Pamir Highway: la strada sul tetto del mondo

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Pepe Escobar
asiatimes.com

Questo è probabilmente il viaggio terrestre per definizione. Lo aveva fatto Marco Polo. Lo avevano fatto tutti i leggendari esploratori della Via della Seta. Percorrere l’autostrada del Pamir da un capo all’altro, mentre si avvicina un rigido inverno (l’unico modo di apprezzarla per intero in silenzio e solitudine) offre non solo la possibilità di immergersi nelle complessità dell’antica Via della Seta, ma anche un assaggio di ciò che il futuro potrebbe portare con le strade della Nuova Via della Seta.

Questo è un viaggio intriso di magica storia antica. I Tagiki fanno risalire le loro radici alle tribù Sogdiane, Battriane e Partiche. Gli Indo-Iraniani avevano vissuto nella Battria (“la regione dalle mille città“) e nella Sogdiana dal 6-7° secolo A.C. fino all’8° secolo D.C. I Tagiki costituiscono l’80% della popolazione della repubblica, molto orgogliosi del loro retaggio culturale persiano e della loro parentela con i popoli di lingua tagika nel nord dell’Afghanistan e nella regione intorno alla contea autonoma tagika di Tashkurgan, nello Xinjiang.

I Proto-Tagiki sono sempre stati ai margini di innumerevoli imperi: da quelli Achemenide, Kusana e Sogdiano ai Greco-Battriani, all’Emirato di Bukhara e persino all’URSS. Oggi, molti Tagiki vivono nel vicino Uzbekistan, attualmente in pieno boom economico. A causa dei demenziali confini imposti da Stalin, le leggendarie Bukhara e Samarcanda, città tagike per eccellenza, sono diventate “uzbeke.”

Il territorio della Battria comprendeva quelli che oggi sono l’Afghanistan settentrionale, il Tagikistan meridionale e l’Uzbekistan meridionale. La capitale era la favolosa Balkh, così la chiamavano i Greci, che portava il titolo informale di “madre di tutte le città.”

La Sogdiana era conosciuta dai Greci e dai Romani come Transoxiana, tra i fiumi, l’Amu-Darya e il Syr-Darya. I Sogdiani praticavano lo zoroastrismo e vivevano di un’agricoltura basata sull’irrigazione artificiale.

Pamir occidentale: riammodernamento stradale da parte della Cina, fiume Pyanj, Tagikistan a sinistra, Afghanistan a destra, Hindu Kush sullo sfondo. Foto: Pepe Escobar

 

Tutti sappiamo che Alessandro Magno aveva invaso l’Asia centrale nel 329 A.C. Dopo aver conquistato Kabul, aveva marciato verso nord e aveva attraversato l’Amu-Darya. Due anni dopo aveva sconfitto i Sogdiani. Tra i prigionieri catturati c’era un nobile battriano, Oxyartes, e tutta la sua famiglia. Alessandro aveva sposato la figlia di Oxyartes, l’affascinante Rossana, la donna più bella dell’Asia centrale. Aveva poi fondato la città di Alessandria Eskhate (“la più lontana“) che è oggi Kojand, nel nord del Tagikistan. Nella Sogdiana e nella Battriana aveva edificato ben 12 Alessandrie, tra cui Alessandria Ariana (oggi Herat, in Afghanistan) e Alessandria Marghian (oggi Mary, già Merv, in Turkmenistan).

Entro la metà del 6° secolo, tutte queste terre erano state divise tra i Turchi kaghani, l’Impero Sasanide e una coalizione di re indiani. Ciò che è sempre rimasto invariato è l’importanza attribuita all’agricoltura, all’urbanistica, all’artigianato, al commercio, alla metallurgia, all’arte della ceramica, alla produzione di rame e alle miniere.

La rotta delle carovane attraverso il Pamir, da Badakshan a Tashkurgan, nella narrativa occidentale è qualcosa di leggendario. Marco Polo lo aveva descritto come “il luogo più alto del mondo.” Ed è proprio così: il Pamir era conosciuto dai persiani come Bam-i-Dunya (tradotto appropriatamente come “il tetto del mondo“).

Le vette più alte del mondo potranno anche essere in Himalaya, ma il Pamir è qualcosa di unico: il principale nodo orografico dell’Asia da cui si irradiano le catene montuose più elevate al mondo: l’Hindu Kush a nord-ovest, il Tian Shan a nord-est, il Karakorum e l’Himalaya a sud-est.

