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Sabato primo ottobre si è tenuto a Roma un dibattito, organizzato da MicroMega, su Libera stampa in libero stato, che ha affrontato molti interessanti temi relativi all’informazione, alla stampa, alla televisione e chiaramente anche riguardo alla censura.

Il dibattito, durato circa otto ore, sarà disponibile su arcoiris tv . Nel seguito alcuni commenti, senza alcuna pretesa di completezza.

Truman Burbank

Le presenze erano soprattutto di sinistra, anche se c’erano persone di altri ambienti come Floris (il conduttore di Ballarò) o Massimo Fini.

La conferenza / dibattito si organizzava in una serie di discussioni (sullo stile di talk show televisivi), dove la presenza del pubblico era marginale, che coprivano buona parte dei temi oggi rilevanti in Italia.
Ciò che più mi ha lasciato perplesso è stato il cenno alla verità, con la discussione se la verità potesse essere rivoluzionaria. Questo per me è il punto cruciale da cui vedere il dibattito. Uno dei presupposti della conferenza era che l’attuale regime mediatico falsi continuamente la realtà e che bisogni tentare di dire la verità. Ma la verità non è un concetto che si sostiene da solo.

Mi è tornato in mente il racconto di H.G. Wells Il paese dei ciechi, dove una persona normale che arriva in un paese di ciechi alla fine accetta di farsi accecare per convivere con loro. Ciò che lui solo vedeva non era la verità.

Per decidere cosa sia vero e cosa no, serve un contesto, dei metodi di osservazione, delle regole per analizzare i risultati, un sistema semantico. Insomma per avere una verità diversa da quella ufficiale serve una cultura diversa da quella dominante. Ora, io non sono sicuro che la sinistra abbia oggi in Italia una cultura diversa da quella della destra. A me appaiono due varianti dello stesso liberismo, ambedue basate sullo stesso integralismo economico (forse la sinistra è più integralista).

In queste condizioni parlare di verità rivoluzionaria non ha senso. Al massimo ci possono essere delle verità tattiche per guadagnare qualche punto alle elezioni. Su questo ci torneremo.

Ritornando al corpo del dibattito, inizialmente è stato affrontato il tema della TV, indicando le molte pecche della tv italiana, tra cui quelle dovute all’interesse di Berlusconi a manovrarle a proprio vantaggio, come pure le deformazioni insite in una tv commerciale.

E’ stato ad esempio suggerito che una tv pubblica non dovrebbe fare uso dell’auditel e dovrebbe basare le proprie scelte su logiche indipendenti dall’audience.

In mezzo a tante critiche radicali e suggerimenti per miglioramenti, non ho però sentito quello che secondo me dovrebbe essere il primo consiglio da dare al pubblico: SPEGNERE LA TV. Se l’informazione televisiva, come è stato affermato, è totalmente inaffidabile, questa sarebbe la prima cosa da fare.

Io a volte ho la sensazione che non si possa fare informazione onesta in TV e che essa tenda comunque a diventare propaganda.

Dal mio punto di vista, anche senza Berlusconi, la TV pubblica ha fatto cose ignobili, come ad esempio il sostegno a D’Alema durante i bombardamenti USA sulla Jugoslavia.

Temi di questo genere non li ho sentiti.

In seguito si è discusso dei quotidiani, su come si possa fare informazione di parte sui giornali e sulle relative problematiche. Mi ha sorpreso il frequente riferimento al mercato da parte del direttore dell’Unità, come pure l’affermazione che nel giornale ci fosse pluralismo perché si lasciava esprimere la propria opinione anche ad eretici come Oliviero Beha.

Mi torna in mente un amico che mi parlava dell’Unità degli anni ’60, quando i giornalisti andavano sul territorio, nelle fabbriche e nelle campagne, realizzando grandi inchieste su quelle che erano le condizioni del popolo (la diga del Vajont fu un esempio). Adesso la differenza dell’Unità sta nel lasciare parlare un opinionista che altri non gradiscono. Del resto, come ho accennato, se non c’è una cultura diversa le differenze sono solo opinioni. Il PCI abdicò alla propria eredità culturale molti anni fa, e non sembra avere intenzione di ripensarci.

Del tutto trascurato il discorso (secondo me evidente) dei giornali fotocopia: tutti portano le stesse notizie, cambiano solo i commenti. Il mio quotidiano è diventato Google news, visto che è sufficiente un programma per computer per trovare le principali notizie dei giornali.

Del tutto ignorato il discorso della stampa gratuita distribuita nella metropolitana e dintorni delle principali città (es. Metro e City). A me tali giornali appaiono interessanti, sia perché provengono da circuiti editoriali un po’ diversi, sia perché vengono letti dalla gente solo in base all’interesse trovato nel leggere. Ricordo con piacere la copertina di City (mi pare) di un anno fa che, nel centenario della scoperta dell’America, pubblicò in prima pagina la fotografia dell’abbattimento di una statua di Colombo in un paese dell’America latina. Questo mentre tutti i quotidiani tradizionali pensavano solo ad incensare l’evento. Ricordo anche che le inchieste sull’uranio impoverito fatte da Metro sono tra le migliori comparse sulla stampa.

Ma la carenza principale, quella che mi ha realmente impressionato, è stata la totale assenza di dibattito sull’informazione internet. Solo Lidia Ravera ha accennato un attimo al figlio che non aveva soldi da spendere in quotidiani e si aggiornava su internet. Del resto tale assenza concorda con il concetto di un’informazione da trasmettere da parte di un’elite verso una moltitudine, non è previsto il flusso contrario. O meglio, nel corso del dibattito è stato consentito al pubblico fare domande. Le risposte chiaramente le dava l’esperto (Sabina Guzzanti nel caso in questione).

In definitiva, se l’informazione ufficiale è un muro, you are another brick in the wall. Un’altra informazione è possibile, ma difficilmente la farete voi.

A parte questo, i miei complimenti a Travaglio (espressi anche di persona) che ha detto cose molto interessanti.

Truman Burbank

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