Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org
Non saremmo professionali ed intellettualmente onesti se non prendessimo in considerazione, per poi farlo notare a chi ci segue, la netta inversione di rotta, che alla FED sta avvenendo a livello di politica monetaria sui tassi, rispetto ai cugini di Francoforte.
Un disallineamento, che sta avvenendo sotto i nostri occhi, dopo un matrimonio che le ha viste vivere felici insieme e camminare a braccetto per lunghi anni.
Comprendere oggi, quali verità geopolitiche si celino dietro a questo cambiamento, stante il naturale diabolico doppiogiochismo che caratterizza il vero potere, è sempre molto difficile. Per questo mi limiterò a considerazioni, seppur forti, fondate sulla logica e quello che dovrebbe essere il corretto funzionamento dei sistemi economico-monetari.
Sul fatto che la moneta Euro ed il suo sistema siano una creazione dei poteri profondi che da sempre comandano la Federal Reserve, credo che oggi nessuno abbia più il minimo dubbio.
A livello geopolitico, per gli USA avere un continente alle porte della Russia ed affacciato sul mondo asiatico, unito e da loro gestito tramite una moneta unica, pronto ad espandersi sempre più ad est sotto la bandiera della NATO – non vi è alcuna incertezza nel descriverlo come una desiderata dei poteri profondi che governano ed hanno governato gli Stati Uniti in questi anni.
A livello di scienza economica, non possiamo far a meno di osservare che la folle creazione di un sistema monetario basato su una moneta senza Stato, sia ancora oggi in piedi solo e soltanto per il volere ed il sostegno di colei che lo ha creato, ossia la FED. La quale, per lunghi anni, lo ha tenuto sostanzialmente in vita attraverso una artefatta parità con il dollaro ed una politica dei tassi sostanzialmente a zero.
Oggi, con la scusa dell’inflazione che sta attanagliando il mondo occidentale, e dopo quasi un anno di tira e molla sulle tematiche monetarie relative al rialzo dei tassi, parrebbe che, si stia veramente arrivando alla fine di un matrimonio che, per necessità, pareva essere per sempre.
Se consideriamo, soprattutto, che a livello tecnico, aumentare i tassi per far fronte al fenomeno inflattivo è addirittura una scelta sbagliata, stante il fatto che la misura stessa è di per se inflattiva – risulta ancora più evidente che dietro a questa separazione ci siano motivazioni di base ben più sostanziali.
Interrogarsi oggi, di fronte a questo evento, se a Washington comanda ancora lo stesso gruppo di potere che ha ideato e voluto questo tipo di Europa, è una domanda che tutti noi interessati al futuro del mondo, dovremmo assolutamente porci.
Cerchiamo di capire bene – la FED decide di intraprendere la strada di un netto aumento dei tassi, di fatto mettendo nei guai i suoi sodali a Francoforte e lo fa pur non essendoci una reale necessità – allora perché lo fa?
Le politiche monetaria delle banche centrali sappiamo che ben poco, per non dire per nulla, possono fare per contrastare e/o gestire i fenomeni inflattivi. A maggior ragione per quello attuale che ha origini esogene e per di più inserito in un tessuto economico da tempo recessivo. Per questo, occorrono le necessarie politiche fiscali dei governi, che però Draghi e Co., fedeli al loro mandato di eterna trasfusione di sangue dal popolo all’élite, mai si sogneranno di mettere in pratica, nemmeno qualora fossero chiusi in un bunker con le bombe che piovono sulle loro teste.
L’euro, un sistema di cambi fissi all’interno di folli regole, quali il pareggio di bilancio dello Stato, con gli stati che utilizzano una moneta che non emettono, ha due condizioni essenziali per la sua sopravvivenza:
- avere la bilancia commerciale in quantità perennemente attiva;
- tenere sostanzialmente a zero il costo per interessi relativo al debito pubblico;
Il primo punto prevede di attuare una politica economica necessariamente mercantilista, ovvero dobbiamo esportare molto di più di quello che importiamo. Questo perché essendo zero l’afflusso di denaro da parte del settore governativo, i mezzi finanziari freschi ed un minimo di benessere, possono arrivare esclusivamente dal settore estero (naturalmente se escludiamo il credito bancario….. che di fatto è DEBITO).
Per arrivare all’obiettivo di una bilancia commerciale attiva ci sono due strade da percorrere: esportare di più o importare di meno, oppure entrambe insieme.
Per fare questo però, la strada da perseguire per ambedue i percorsi, è una soltanto e direi tragica: deflazionare i salari a suon di mazzate (in senso metaforico) per i lavoratori. Una gara infinita a guadagnare meno per produrre di più, cercando nel contempo di consumare sempre meno.
In pratica si richiede al popolo di lavorare di più, guadagnare meno e non consumare. La scena ricorda molto: uomini di colore, catene, una palla di ferro alle caviglie, tanto sudore e riposo zero.
Tutto questo per rendere i nostri prodotti più convenienti per poi farli consumare ad altri in cambio di estratti conto, la cui titolarità (degli estratti conto), non sarà certo dei lavoratori.
A questo va aggiunta anche la scientifica distruzione della domanda interna a suon di colpi di austerity, che provoca i fallimenti e le chiusura di tutte quelle attività che vivono necessariamente con il mercato interno.
Per veder il risultato di quello che sto affermando basta dare un’occhiata al grafico della bilancia commerciale sia a livello europeo che italiano, nello specifico:
Come potete vedere, eccetto che per gli anni della crisi del 2008, l’esperienza Euro è caratterizzata sia a livello medio europeo che italiano, in particolare, da un costante e notevole surplus con l’estero; che ripeto essere essenziale per la sopravvivenza del sistema-euro stesso.