Il più importante dei crocevia imperiali

Il Pamir è il confine meridionale dell’Asia centrale e, in pratica, la regione più affascinante di tutta l’Eurasia: più selvaggia che mai, piena di cime mozzafiato, guglie innevate, fiumi impetuosi, enormi ghiacciai crepacciati. Uno spettacolo grandioso di bianco e di blu con sfumature grigio roccia.

Questo è anche il crocevia per eccellenza degli imperi, incluso il leggendario Grande Gioco Russo-Britannico del 19° secolo. Non c’è da stupirsi: immaginate un grande crocevia tra lo Xinjiang, il corridoio di Wakhan in Afghanistan e Chitral in Pakistan. Pamir potrà anche significare “alta valle ondulata,” ma le nude montagne del Pamir orientale potrebbero anche essere sulla Luna, attraversate meno dagli esseri umani che dalle pecore di Marco Polo dalle corna ricurve, dagli stambecchi e dagli yak.

Innumerevoli carovane commerciali, unità militari, missionari e pellegrini delle varie religioni hanno anche contribuito a far conoscere la Via della Seta del Pamir come la “strada delle ideologie.” Gli esploratori britannici, come Francis Younghusband e George Curzon, si erano addentrati nell’Oxus superiore e avevano mappato i passi in quota verso l’India britannica. Gli esploratori russi, come Kostenko e Fedchenko, avevano esplorato l’Alai e le alte vette del Pamir settentrionale. La prima spedizione russa era arrivata nel Pamir nel 1866, guidata da Fedchenko, che aveva scoperto e battezzato con il proprio nome un immenso ghiacciaio, uno dei più grandi del mondo. All’approssimarsi dell’inverno è impossibile arrivarci a piedi.

E poi c’erano stati i leggendari esploratori della Via della Seta Sven Hedin (nel 1894-5) e Aurel Stein (1915), che avevano studiato il suo patrimonio storico.

Autocarri portacontainer cinesi arrancano sul Pamir occidentale. Foto: Pepe Escobar

 

La versione moderna della Via della Seta, l’autostrada del Pamir, in realtà era stata costruita dall’Unione Sovietica tra il 1934 e il 1940, prevedibilmente seguendo gli antichi percorsi delle carovane. Il nome della regione rimane sovietico: Oblast Autonomo del Gorno-Badakhshan (GBAO). Per percorrere l’autostrada è necessario un permesso GBAO.

Per più di 2.000 anni, dal 500 A.C. all’inizio del 16° secolo, le carovane di cammelli avevano trasportato non solo la seta da est a ovest, ma manufatti in bronzo, porcellana, lana e cobalto, anche da ovest ad est. In Tagikistan ci sono più di quattro rami diversi della Via della Seta. Le antiche strade della seta erano l’apoteosi della connettività: idee, tecnologia, arte, religione, arricchimento culturale reciproco. I Cinesi, con un occhio attento alla storia, non per caso identificano “l’eredità comune dell’umanità” come base concettuale/filosofica per le Nuove Strade della Seta cinesi, o Belt and Road Initiative.

Villaggio afgano vicino al fiume Pyanj, sullo sfondo l’Hindu Kush. Foto: Pepe Escobar

 

Dopo il potenziamento cinese, si viaggia

Nei villaggi del Gorno-Badakhshan, adagiati lungo splendide valli fluviali, la vita è stata per secoli dedicata all’irrigazione e alla pastorizia su base stagionale. Mentre avanziamo verso lo sterile Pamir orientale, la storia si trasforma in un’epopea: come i montanari alla fine si sono adattati a vivere ad altitudini che possono arrivare a 4.500 metri.

Nel Pamir occidentale, l’attuale riammodernamento delle strade viene fatto dalla (e chi altri?) Cina. La qualità [dei lavori] è paragonabile a quella dell’autostrada settentrionale del Karakorum. Le società di costruzioni cinesi stanno lentamente avanzando verso il Pamir orientale, ma il ripristino dell’intera autostrada potrebbe richiedere anni.

I Cinesi stanno arrivando: ammodernamento stradale nel Pamir occidentale. Foto: Pepe Escobar
La fortezza di Yamchun del 3° secolo A.C., conosciuta come “Il castello degli adoratori del fuoco.” Foto: Pepe Escobar

 

Il fiume Pyanj disegna una sorta di enorme arco intorno al confine del Badakhshan, in Afghanistan. Vediamo villaggi assolutamente meravigliosi arroccati sulle colline oltre il fiume, tra cui alcune belle case e gente con il SUV anziché con l’asino o la bicicletta. Ora ci sono numerosi ponti sul Pyanj, finanziati dalla fondazione Aga Khan, invece delle vecchie passerelle di assi e pietre sospese sopra vertiginosi precipizi.

