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La Redazione

 

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L’esecuzione da parte di Israele della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh

Israele, che ogni anno uccide centinaia di Palestinesi, tra gli obiettivi include abitualmente reporter e fotografi
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A cura di Markus
Il 21 Maggio 2022
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Chris Hedges
scheerpost.com

Shireen Abu Akleh, reporter di Al Jazeera con oltre due decenni di esperienza nella copertura di conflitti armati, conosceva il protocollo. Mercoledi scorso, lei e altri reporter erano rimasti all’aperto, ben visibili ai cecchini israeliani posizionati in un edificio a circa 650 metri di distanza. Il suo giubbotto antiproiettile e il suo elmetto recavano la scritta “PRESS.”

Erano stati sparati tre colpi nella sua direzione. Il secondo proiettile aveva colpito alla schiena il produttore di Al Jazeera, Ali al-Samoudi. Il terzo proiettile, ricorda al-Samoudi, aveva colpito Abu Akleh alla nuca, proprio sotto il bordo dell’elmetto.

Il cecchino israeliano aveva potuto inquadrare per alcuni secondi nel suo mirino Abu Akleh, uno dei volti più riconoscibili del Medio Oriente. Il proiettile da 5,56 mm dell’M-16, progettato per capovolgersi al momento dell’impatto, aveva completamente spappolato il cranio di Abu Akleh.

La precisione dell’M-16, in particolare degli M16A4 equipaggiati con l’Advanced Combat Optical Gunsight (ACOG), un mirino prismatico telescopico, è molto elevata. Nei combattimenti a Fallujah erano stati trovati così tanti insorti morti con ferite alla testa che gli osservatori avevano inizialmente pensato che fossero stati giustiziati. Il proiettile che ha ucciso Abu Akleh è stato abilmente piazzato nella sottilissima apertura che separa l’elmetto dal colletto del giubbotto antiproiettile.

Sono stato in combattimento, anche in scontri tra forze israeliane e Palestinesi. I cecchini sono temuti sul campo di battaglia perché ogni uccisione è calcolata.

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Shireen Abu Aqleh. (CC BY 3.0, Wikimedia Commons)

L’esecuzione di Abu Akleh non è stata casuale. La sua eliminazione è stata una scelta. Non so se questa uccisione sia stata ordinata dagli ufficiali in comando o se sia dovuta al capriccio di un cecchino israeliano. Gli Israeliani sparano impunemente a così tanti Palestinesi che è anche probabile che il cecchino sapesse di poter uccidere Abu Akleh senza subire conseguenze.

Quello di Abu Akleh, ha dichiarato Al Jazeera in un comunicato, è stato “un palese omicidio, che viola le leggi e le norme internazionali.” Abu Akleh, ha aggiunto il network, è stata “assassinata a sangue freddo.”

Abu Akleh, che aveva 51 anni ed era palestinese-americana, era una presenza familiare e fidata sugli schermi televisivi di tutta la regione, venerata per il suo coraggio e la sua integrità e amata per i suoi reportage attenti e sensibili sulle complessità della vita quotidiana sotto l’occupazione.

I suoi reportage dai territori occupati smentivano abitualmente le narrazioni israeliane e mettevano a nudo gli abusi e i crimini israeliani, rendendola la bête noire del governo israeliano. Era un’eroina per le giovani donne palestinesi, come ha raccontato al New York Times Dalia Hatuqa, giornalista palestinese-americana e amica di Abu Akleh.
“So di molte ragazze che sono cresciute praticamente davanti allo specchio, con la spazzola in mano, fingendo di essere Shireen,”, ha riferito Hatuqa al quotidiano. “Ecco quanto è stata duratura e importante la sua presenza.”

“Ho scelto il giornalismo per essere vicina alla gente,” aveva detto Abu Akleh in una clip riproposta da Al Jazeera dopo la sua uccisione. “Forse non sarà facile cambiare la realtà, ma almeno sono riuscita a portare la loro voce al mondo.”

In un’intervista del 2017 con il canale televisivo palestinese An-Najah NBC, le era stato chiesto se fosse preoccupata di essere uccisa.

“Certo, ho paura,” aveva detto. “Nel momento dell’azione ci si dimentica di questa paura. Però non ci gettiamo in braccio alla morte. Andiamo e cerchiamo di trovare dove stare e come proteggere la squadra e me stessa, prima di pensare a come andare sullo schermo e a cosa dire.”

