Di Accattone il Censore per ComeDonChisciotte.org
All’inizio furono i superotto svedesi dei cataloghi semiclandestini, dalle immagini ancora larvatamente pudiche, che sembravano usciti dalle stesse tipografie degli sbiaditi opuscoli agit-prop. Seguirono i tempi eroici dei cinema a “luci rosse”, con il guardingo “popolo degli impermeabili”, una fiumana silente, che, di primo pomeriggio, si intrufolava in queste nuove latebre del vizio; dopo appena un minuto di dialoghi sullo schermo sdrucito, i più impazienti protestavano: “Troppa trama…!”.
Alla metà degli anni settanta, le edicole si riempiono di “giornalini” e “giornaletti”: le modelle in copertina si spogliano, lascive ed ammiccanti sirene mute. Qualcuno la chiama “stampa”, a significare che meriti questo nome più di blasonati quotidiani; giornalai euforici scoprono vene aurifere tra quelle pubiche della clientela e vendono senza riserve anche ai bambini delle elementari, convinti, dal prezzo di copertina, delle virtù pedagogiche delle pubblicazioni.
Sono gli anni di Remo Gherardi, mitico e inafferrabile direttore di decine di riviste vietate ai minori e dei fotoromanzi in bianco e nero di Supersex: gli occhi inespressivi di Gabriel Pontello, nei panni (dismessi il più rapidamente possibile) di un alieno incarnatosi in un agente segreto, saettano l’irresistibile “fluido erotico”, scatenando, a comando, le fregole al calor bianco delle stelline di turno, infiocchettate in guêpière e reggicalze. “Ifix tcen tcen!”, il glossolalico grido orgasmico del superdotato attore francese, diviene famoso come il Gesù di Zeffirelli.
Padri di famiglia, oppressi dalle temperie occhiute delle più beghine realtà di provincia, percorrono chilometri per raggiungere, in incognito, periferici chioschi di giornali, paludati con occhiali neri, barbe posticce e sciarpe avvoltolate intorno alla testa, a mo’ di improbabili tuareg in agguato all’edicola notturna.
In budelli adibiti a spacci di videocassette, si aggirano senza tregua imberbi adolescenti, fantasmi esangui crivellati dall’acne, cui l’onanismo ha tolto le già fiacche energie da dedicare allo studio; nei casi estremi, quando la paghetta settimanale non basta più, si giunge ad impegnare orologi e soprammobili di famiglia, in un gorgo compulsivo che porta gestori di microscopiche videoteche a progettare l’arredamento della futura casa al mare.
Fotografi di serie b, ma prosseneti in pectore, investono qualche spicciolo nella produzione e divengono miliardari: si atteggiano a paladini di crociate per liberalizzare i costumi, vittime di una censura che nei fatti non esiste già più. È il caso di Riccardo Schicchi, Riccardo cuor di lenone: nella fitta schiera di aspiranti mereattrici, scova Ilona Staller, minuta ungherese dalla pelle di porcellana e bocca a due piazze- l’indimenticata Cicciolina – che, dai microfoni di Radio Luna, promette di fare l’amore con tutti i “cicciolini” all’ascolto.
Nel 1977, è il castigato Enzo Biagi ad intervistarla, con ironia indulgente, dagli schermi di una televisione di Stato ancora ufficialmente democristiana: segno che la pornografia, dietro l’ipocrisia di facciata, ha ottenuto il via libera.
La “luce rossa” dei pionieri, iconoclasta, anarchica, spruzzata di umori hippy, strabordante di peluria, di inquadrature di piedi luridi, che sembra anticipare un odorama ancora da venire, cede il posto, mercé l’ingresso dei videoregistratori nelle case, alla pornografia di massa. La casalinga si scrolla di dosso vestaglia e bigodini e, insaccata in autoreggenti fuori misura, può artatamente mugolare, come da sempre fa, sotto gli incerti colpi di reni del marito in mascherina e calzini bianchi, preoccupato per la tenuta dell’erezione davanti alla onnipresente spia rossa della videocamera amatoriale. Il privato diviene pubblico, insensibilmente, ma inesorabilmente. L’intimità esibita è già disponibilità psicologica al grande fratello, al panopticon totalitario.