Da Qalaykhumb a Khorog e poi fino a Ishkoshim il fiume Pyanj costituisce per centinaia di chilometri il confine con l’Afghanistan, attraversando pioppeti e campi curati in modo impeccabile. Poi si entra nella leggendaria valle del Wakhan: un importante (e selvaggio) ramo dell’antica Via della Seta, con sullo sfondo le spettacolari cime innevate dell’Hindu Kush. Più a sud, poche decine di chilometri di viaggio e siamo a Chitral e a Gilgit-Baltistan, in Pakistan.

Il Wakhan non potrebbe essere più strategico, conteso nel tempo da Pamiri, Afgani, Kirghisi e Cinesi, costellato di qala (fortezze) che proteggevano e imponevano dazi sulle carovane commerciali della Via della Seta.

La star dei qala è la Fortezza di Yamchun del 3° secolo A.C., un vero e proprio castello medievale, in origine lungo 900 metri e largo 400, incastonato in un pendio roccioso praticamente inaccessibile, protetto da due canyon fluviali, con 40 torri e una cittadella. Il leggendario esploratore della Via della Seta Aurel Stein, che era passato qui nel 1906 durante il suo viaggio in Cina, ne era rimasto sbalordito. La fortezza è conosciuta localmente come il “Castello degli Adoratori del Fuoco.”

Il Badakhshan pre-islamico era zoroastriano, adorava il fuoco, il sole e gli spiriti degli antenati e, allo stesso tempo, praticava il Badakhshani, una versione distinta del buddismo. Infatti, a Vrang troviamo i resti di grotte artificiali buddiste del 7°-8° secolo che in passato avrebbero potuto anche essere state un sito zoroastriano. Il monaco errante Xuanzang, della prima dinastia Tang, vi aveva soggiornato nel 7° secolo. Aveva descritto i monasteri e, a quanto pare, aveva notato un’iscrizione buddista: “Narayana, vinci.”

Ishkoshim, che Marco Polo aveva attraversato nel 1271 mentre si recava nel Wakhan superiore, è l’unico valico di frontiera fra Pamir e Afghanistan aperto agli stranieri. Definire “strade” quelle sul versante afgano è una parola grossa. Ma restano le vecchie piste della Via della Seta, percorribili solo con una robusta jeep russa, che portano Faizabad e, più lontano, a Mazar-i-Sharif.

Qui ci sono le zone che la guerra dell’America contro l’Afghanistan, che dura ormai 18 anni, costruita su una montagna di bugie e costata trilioni di dollari, non ha mai raggiunto. L’unica “America” disponibile sono i film di Hollywood su DVD a 30 centesimi l’uno.

Direttamente dall’antica Via della Seta: una carovana di cammelli nel corridoio afghano del Wakhan. Foto: Pepe Escobar

 

Sono stato molto fortunato e, per un attimo, ho visto come doveva essere un tempo: una carovana di cammelli, direttamente dall’antica Via della Seta, che seguiva una pista sul lato afgano del Wakhan. Erano nomadi del Kirghizistan.Ci sono circa 3.000 nomadi kirghisi nel Wakhan che vorrebbero rientrare in patria. Ma sono persi in un labirinto burocratico, anche nell’eventualità che siano in possesso di passaporto afgano.

Queste sono le antiche strade della seta che i Talebani non saranno mai in grado di raggiungere.

Percorrendo l’autostrada del Pamir, non siamo solo di fronte ad una meraviglia geologica e ad un viaggio magico nella storia e nei costumi del passato. È anche una finestra privilegiata su un rilancio commerciale che sarà al centro dell’espansione delle nuove strade della seta.

Khorog è l’unica città del Pamir, il suo centro culturale, economico ed educativo, il sito dell’Università dell’Asia Centrale, il multi-campus finanziato dalla fondazione Agha Khan. Gli Ismaili danno un’enorme importanza all’istruzione.

Il Badakhshan è sempre stato famoso nel mondo per i lapislazzuli e i rubini. La miniera di rubini di Kuh-i-Lal, a sud di Khorog, era leggendaria. Marco Polo aveva scritto che nello “Syghinan” (si riferiva al distretto storico di Shighnan) “le pietre vengono scavate per conto del re, e nessun altro osa scavare in quella montagna, sotto pena della perdita della vita.”

