Tonguessy
L’affermazione di Imre Lakatos secondo cui “gli scienziati hanno la testa dura e non abbandonano una teoria solo perché dei fatti la contraddicono” ha una profondità che forse solo in questi tempi possiamo valutare appieno. Quando dei fatti contrastano le tesi che stanno sostenendo, ricorrono ad anomalie ovvero la classica eccezione che conferma la regola.[1] Il tutto con buona pace del falsificazionismo di Popper, mondo vellutato e fatato dove ogni scienziato appena incontra un problema corregge subito il tiro dimostrando così di fare vera scienza. Secondo Popper solo le interpretazioni dogmatiche impediscono di prendere atto della realtà dei fatti. Peccato che, secondo Thomas Kuhn, in ambito scientifico avvenga esattamente questo: la scienza si muove per paradigmi. Esiste cioè un corpo di assunti che fanno da contorno ad una scoperta scientifica e che regola la vita stessa degli scienziati e quindi della scienza stessa. Popper accusò Lakatos di avergli rovinato la sua meravigliosa creatura epistemologica, dimostrando così che se gli scienziati hanno la testa dura, i filosofi della scienza non sono da meno. Kuhn invece dovette in qualche modo tentare di fare retromarcia ma ormai il danno era fatto: la scienza paradigmatica era stata descritta ed era una osservazione difficile da smentire.
Torniamo ai tempi nostri. L’acceso dibattito Burioni-Tarro dovrebbe averci insegnato qualcosa: “Gli scienziati hanno la testa dura e non abbandonano una teoria solo perché i fatti la contraddicono.”
Burioni ha accumulato una serie di svarioni che prendono spunto dal suo paradigma personale (“La scienza non è democratica”) che diversi articoli hanno messo in luce. [2]
E che dire di come venne liquidato il Nobel Luc Montagner quando disse che anche secondo lui il virus non era poi così terribile? Il paradigma della pandemia prese il sopravvento e troncò la discussione in modo brusco. Quello che ho sentito e letto da più parti è che se uno scienziato ha ricevuto il Nobel non significa che abbia sempre ragione. Tesi indeterministica per eccellenza che smonta definitivamente il ruolo degli specialisti quando questi non agiscono e pensano in accordo con il paradigma imperante. Forse sarebbe più corretto a questo punto usare un neologismo: paradogma.
Parlando di scienza medica, un esempio tra tutti serve a dimostrare come si muovono gli specialisti quando seguono le indicazioni del paradogma del momento: la morte del Cardinale Richelieu, l’uomo più potente del ‘600, colui che disse: “Datemi 10 righe scritte dall’uomo più probo che conoscete e vi troverò dei validi motivi per impiccarlo” a testimoniare il proprio potere su chiunque. Ebbene il Cardinale non aveva, molto evidentemente, abbastanza agganci in alto loco dato che soffriva spesso di astenia. I medici di allora, applicando pedissequamente il paradogma dell’epoca, si diedero da fare con i salassi per guarirlo. Peccato che invece gli furono fatali. Se un probo veniva impiccato per motivi immaginari, cosa sarà mai successo per quegli spietati assassini che lo dissanguarono a morte? Beh, nulla. Basta aderire con scrupolo al paradogma e tutto si risolve da sé, il mondo scientifico e politico sarà sempre dalla tua parte. La stessa brutta morte venne organizzata per George Washington, a dimostrazione che i paradogmi non conoscono limiti geografici.
Facciamo un salto di qualche secolo, e trasferiamoci ai tempi attuali. Ci sono due questioni rilevanti che balzano agli occhi: la prima è il paradogma in vigore e la seconda è quale sia il metodo scientifico relativo. Al Bar Sport sotto casa si discute animatamente su “trial and error” (provare finché non si raggiunge il risultato voluto) quale metodo scientifico universalmente riconosciuto, dimenticandosi di Lakatos, Kuhn e delle castronerie infinite che i vari Burioni portano a sostegno delle proprie tesi. Insomma parecchi errors, pochi trials, molta fiducia nel paradogma vaccinalpandemico.
Ma c’è un terzo aspetto molto più preoccupante dei precedenti che ci riguarda da vicino: mentre nel passato gli scontri scientifici avvenivano all’interno di arene frequentate dai pesi massimi del settore, oggi chi si deve allineare siamo noi. Siamo chiamati a rendere omaggio fattivamente al paradogma “la scienza non è democratica” e, quando questa decide qualcosa, noi siamo le cavie perfette non per verificare qualcosa (dopo la morte del verificazionismo si è sviluppata una pletora di semantiche su base statistica, vedi il concetto stesso di pandemia) ma per eseguire ciò che viene imposto, con buona pace delle conquiste sociali acquisite da tempo. Il paludato mondo accademico svela la sua faccia di Giano bifronte: effetti speciali e cetrioloni al popolo. Yes, We the People siamo quelli che paghiamo per mantenere in vita, tramite lo Stato, questo spettacolo da Sodoma e Gomorra. Una società verticistica, insomma, dove la base ha completamente perso ogni voce in capitolo in ossequio ai paradogmi creati nei luoghi dove i popoli non possono entrare, ridotti come sono a mera folla numerica ammaestrata grazie alle accumulate esperienze PNL-massmediatiche. Parafrasando Protagora: “L’uomo è la misura di tutte le cose” non indica oggi l’umanità, ma un uomo preciso, colui che sa indirizzare i media per manipolare l’inconscio collettivo e piegarlo ai propri fini. La società del consenso teleguidato è la nemesi della società di massa. O più facilmente la sua definitiva realizzazione.