Dietro l’ubriacatura pseudo libertaria degli anni ’70 – è oggi palese, dagli esiti infausti sotto i nostri occhi- si cela un deliberato e surretizio progetto di ingegneria sociale. Il solve et coagula dei moderni alchimisti. La pornografia, insieme alla droga, costituisce uno dei principali strumenti di sfaldamento dei pilastri dell’architettura sociale che si vuole abbattere: un’arma subdola e sottile.
La nuova società del controllo totale, in gestazione, si costruisce sulla pietra angolare della denatalità.
L’appello al libero amore è il cavallo di Troia di un concetto deflagrante per le dinamiche demografiche: il divorzio tra sessualità e riproduzione.
Nel libro L’altra Europa, di Paolo Rumor, Loris Bagnara e Giorgio Galli, leggiamo:
“La strategia si sarebbe concentrata su un’iper-sessualizzazione della società, in modo tale che le persone avrebbero smesso di associare l’atto sessuale a quella della procreazione. La contraccezione sarebbe stata incoraggiata in ogni modo, e il concetto di contraccezione sarebbe diventato così preminente nell’immaginario comune, che nel momento stesso che un individuo avesse pensato al sesso, un riflesso pavloviano gli avrebbe fatto pensare automaticamente alla contraccezione.”[1]
Le leggi sui “diritti civili”, aborto e divorzio, procedono di conserva. La distruzione della famiglia è apparecchiata e, intorno al desco, iniziano a scomparire i bambini.
Al bando le virtù muliebri d’antan, la ex fattrice e angelo del focolare scalpita sui tacchi alti per il suo piacere e per un lavoro fuori dalle mura domestiche: allevare esseri umani è una diminutio, una misera soddisfazione cadetta, per questa Emma Bovary del tardo novecento, ancora ignara del futuro “doppio ruolo” e dell’uso improprio della bocca come idrovora per scalare i piani dell’ufficio.
La libertà sessuale implica anche la scissione tra sesso e amore: la promiscuità distrugge il rapporto esclusivo a due, che secondo Irenaus Eibl-Eibesfeldt, nel suo Amore e odio, discende dalla relazione primaria madre-figlio, di cui l’atto erotico mima l’intima gestualità.
Questa sessualità svuotata e scempiata, che non mira più alla riproduzione né a costruire legami, diviene paradossalmente frustrata, incontentabile, eccessiva. Dopo il prolasso anale, non si può andare oltre.
Relegata nei confini dell’edonismo fine a se stesso, si trasforma in finisterre e cimitero del desiderio.
Non si cerca più il contatto intimo con l’altro: l’impulso erotico si soddisfa con la masturbazione o la semplice scopofilia. È la società del sesso solitario e della soddisfazione vicaria, dei marchingegni erotici che sostituiscono il rapporto in carne ed ossa, degli onanisti anonimi.
Sono i prodromi del rapporto transumano con automi antropomorfici.
L’erotismo dionisiaco di immaginari paradisi terragni si è mutato in individualismo e solitudine. Il distanziamento sociale inizia dentro di noi.
La pornografia mette alla berlina i comportamenti sessuali tradizionali e mostra, fin dall’inizio, modelli alternativi: effusioni saffiche e atti di irrumazione omosessuale o di uranismo, si alternano alle scene “etero” (vocabolo coniato in luogo di “normale”). Si distingue il biondo attore ceco Stanis Piotre, finito a lavorare in un infimo scagno di articoli porno a Pigalle (ha avuto, tutto sommato, una sorte migliore rispetto a molti suoi colleghi della prima ora, che hanno terminato la propria parabola “artistica” con il suicidio o la comunità di recupero).