Nello Shighnan si adorava il sole e si costruivano strutture circolari simboleggianti l’astro. Questo è ciò che vediamo nelle tombe di Saka, nel Pamir orientale. Mentre continuiamo a spostarci verso est, la civiltà stanziale dei Pamiri, con la sua profusione di frutteti di albicocche, mele e gelsi, lascia il posto alla vita semi nomade del Kirghizistan e, invece dei villaggi e dei sistemi di irrigazione, troviamo le piantagioni stagionali di yurta (non però in questo periodo dell’anno, a causa del freddo pungente).

A Langar, l’ultimo villaggio del Wakhan, dipinti rupestri raffigurano capre di montagna, carovane, cavalieri con stendardi e il simbolo Ismaili della palma con cinque dita. L’archeologo A. Zelenski, affascinato, aveva definito i monumenti storici del Wakhan “la Grande Via del Pamir.” Aurel Stein aveva puntualizzato che questo era il collegamento principale tra l’Europa e l’Asia, e quindi tra l’intero mondo classico e l’Asia orientale, con l’Asia centrale nel mezzo. Siamo nel cuore dell’Eurasia.

L’ultima sosta prima dello Xinjiang

Seguire il Wakhan fino in fondo ci avrebbe portato a Tashkurgan, nello Xinjiang. La distanza dal confine pakistano vicino all’autostrada del Karakorum varia da 15 km a 65 km di distanza, attraverso un proibitivo territorio afgano.

È il passo di Koyzetek (4.271 metri) che porta infine sull’altopiano orientale del Pamir, che i Cinesi chiamavano Tsunlin e Tolomeo Iamus, a forma di piatto gigante poco profondo con catene montuose ai bordi e laghi ad altitudini record. Marco Polo aveva scritto: “La terra si chiama Pamier e ci si può cavalcare per dodici giorni di fila, trovando solo un deserto senza abitazioni e niente che sia verde, così che i viaggiatori sono obbligati a portare con sé tutto ciò di cui hanno bisogno. La regione è così elevata e fredda che non vedi nemmeno volare gli uccelli. E devo anche notare che, a causa di questo grande freddo, il fuoco non brucia così intensamente e non dà tanto calore come al solito, e neppure cuoce in modo efficace.”

Murghab, abitata da Kirghisi che passano l’estate in pascoli remoti, ruota attorno ad un mini-bazar nei container. Se seguiamo il fiume Aksu, un tempo ritenuto fonte sia d’acqua che del nome [greco] Oxus, raggiungiamo l’ultimo angolo remoto dell’Asia centrale: Shaymak, a soli 80 km dal confine tra Afghanistan, Pakistan e Cina.

Il Piccolo Pamir è a sud. Come avevo scritto per Asia Times nel lontano 2001, era in questa zona, dove si trovano i più importanti passi della Via della Seta con Cina e Pakistan, che Osama bin Laden avrebbe potuto nascondersi, prima di spostarsi a Tora Bora.

Da Murghab, ho voluto ispezionare il passo Kulma (4.362 metri di altezza), un confine della Nuova Via della Seta. La strada, costruita dalla Cina, è impeccabile. Ho trovato camionisti e commercianti di Kashgar che valicavano il Pamir in minivan ‘made in China’ destinati ad essere venduti a Dushanbe.

Le profonde acque blu del lago Karakul, non lontano dallo Xinjiang. Foto: Pepe Escobar

 

Sul Pamir Superiore esistono circa 800 laghi antichi creati dai terremoti, dall’attività tettonica e dai ghiacciai. Il lago Yashilkul (“acqua blu“), a 3.734 metri, ghiacciato in questo periodo dell’anno, si trova in un altopiano esplorato dai cacciatori dell’età della pietra. L’archeologo tagiko V. Ranov aveva scoperto dipinti rupestri di cavalli, carri e raffigurazioni di Mitra, il dio persiano del sole. Tra il 10° e il 3° secolo A.C., l’altopiano era stato abitato dalle tribù nomadi dei Saci, di lingua persiana.

Da Shughnan a Ishkoshim, eccoci in quello che gli antichi chiamavano “Il paese dei Saci.”

Dagli Sciti ai container

Le vaste steppe scite che vanno dal Danubio fino alla Cina erano popolate da una vasta confederazione di tribù. Poi, tra il 2° e il 1° secolo A.C., queste tribù avevano iniziato a spostarsi ad est dello stato greco-battriano. Alcune si erano stabilite nel Pamir ed erano diventate la componente etno-genetica dell’etnia Pamiri. Alex, il mio autista, è un vero Pamiri di Khorog. È anche la vera star dell’autostrada del Pamir, con il suo indistruttibile Land Cruiser nero. (“È una macchina per uccidere/ha tutto,” come cantavano i Deep Purple).