Se guardate invece gli ultimi mesi, diciamo da fine 2021, lo scenario cambia radicalmente, sia a livello europeo in termini più netti che purtroppo anche riguardo ai dati dell’Italia.
Il surplus si è trasformato in una netta tendenza al deficit, che qualora perdurasse nel tempo, andrebbe appunto a chiudere il rubinetto dell’export da dove affluisce l’unica possibilità di ossigeno per un paese mercantilista. Ovvero minerebbe uno dei due pilastri su cui si poggia la struttura dell’euro.
Se a questo aggiungiamo la sopracitata azione della FED sui tassi, che sta mettendo in seria difficoltà la BCE riguardo alla gestione dei debiti pubblici dei paesi membri, ecco che il tritolo è già posizionato, pronto per far esplodere l’atro pilastro su cui si fonda il sistema-euro.
La ripartenza dello spread (che senza l’aiuto della FED, solo l’intervento della BCE può fermare) ed il ritorno dei BTP al 3% sono qui a dimostrarlo:
La BCE oggi è veramente in difficoltà ed in lotta contro forze contrastanti fra loro. Sta perdendo di fatto la garanzia di ultima istanza che la FED ha sempre concesso in relazione al mantenimento dei tassi a zero e non sa che fine farà l’innaturale parità tra dollaro ed euro che ha consentito ai paesi membri di approvvigionarsi senza scossoni di prezzo, di energia e materie prime ed essere sempre competitivi nella vendita dei prodotti all’estero, per conseguire la necessaria politica mercantilista.
Paradossalmente, oggi il dilemma principale che dovrebbe percorre i pensieri delle menti pensanti di Francoforte, non è più quello di come fare a salvare l’euro, ma di come e quando l’euro salterà.
Se la BCE segue la FED sulla strada del rialzo dei tassi, avrà il problema degli spread e dei disallineamenti nei costi di finanziamento tra i debiti pubblici dei paesi membri, che potrebbero portare al default dei paesi più indebitati. Quindi dovrebbe immediatamente attivare nuovi massicci programmi di acquisto anche non omogenei che farebbero saltare il banco da parte di quei paesi da sempre contrari. Senza considerare che un aumento dei tassi aggraverebbe, come già detto anche il fenomeno inflattivo, e questo imporrebbe alla BCE, anche di finanziare direttamente le politiche fiscali dei governi per evitare i disastri sociali conseguenti.
Se invece la BCE decidesse di non procedere ad aumentare i tassi e percorrere una strada verso il ritorno ai tassi zero – un abbandono dei titoli del debito europeo da parte del mondo della finanza verso lidi più redditizi, sarebbe la logica conseguenza. Questo comporterebbe ugualmente, da parte dell’Istituto di Francoforte, il dover intervenire in soccorso degli stati acquistando i titoli invenduti.
In definitiva, se il famoso “whatever it takes” fu pronunciato da SuperMario e sostenuto dalla FED, per fermare gli spread e tenere in piedi l’Euro; non possiamo fare a meno di notare che le azioni che oggi lo fanno ripartire, siano almeno in netto contrasto con quanto fatto all’epoca. Azioni che per otto lunghi anni hanno visto la FED in tandem con Francoforte, addirittura sostenere politiche monetarie mai viste prima, come quella di mantenere i tassi in costante terreno negativo.
Mentre Putin, al contrario della nostra propaganda main-stream che lo vede in netta difficoltà nel conflitto, si sta addirittura prendendo Odessa indisturbato – di fatto chiudendo l’accesso sul Mar Nero all’Ucraina – il nostro premier Draghi sembra abbia in urgente programma un viaggio a Washington, per chiarirsi le idee su quello che sta succedendo.
Che di fatto, a livello militare, in USA si stia applicando la massima del “armiamoci e partite”, è più che evidente. Ad oggi, alla voce grossa di Biden sono seguiti fatti zero da oltreoceano, lasciando in pratica la sola Europa, sempre più divisa, a metterci la faccia ed a rischiarci le “penne”.
Per essere precisi quello che, di fronte alla Russia, ha messo fin da subito e continua a mettercela la faccia, fedele come un “chihuahua”, è Mario Draghi ed il suo governo, mentre gli altri leaders europei tengono da sempre posizioni più defilate e coperte.
Per questo sarà importante capire se Draghi andrà a Washington per ricevere i nuovi ordini su un evidente cambio di strategia da parte di Davos oppure se invece incontrerà la sua amica Janet Yellen (ex presidente della FED oggi segretario del Tesoro), per cercare di capire da vicino ed in confidenza, cosa realmente sta succedendo laggiù.
Con le midterm USA dietro l’angolo (Novembre) ed i sondaggi che vedono Trump riprendersi nettamente Camera e Senato, il nostro uomo fedele a Davos, evidentemente vuole vederci chiaro e c’è da capirlo, il terremoto che potrebbe arrivare si trasformerebbe in una voragine sotto i suoi piedi, se torna Trump o peggio ancora se scoprisse che fosse già in carica.
In conclusione, i nodi stanno venendo al pettine, se a Francoforte verrà a mancare, come sembra, il supporto della FED, per poter continuare ad avere in Europa, la botte piena e la moglie ubriaca, la fine dell’euro potrebbe essere veramente dietro l’angolo.
Di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani), ComeDonChisciotte.org