In Governo globale: la storia segreta del nuovo ordine mondiale di Gianluca Marletta ed Enrica Perucchietti, si riportano le tesi dello psicologo e sessuologo John Money, uno dei teorici dell'”identità di genere”, fondatore nel 1965 di una clinica per pazienti “transessuali” o “ermafroditi”:
“Il concetto di ‘uomo’ o ‘donna’ sarebbe solo una convenzione sociale, e la sessualità una realtà cangiante con “anelli intermedi” costituiti dall’omosessualità, dal lesbismo o dalla bisessualità”.
Nell’erotismo atomizzato e autoreferenziale, il termine “perversione” è sostituito prima con “parafilia”, poi con”orientamento o preferenza sessuale”, fluida e consumistica: un diritto che deve essere garantito a tutti: agli amanti degli animali, come ai coprofagi militanti.
In questa società dei surrogati artificiali imposti e controllati- immagini porno invece di rapporti sessuali, internet al posto di legami sociali reali, animali da compagnia, vestiti con impermeabili di Burberry, in luogo dei figli, la ipersessualità è un succedaneo della libertà politica.
Aldous Huxley, nella prefazione del 1949 a Il mondo nuovo, uscito nel 1932, aveva scritto:
“Più si riduce la libertà politica ed economica, più si aspira ad amplificare in modo compensatorio la libertà sessuale… sotto l’influsso di sostanze stupefacenti, del cinema e della radio, la libertà sessuale porterà i suoi sudditi a riconciliarsi con la schiavitù, che è il loro destino”.
La società fluida è un fiume che scorre soltanto nella direzione voluta dal padrone e dalle sue dighe invisibili.
La pornografia è anche modello e metafora dell’uomo ridotto a mero corpo: la dimensione interiore è definitivamente scomparsa. Esiste solo la superficie: ciò che appare. La cosmetica è la nuova scienza del cosmo.
Si genera l’ossessione dell’apparire: mostrarsi agli altri per convincersi della propria esistenza. C’è addirittura chi si riprende regolarmente durante l’atto sessuale: soltanto in un video abbiamo la prova della realtà. Insieme alla interiorità anche la corporeità, infine, sfuma nell’avatar: esistere è una convenzione digitale.
I noiosi, ripetitivi e meccanici video porno si concludono, indefettibilmente, con l’eiaculazione dell’uomo sulla femmina prostrata, vestigia del costume medievale che obbligava la donna a inginocchiarsi di fronte al marito.
Le ex immagini oscene sono l’ultima ridotta simbolica del potere maschile.
Il pene è ancora adorato e conserva la potenza primordiale, lo status incontestabile di verga sacra, scettro e axis mundi.
Ma la mascolinizzazione della donna – e la confusione dei ruoli- avanzano e, d’improvviso, si moltiplicano le donne all’apparenza in grado di eiaculare, ossia di usurpare l’ultima prerogativa maschile.
Attraverso la pornografia, a una lettura attenta, vediamo perfino come il cumshot, lo “sparo dello sperma”, lemma rivelatore dell’istinto aggressivo della civiltà americana e patetica proiezione di potenza, abbia le ore contate.
Arrivati al fondo della disamina, guardando quelle vecchie immagini di donne, allora nenufari bianchi sporcati dalla volgarità, oggi scheletri ammuffiti come la carta di quelle riviste, non possiamo fare a meno di essere catturati dalla tristezza. Finalmente, giunti all’età – e forse all’epoca – della disillusione, realizziamo che in tutto siamo stati ingannati: la falsificazione della vita è divenuta una protesi dell’anima, che dobbiamo strapparci, con il terrore del vuoto.
Nello specchio, dietro le rughe, vediamo solo edonismo e nichilismo: i due lati oscuri della civiltà borghese e liberale.
Di Accattone il Censore per ComeDonChisciotte.org
13.11.2024
NOTE
[1] Il virgolettato è tratto dalla trascrizione di un documento audio intitolato Il Nuovo Ordine dei Barbari, contenente il resoconto con il quale un pediatra americano, il dott. Lawrence Dunegan (1923-2004), descrisse un incontro fra pediatri e studenti a cui partecipò il 20 Marzo 1969 presso la Pittsburgh Pediatric Society.