Migliaia di persone in lutto hanno partecipato al suo funerale, il più grande a Gerusalemme dalla morte del leader palestinese Faisal Husseini, nel 2002. La polizia israeliana in tenuta antisommossa ha interrotto il corteo, sequestrando e strappando le bandiere palestinesi. La polizia ha sparato granate stordenti e ha spinto, bastonato e picchiato le persone in lutto e i portatori della bara, facendo perdere loro la presa sul feretro. Migliaia di persone hanno cantato: “Sacrifichiamo la nostra anima e il nostro sangue per te, Shireen.”

È stato un altro esempio dell’umiliazione quotidiana inflitta ai Palestinesi dagli occupanti israeliani. È stato anche un commovente tributo ad una reporter che aveva capito che il ruolo del giornalismo è dare voce a coloro che i potenti cercano di mettere a tacere.

Ho seguito l’occupazione israeliana per sette anni, due anni con il Dallas Morning News e cinque con il New York Times, di cui ero a capo dell’ufficio per il Medio Oriente.

Uno dei principali obiettivi dell’esercito israeliano era quello di impedire che facessimo reportage dai territori occupati. Se riuscivamo a superare i posti di blocco israeliani per documentare gli assalti omicidi dei soldati israeliani contro Palestinesi disarmati, cosa non sempre possibile, veniva messa in moto la ben oliata macchina propagandistica israeliana per oscurare i nostri reportage. I funzionari israeliani pubblicavano immediatamente le loro contro-narrazioni.

Il Primo Ministro, il Ministro degli Esteri, il Ministro della Difesa e il portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), ad esempio, avevano immediatamente attribuito la responsabilità dell’uccisione di Abu Akleh a uomini armati palestinesi, fino a quando i filmati esaminati da B’Tselem, il Centro di Informazione Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati, non avevano smentito la loro ricostruzione.

Quando Israele viene sorpreso a mentire, come nel caso dell’omicidio di Abu Akleh, promette immediatamente un’indagine. La narrazione si sposta dall’incolpare i Palestinesi all’esito di un’inchiesta.

Raramente vengono condotte indagini imparziali sulle centinaia di uccisioni di Palestinesi da parte di soldati e coloni ebrei. I responsabili non vengono quasi mai portati in tribunale o chiamati a rispondere delle loro azioni.

Il modello di offuscamento israeliano è pateticamente prevedibile. Così come la collusione di gran parte dei media mainstream e dei politici [americani] repubblicani e democratici. I politici statunitensi hanno denunciato l’omicidio di Abu Akleh e hanno ripetuto doverosamente il vecchio mantra, chiedendo una “indagine approfondita” da parte dello stesso esercito che ha compiuto il crimine.

Il drammatico filmato ripreso nel settembre 2000 all’incrocio di Netzarim, nella Striscia di Gaza, da France 2 TV, di un padre che cerca di proteggere il figlio dodicenne Muhammad al-Durrah dai colpi di arma da fuoco israeliani che, alla fine, lo uccidono, aveva iniziato la tipica campagna di propaganda da parte di Israele.

I funzionari israeliani avevano passato anni a mentire sull’uccisione del ragazzo, prima incolpando i Palestinesi della sparatoria e poi insinuando che la scena era stata simulata e che Muhammad era ancora vivo.

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Dipinto murale di artista sconosciuto raffigurante Muhammad al-Durrah, ucciso dalle forze di occupazione israeliane a Gaza nel settembre 2000. (Imad J. CC BY-SA 4.0, Wikimedia Commons)

Una cosa è certa: l’esercito israeliano sa quale dei suoi cecchini ha ucciso Abu Akleh, anche se il nome del soldato probabilmente non sarà mai reso pubblico. Né, secondo me, il cecchino sarà rimproverato.

“Con tutto il rispetto per noi, diciamo che la credibilità di Israele non è molto alta in questi casi,” ha detto il ministro israeliano per gli Affari della Diaspora Nachman Shai a proposito di un’indagine israeliana sull’uccisione. “Questo lo sappiamo. È una lezione del passato.”

Israele ha una lunga storia nel bloccare le indagini sulla pletora di crimini di guerra che commette a Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del pianeta, e in Cisgiordania.
Si rifiuta di collaborare con la Corte penale internazionale (Cpi) su eventuali crimini di guerra nei territori occupati. Non collabora con il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e proibisce al relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani di entrare nel Paese.