Alex, un vero Pamiri Khorog, la vera star. Foto: Pepe Escobar

 

Il clou del Pamir orientale è lo spettacolare lago salato blu di Karakul, originatosi 10 milioni di anni fa dall’impatto di una meteorite. Sotto il sole, è di un turchese radioso; in questo periodo dell’anno, l’ho visto blu profondo, non proprio un “lago nero,” come vorrebbe il nome. Il Karakul, a causa della sua leggera salinità, non era ghiacciato. Questo è il Chong (grande) Karakul, il fratello maggiore del Kichi (piccolo) Karakul al di là del confine, nello Xinjiang, che avevo avuto il piacere di visitare nei miei viaggi sull’autostrada del Karakorum.

Il Pamir superiore è proprio dietro il Karakul, che nasconde il ghiacciaio Fedchenko, lungo 77 km. Ad est del lago, se foste in grado di sopravvivere ad un trekking in condizioni artiche, c’è lo Xinjiang. Il monaco errante Xuanzang, della prima dinastia Tang, era arrivato qui nel 642 (pensava che nel lago vivessero i draghi). Marco Polo era c’era stato nel 1274.

La vita è dura a Bulungkul, con il clima di una stazione artica. Le temperature in inverno possono scendere fino a -63°C. Foto: Pepe Escobar

 

La nostra base per esplorare lo Yashilkul, e in seguito il Karakul, era Bulungkul, in questo periodo dell’anno una sorta di stazione artica, con solo 40 case servite da pannelli solari nel mezzo del nulla e con temperature che si aggirano intorno a -22°C. È una vita dura. Mi hanno detto che in inverno la temperatura scende a -63°C.

Più avanti lungo la strada, ho preso una deviazione verso est per andare a vedere il passo Kulma, a 4.363 metri, il confine ufficiale del Tagikistan con la Cina, raggiunto (ovviamente) da una strada costruita dalla Cina e inaugurata nel 2004 che segue l’antica Via della Seta.

Il confine tra Tagikistan e Kirghizistan al passo Kyzyl-Art sembrava una scena del fiml Stalker di Tarkovsky, completamente desolato e in stile sovietico, tranne per un taxi condiviso da alcuni Kirghisi diretti a Khorog. Da lì, è una strada spettacolare fino all’incrocio di Sary Tash e, attraverso l’aria rarefatta del passo Taldyk a 3615 metri di quota verso Osh, la porta della valle di Ferghana.

Il passo di Taldyk nel Kirghizistan meridionale, fino a Osh. Foto: Pepe Escobar 

 

In tutto questo affascinante viaggio nel cuore dell’Eurasia vediamo in dettaglio, specialmente nei bazar, questo connubio di nomadismo pastorale e cultura dell’irrigazione, arricchitisi, secolo dopo secolo, grazie agli scambi interculturali della Via della Seta che coinvolgono pastori, agricoltori, mercanti, tutti quanti parte integrante del commercio di merci e approvvigionamenti legati al transito delle carovane.

Ci immergiamo nel vortice delle ricchissime influenze sociali, religiose, scientifiche, estetiche e ideologiche, soprattutto quelle provenienti da Persia, India, Cina e Iran. Il passaggio dal commercio terrestre al commercio marittimo avvenuto nel 16° secolo, l’inizio della dominazione mondiale europea, non aveva mai cancellato le rotte tradizionali verso l’India attraverso l’Afghanistan, verso la Cina attraverso lo Xinjiang e verso l’Europa attraverso l’Iran. Il commercio è rimasto l’evento principale nella vita quotidiana dell’Asia centrale.

Oggi l’autostrada del Pamir è un microcosmo privilegiato di ciò che sta, lentamente ma inesorabilmente, diventando un’intersezione tra le Nuove Vie della Seta e la Grande Eurasia, con i suoi hub principali configurati da Russia, Cina, Iran, Pakistan e, si spera, dall’India.

L’ultimo crocevia delle civiltà, il centro dell’Eurasia, è tornato, ancora una volta, nel cuore della storia.

Pepe Escobar

Fonte: asiatimes.com
Link: https://www.asiatimes.com/2019/12/article/pamir-highway-the-road-on-the-roof-of-the-world/
12.12.2019

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