Per capire meglio quanto sta accadendo all’interno dei rapporti sociali così organizzati ci viene in soccorso Fusaro, che mette in luce una serie di gerarchie comunicative che svelano il rapporto tra scienza e paradogma ai fini citati di separare definitivamente la verifica dai popoli, e smascherando finalmente in cosa consista l’attuale “metodo scientifico”.[3]
In un’intervista apparsa sul Corriere della Sera il 7 ottobre, Alberto Villani del CTS dichiara: “l’obbligo di indossare la mascherina è un richiamo, non importa se scientificamente ha senso oppure no, è un segnale di attenzione per noi stessi e per la comunità”. La mascherina dunque come simbolo, segnale che siamo tutti sudditi di un nuovo potere.
Il Messaggero, 5 novembre, le parole dell’immunologa Antonella Viola: “Il coprifuoco non ha una ragione scientifica, ma serve a ricordarci che noi dobbiamo fare delle rinunce, che il superfluo va tagliato e che la nostra vita dovrà limitarsi all’essenziale”.
Il terzo esempio riguarda Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della regione Emilia Romagna, che su Bologna Today il 22 aprile ha dichiarato: “abbiamo proibito l’attività fisica non perché sia la situazione più a rischio ma perché volevamo dare il senso di un regime molto stringente”.
Se pensavate che tutto questo sia solo il frutto della italica cialtroneria, ebbene vi sbagliate. La più autorevole rivista medica, The Lancet, è recentemente incappata in uno scandalo paragonabile a quello dell’IPCC di qualche tempo fa. Fiumi di peer-review e squadre di referee che controllano l’esattezza delle pubblicazioni non sono stati in grado di arginare la fake news del professor Mandeep Mehra della prestigiosa Harvard University, il quale affermava, in netto contrasto con tutta la letteratura scientifica, che l’idrossiclorochina in realtà aumentasse il rischio di morte per i pazienti Covid-19. Ci furono vigorose azioni di contrasto a questa psy-op che subirono l’attacco di troll del sistema: Squadroni della Morte e Ton Ton Macoute internettiani si sono subito mobilitati per denigrare come antiscientifiche le tesi esposte in questo come in altri video di critica al “metodo scientifico” adottato (video in inglese).[4]
Alla fine però decenni di verifiche sperimentali hanno in questo caso avuto la meglio: una lettera-denuncia firmata da oltre cento medici hanno costretto The Lancet a ritirare l’articolo. Penoso. Al punto che il responsabile editoriale del Lancet, Edward Horton, è stato costretto ad ammettere che tutta la questione è una “frode monumentale”.[5] Paradogma, appunto.
Quello che ne esce è una scienza che dopo avere combattuto la superstizione a colpi di verifiche si trova oggi a fare i conti con la propria creazione come propaggine della borghesia. La quale in epoca recente prima ha demolito il verificazionismo e messo il falsificazionismo al suo posto, e poi si è prodigata nel sostenere (via virtuale) la post-truth, la postverità che non chiede verifiche ma osservanza. Siamo quindi tornati indietro di secoli, e la scienza sta oggi riproponendo quella superstizione che si era vantata di combattere. Il motivo? Semplice, ieri serviva a combattere il feudalesimo e mettere sul carro del vincitore la borghesia, e oggi serve ad uno scopo analogo: creare i presupposti di una società di stampo neofeudale per mantenere la borghesia sul carro vincente. Ah, certo, la scienza è neutra. Come dubitarne?
Quello che sta succedendo in ambito scientifico lo abbiamo già visto in ambito politico: l’allontanamento della classe politica dalle esigenze dei popoli non può che portare a disaffezione e alla rottura definitiva dei patti sociali. Con gli scienziati sarà la stessa cosa, a meno che non ci siano interventi risolutori per ripristinare quella dignità che IPCC, Lancet, CTS e innumerevoli DPCM hanno ormai ridotto a patetiche controfigure di ciò che era ai tempi di Galileo.
“Mentre l’uomo pensa di essere determinato e motivato dalle proprie idee, egli, in realtà, è motivato da forze che agiscono alle sue spalle e delle quali non è consapevole….In una società di classe la coscienza dell’uomo è necessariamente una falsa coscienza, un’ideologia, che conferisce un’apparenza di razionalità alle sue azioni, quando, a causa delle contraddizioni di ogni società classista, le motivazioni reali non sono razionali”
E.Fromm “Il contributo di Marx alla conoscenza dell’uomo”
[2]https://www.medicinapiccoledosi.it/burioni-blastato-travagoli/
[4]https://www.bitchute.com/video/hIBuS20zptzX/
[5]https://dissidentvoice.org/2020/08/lancetgate-why-was-this-monumental-fraud-not-a-huge-scandal/