Nel 2018 Israele aveva revocato il permesso di lavoro a Omar Shakir, direttore di Human Rights Watch (Israele e Palestina) e lo aveva espulso. Nel maggio 2018, il Ministero israeliano degli Affari strategici e della diplomazia pubblica aveva pubblicato un rapporto in cui si chiedeva all’Unione Europea (UE) e agli Stati europei di interrompere il sostegno finanziario diretto e indiretto e i finanziamenti alle organizzazioni palestinesi e internazionali per i diritti umani che “hanno legami con il terrore e promuovono boicottaggi contro Israele.”

Israele si affida a campagne di terrore, con uccisioni casuali e indiscriminate, per sconfiggere la resistenza palestinese. Gli strateghi israeliani descrivono questa tattica come la “falciatura dell’erba,” uno degli aspetti di una guerra di logoramento senza fine. Il terrore israeliano mantiene i Palestinesi perennemente fuori equilibrio, impauriti e con un tenore di vita a livello di sussistenza. Questo terrorismo di Stato contribuisce anche all’obiettivo principale di Israele, una pulizia etnica al rallentatore del territorio palestinese.
I bombardamenti e i cannoneggiamenti su Gaza del 2014, durati 51 giorni, avevano ucciso più di 2.250 Palestinesi, tra cui 551 bambini.

L’uso dell’esercito da parte di Israele contro una popolazione occupata che non dispone di unità meccanizzate, di una forza aerea, di una Marina, di missili, di artiglieria pesante e di una struttura di comando e controllo, per non parlare dell’impegno degli Stati Uniti a fornire a Israele 38 miliardi di dollari in aiuti per la difesa nel prossimo decennio, non è giustificabile secondo il diritto internazionale.

Israele non sta esercitando il diritto di difendersi. Sta compiendo un omicidio di massa. È un crimine di guerra. Gli attacchi sono progettati per degradare le infrastrutture civili, distruggendo centrali elettriche, impianti di trattamento dell’acqua, reti fognarie, grattacieli residenziali, edifici governativi, strade, ponti, strutture pubbliche, terreni agricoli, scuole e moschee.

Israele ha usato il terrore di Stato per schiacciare il Movimento di Solidarietà Internazionale, che aveva fatto arrivare nei territori occupati attivisti da tutto il mondo e che spesso avevano usato i loro corpi per impedire a Israele di demolire le case palestinesi, oltre che filmare e registrare le violazioni dei diritti umani.

Come scrive l’autore e giornalista Jonathan Cook:

Ma il passaporto statunitense di Abu Akleh non è stato in grado di salvarla dalla punizione israeliana più di quanto lo fosse stato quello di Rachel Corrie, uccisa nel 2003 da un autista di bulldozer israeliano mentre cercava di proteggere le case palestinesi a Gaza. Allo stesso modo, il passaporto britannico di Tom Hurndall non gli aveva impedito di essere colpito alla testa mentre cercava di proteggere i bambini palestinesi di Gaza dai proiettili degli Israeliani. Né il passaporto britannico del regista James Miller aveva impedito ad un soldato israeliano di giustiziarlo nel 2003 a Gaza, mentre documentava l’assalto di Israele alla piccola enclave sovraffollata.

Facendo da testimoni avevano scelto di difendere una causa e si erano rifiutati di rimanere in silenzio mentre i Palestinesi soffrivano – e per questo motivo, a loro e a coloro che la pensavano come loro doveva essere impartita una lezione.

La cosa aveva funzionato. Ben presto, il contingente di volontari stranieri – quelli che erano venuti in Palestina per registrare le atrocità di Israele e servire, quando necessario, come scudi umani per proteggere i Palestinesi da un esercito israeliano dal grilletto facile – si era volatilizzato. Israele aveva denunciato l’International Solidarity Movement per sostegno al terrorismo e, data la chiara minaccia alle loro vite, il bacino di volontari si era gradualmente prosciugato.

Israele nutre una profonda ostilità nei confronti della stampa, in particolare di Al Jazeera, che ha un’ampia audience in tutto il mondo arabo. Ai giornalisti di Al Jazeera vengono regolarmente negate le credenziali di stampa, sono molestati e viene loro impedito di lavorare.

Nel maggio 2021 i cacciabombardieri israeliani avevano distrutto a Gaza l’edificio di al-Jalaa, che ospitava decine di agenzie di stampa internazionali, tra cui gli uffici di Al Jazeera e dell’Associated Press.

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Il bombardamento da parte dell’aviazione israeliana dell’edificio al-Jalaa che ospitava uffici stampa a Gaza, 15 maggio 2021. (Osama Eid, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons) Dal 2018, almeno 144 giornalisti palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane nei territori occupati e tre, tra cui Abu Akleh, sono stati uccisi nello stesso periodo, secondo Reporter senza frontiere.

