Segnalato da Davide R.
Può capitare che un concerto all’aperto – trasmesso in diretta – venga sospeso per pioggia e che la Rai mandi in onda per trenta minuti il quadrante di un orologio; e può capitare che in quei trenta minuti le valutazioni dell’Auditel diano al segnale orario uno share del 15,5 per cento, pari a tre milioni e mezzo di telespettatori. O, ancora, può capitare
che nelle zone colpite di recente dal black out dell’energia elettrica – dove per causa di forza maggiore tutti gli apparecchi televisivi erano spenti – sempre l’Auditel registrasse alti tassi d’ascolto. Non sono aneddoti, ma gli
esempi più eclatanti di come funziona, nel sistema televisivo italiano, la
rilevazione statistica delle preferenze del pubblico. I dati Auditel sui
telespettatori vengono non solo utilizzati dai pubblicitari per ripartire
gli investimenti, ma considerati una bussola infallibile di ciò che i programmi devono o non devono offrire. Un meccanismo indagato e studiato dal giornalista Giulio Gargia nel volume “L’Arbitro è il venduto. Auditel,
AudiRadio, Hit Parade, AudiWeb, AudiSat” (Editori Riuniti, pp. 240, euro
14,00) – presentato ieri a Roma nella sede della Fondazione Basso. Il testo nasce sull’onda del movimento di critica alla comunicazione in Italia che è
Megachip (http: //www. megachip. info/), il network di operatori e utenti
della comunicazione fondato da Giulietto Chiesa, ieri presente alla discussione insieme a Michele Sorice, direttore della collana degli Editori
Riuniti “Black/White Box” e docente di storia della radio e della
televisione, alla giornalista ed ex direttore del tg3 Daniela Brancati, al
docente universitario Flavio Manieri – che ha curato l’introduzione del
libro – il docente di istituzioni di diritto pubblico Giampiero Orsello e,
infine, la giornalista Daniela Bolsi, vittima di un caso di censura proprio
per aver scritto un articolo-inchiesta sull’Auditel – di cui rendiamo conto
in questa stessa pagina.
Dieci milioni di euro all’anno, ossia ventimila miliardi di vecchie lire: a
tanto ammonta il giro d’affari della pubblicità che ruota attorno agli
indici d’ascolto misurati da Auditel, Audiradio, Audiweb, Audisat e Hit
Parades. Nato in origine per fornire i dati sull’ascolto ai pubblicitari,
l’Auditel è diventato nel corso del tempo una specie di voce divina che
svela i gusti del pubblico e condiziona la qualità dei palinsesti, spesso
attirandola verso il basso.
Il saggio di Gargia, diviso in undici capitoli, è dedicato alle storture più
vistose del sistema. Basta accennare alla procedura farraginosa – spiegata
dall’autore – che le famiglie campioni dell’Auditel devono seguire ogni
volta che accendono il televisore: per mezzo di un telecomando devono
segnalare chi e quanti, in quel momento, sono presenti. Inutile dire che
alla lunga le procedure vengono disattese, talvolta sconfinando in veri e
propri giochi. Ma quanto la valutazione Auditel sia lontana dal rigore
scientifico lo dimostra il fatto che è sufficiente restare trenta secondi
davanti al televisore per essere annoverati tra i telespettatori di un
programma. Sono tanti i casi in cui la tv è accesa senza che vi sia nessuno
a guardarla.
L’Auditel – sottolinea Michele Sorice – va indagato in quanto costruisce una
certa «rappresentazione del pubblico», un consenso artificiale attorno al
quale si stabilisce una preoccupante «spirale del silenzio».
Anche per Giulietto Chiesa l’Auditel è la punta di diamante di
un’informazione nel complesso manipolatoria. «Sarò radicale. Io sostengo con
passione che siamo ormai di fronte a una mutazione antropologica, l’avvento
dell’homo videns. Purtroppo la sinistra non ha capito nulla di questa
modificazione e lo stesso movimento operaio e democratico non è partecipe
della nuova, fondamentale battaglia politica che si è aperta sul fronte
della libertà d’informazione». Una battaglia che ha bisogno, innanzitutto,
di aumentare la conoscenza dei processi informativi, a vantaggio non solo
dell’opinione pubblica, ma «degli stessi produttori di notizie, i
giornalisti, che al momento attuale si trovano in completa solitudine di
fronte ai giganti proprietari di giornali e televisioni». Con i suoi numeri
l’Auditel costruisce a uso e consumo dei padroni dell’informazione
un’immagine di pubblico, per «dimostrare che la gente desidera esattamente
quel che le si offre in televisione. Che bella sorpresa!».
Qual è il rimedio? A nulla servirebbe spegnere la televisione «come una
certa sinistra sdegnata ancora oggi propone, perché siamo entrati ormai
nella società dell’immagine, anzi siamo soltanto agli inizi. E’ solo in
avanti che possiamo superare questo sistema manipolatorio. Per esempio,
ricorrendo alla stessa tecnologia, ad apparecchi che, inseriti nel nostro
televisore, sono in grado di bloccare la pubblicità a noi sgradita. Oppure,
attuando un boicottaggio dei prodotti pubblicizzati nelle trasmissioni
televisive che non ci piacciono».
Della necessità di una trasformazione radicale parla invece Daniela
Brancati: «da Berlusconi in poi tutto il sistema televisivo è finalizzato
alla pubblicità azzerando qualunque politica editoriale. La sinistra non può
essere succube del berlusconismo». L’errore – sottolinea Flavio Maniero – è
pensare di «battere il neoliberismo ripetendo, a sinistra, le sue stesse
parole, con la sola aggiunta di un tono di credibilità e maggiore serietà».
di Tonino Bucci
su Liberazione del 29/10/03