risorse. Le risorse minerarie stanno diventando più care, le terre coltivabili stanno rapidamente perdendo le loro sostanze nutritive, l’atmosfera si sta avvelenando e il clima sta cambiando tanto rapidamente che non riusciamo nemmeno ad immaginare i danni che dovrà patire il genere umano. C’è n’è abbastanza per cominciare a investire nelle guerre.
Naturalmente, ci sono ancora molti altri motivi per andare in guerra l’uno contro l’altro; in particolare per il controllo delle ultime risorse disponibili. Ed è anche vero che per commettere dei democidi non si deve nemmeno spendere molto; per fare alcuni recenti democidi come quello del Ruanda nel 1994 non sono servite armi più sofisticate dei machete. Poi, può essere ancora più facile architettare un democidio, magari solamente negando l’assistenza medica ai poveri. E non serve dire in quale paese- al giorno d’oggi – si sta applicando questa strategia .
Ma ci rimangono grandi incertezze, dato che ormai siamo sull’altro lato del grande ciclo di quello che – la “civiltà industriale” – stiamo vivendo da molti secoli.
Mentre sappiamo che le guerre e gli stermini sono stati una caratteristica comune della fase crescente di questo ciclo, chissà se lo saranno anche nella fase del suo declino? Non possiamo saperlo. Quello che ci porterà il futuro, potrà dircelo solo il futuro.
Ma per la prima volta nella storia umana siamo in grado di guardarci indietro e rivedere il passato, come se lo sorvolassimo dall’alto e possiamo vedere i modelli di comportamento che ci porteranno verso il nostro futuro – perciò per la prima volta, forse, potremmo imparare tutti insieme una lezione dalla storia e creare per noi un futuro con dei patterns – dei modelli – finalmente un po’ diversi.
Ugo Bardi
Professore di Chimica Fisica presso l’Università di Firenze, i suoi interessi nella ricerca si rivolgono all’esaurimento delle risorse, alla dinamica dei modelli del sistema, alla scienza del clima e all’energia rinnovabile. È membro del comitato scientifico della ASPO (Association for the Study of Peak Oil) e scrive su blog in inglese su questi argomenti in “Cassandra’s Legacy”. È autore del rapporto del Club di Roma, Extracted: How the Quest for Global Mining Wealth is Plundering the Planet (Chelsea Green, 2014) e The Limits to Growth Revisited (Springer, 2011) , oltre a molte altre pubblicazioni scientifiche.
Fonte: https://medium.com