A partire dal 2018, almeno 144 giornalisti palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane nei territori occupati e tre, tra cui Abu Akleh, sono stati uccisi nello stesso periodo, secondo Reporter senza frontiere. I giornalisti palestinesi Ahmed Abu Hussein e Yasser Mortaja, anch’essi chiaramente identificabili come giornalisti, erano stati uccisi dai cecchini israeliani a Gaza nel 2018. Dall’anno 2000, almeno 45 giornalisti palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani, secondo il Ministero dell’Informazione palestinese.

“Abu Akleh  molto probabilmente è stata colpita proprio perché era una famosa reporter di Al Jazeera, nota per aver denunciato a testa alta i crimini israeliani,” scrive Cook. “L’esercito e i soldati sono vendicativi e hanno armi letali con cui regolare i conti.”

Israele fa poco per nascondere il suo insensibile disprezzo per le vite dei palestinesi, degli attivisti internazionali e dei giornalisti.

“Supponiamo che Shireen Abu Akleh sia stata uccisa dal fuoco dell’esercito israeliano,” ha dichiarato Avi Benyahu, ex portavoce dell’IDF. “Non c’è bisogno di scusarsi per questo.”
Reporter e fotografi, agli occhi di Israele, sono responsabili della loro stessa morte.

“Quando i ‘terroristi’ sparano contro i nostri soldati a Jenin, i soldati devono rispondere con tutte le loro forze, anche in presenza di giornalisti di Al Jazeera presenti nella zona, che di solito ostacolano l’esercito e impediscono il suo lavoro,” ha dichiarato il membro della Knesset Itamar Ben Gvir.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (UNOCHA), nell’ultimo anno le forze israeliane hanno ucciso almeno 380 Palestinesi, tra cui 90 bambini. Questo include almeno 260 Palestinesi uccisi a Gaza durante l’ultimo assalto di Israele, nel maggio 2021.

Il ritmo delle uccisioni dei Palestinesi da parte di Israele è aumentato costantemente dalla fine di marzo, dopo l’uccisione di 18 persone da parte di Palestinesi armati in varie città israeliane.

A marzo, le forze israeliane avevano ucciso 12 Palestinesi, tra cui tre bambini. Ad aprile, le forze israeliane avevano ucciso almeno 22 Palestinesi, tra cui tre bambini. Abu Akleh stava coprendo un’incursione israeliana nel campo profughi di Jenin, dove le unità dell’esercito avevano dichiarato di essere a caccia di aggressori palestinesi.

L’uccisione di Abu Akleh sarebbe stata trattata in modo molto diverso se fosse stata uccisa da soldati russi in Ucraina. Non ci sarebbero stati equivoci su chi avesse compiuto l’omicidio. La sua morte sarebbe stata denunciata come crimine di guerra. Nessuno avrebbe acconsentito a lasciare che l’esercito russo conducesse le indagini.

Il mondo si divide in vittime degne e indegne, in quelle che meritano la nostra compassione e il nostro sostegno e in quelle che non lo meritano. Gli Ucraini sono bianchi e in gran parte cristiani. Consideriamo la lotta contro l’occupante russo come una battaglia per la libertà e la democrazia. Forniamo 40 miliardi di dollari in armi e aiuti umanitari. Imponiamo sanzioni punitive a Mosca. Facciamo nostra la causa ucraina.

La lotta per la libertà dei Palestinesi, che dura da 55 anni, non è meno giusta né meno degna del nostro sostegno. Ma i Palestinesi sono occupati dal nostro alleato israeliano. Non sono bianchi. La maggior parte non è cristiana, anche se Abu Akleh era cristiana. Non sono considerati degni. Soffrono e muoiono da soli. I crimini di guerra compiuti da Israele restano inascoltati e impuniti. I Palestinesi rifiutano ostinatamente di arrendersi. Questo li rende altrettanto eroici, forse più eroici, dei combattenti ucraini [talmente eroici che usano i civili come scudi umani, N.D.T.]. In Israele siamo dalla parte sbagliata della storia [e anche in Ucraina, N.D.T.]. Il sangue di Abu Akleh è sulle nostre mani.

Chris Hedges

Fonte: scheerpost.com
Link: https://scheerpost.com/2022/05/16/hedges-the-israeli-execution-of-al-jazeera-reporter-shireen-abu-akleh/
16.05.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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