Città e futuro… che ne è stato dell’uomo? – parte 2
L’alienazione dell’uomo moderno sta assumendo una nuova forma: quella delle città omologate del futuro che tendono ad uniformare le diversità.
di Ivana Suerra
“Il Mekong era piatto e senza drammi […] Si scivolava via lenti fra le due sponde che erano l’essenza di quella contraddizione che dentro di me avrei tanto voluto risolvere: a sinistra la sponda laotiana con i villaggi di capanne all’ombra delle palme di cocco, le barche a remi ormeggiate al fondo di semplici scale di bambù e, la sera, i bagliori teneri delle lucine a olio nel silenzio; a destra, la sponda thailandese: luci al neon, la musica degli altoparlanti e il rombare lontano dei motori. Da una parte il passato da cui tutti vogliono strappare i laotiani, dall’altra il futuro verso cui tutti credono di dover correre. Su quale sponda la felicità?” (1)
Era il 1992 e Tiziano Terzani poteva ancora permettersi il lusso di questo dubbio. Oggi, trent’anni dopo, non c’è scelta: le città del futuro sono il presente, le città del futuro devono essere la felicità. A testimoniarlo, nel frattempo, è stata la demolizione della ‘Turtle House’ di Un indovino mi disse, soppiantata da qualcosa di diverso, qualcosa di più aderente alla modernità, poco conta cosa. (2) E perché rammaricarsi? É solo l’ennesimo luogo della memoria cancellato, solo una delle tante occasioni perse per stimolare la curiosità del viaggiatore, solo qualcosa che è stato, ma che con il tempo dimenticheremo.
Infondo, gli interessi della società dell’avvenire guardano altrove e stanno proprio dentro a quei “grattacieli pieni di gente inscatolata” che, tanto ostili al Terzani, hanno preso il posto della sua casa.
‘É la modernità, bellezza!’… E va abbracciata senza riserve, anche quando genera paradossi grotteschi: pseudo ‘boschi verticali’ decorati con alberi posticci tra putrelle e vetrate; quartieri ‘isola’ posti nel bel mezzo di densissimi centri urbani già privati dei loro parchi storici; progetti di padiglioni che evocano primule mentre celebrano il trionfo del plexiglass colorato.
Tutti tentativi di fuorviare il cittadino, di fargli credere nel ritorno della natura dentro le città, quando, invece, non si offre lui nulla di più distante da un terreno naturale, inalterato, spoglio, semplice.
Un recente esempio di questa visione della città viene messo in scena dall’esposizione allestita presso il Museo d’Arte Orientale di Torino con il titolo “China Goes Urban. La nuova epoca delle città”. (3)
La mostra muove dal tema dell’esodo della popolazione cinese dalle aree rurali verso quelle urbane, con il conseguente impoverimento delle prime per congestionare le seconde. Questo fenomeno è noto e comune a quasi tutti gli angoli del mondo, ma, ciò che la realtà cinese mette in luce oggi è qualcosa di diverso: se un tempo la storia registrava migrazioni cicliche dei popoli, il modello qui prospettato è quello di un allargamento della città stessa, la quale, con la sua capacità espansiva, invade non più soltanto le periferie, ma anche i villaggi e tutti gli spazi circostanti. Si ravvisa un’estensione illimitata di siti urbani con caratteristiche standardizzate in grado di erodere la diversità dei paesaggi naturali, di inglobarli dentro di sé, senza soluzione di continuità.
Il risultato è: omogeneità.
In un tale contesto metropolitano l’uomo non può più essere protagonista: il gusto personale è azzerato e la creatività è bandita, tanto negli spazi esterni quanto in quelli interni. Ciò che un tempo rappresentava la dimora – il focolare – diviene oggi un’impersonale ‘unità abitativa’ improntata a fredde logiche di efficienza… Un alloggio smart, si usa dire.
Non a caso gli appartamenti moderni sono ormai dominati dal medesimo stile, da arredi tutti identici: vale per i mobili – così come per gli abiti – la logica del prodotto di massa, distinguibile a fatica solo grazie ad una marchetta stampigliata da una catena industriale di bassa qualità (destinazione, per molti, delle domeniche pomeriggio!).
L’obiettivo è: uniformità.
Omologazione nel vestire, nel mangiare, nell’abitare e, soprattutto, nel pensare acriticamente.
A detta finalità la Cina è pervenuta – insieme con il Giappone – prima di altri, riuscendo in tempi record a radere al suolo le immense diversità che caratterizzavano il suo territorio sconfinato e la sua cultura senza tempo. Valori, questi, che non trovano spazio nelle New Town cinesi come Tongzhou, Zhaoquing, Zhengdong e Lanzhou. (4) Esse rispecchiano l’immagine della funzionalità: strade ampie e lineari, zone quadrate e regolari, vegetazione ordinata ad armonizzare superfici senz’anima; non vi è spazio per la confusione, per l’errore umano, né per l’arte che si cela dietro ad un ‘suq’ (5) marocchino o ad un bagno rituale indiano.
La condanna ad una vita alienante assume questa forma!
A ben vedere, però, la città del futuro è nel presente già da tempo.
Da ormai molti anni non si distinguono più le architetture delle diverse nazioni. L’edilizia moderna non muta più con il mutare dei continenti poiché i caratteri peculiari delle varie culture hanno smesso del tutto di accompagnare i progetti urbanistici. Nessuno, al giorno d’oggi, si sorprenderebbe più di tanto del fatto che una fotografia di Manila possa assomigliare ad uno scatto di Toronto.
Le città acquisiscono tutte gli stessi connotati globali, i medesimi standard, e perdono, al contempo, quelle differenze stilistiche ed antropologiche che ne testimoniavano la storia, il passaggio delle epoche.
A cogliere lucidamente questa deriva, ancora una volta, è stato l’acume di Pier Paolo Pasolini, il quale, nel 1974, si ostinava a celebrare la forma perfetta e assoluta della città laziale di Orte. (6) Pasolini insisteva sull’importanza della città intesa come forma, intesa come costruzione compatibile con la natura circostante.
Sovente, la demolizione di un monumento, di un prezioso simbolo, di un sito UNESCO scatena un’indignazione immediata e la resistenza dei più. Diversamente, chi si batterebbe per la difesa di una strada d’epoca? O di un selciato sconnesso?
Ma proprio quelle banali porzioni di città rappresentavano, per Pasolini, la storia di un luogo, la testimonianza di un passato popolare da tutelare “con lo stesso accanimento con cui si difende l’opera d’autore”. (7)
Curioso poi, che lo stesso Pasolini, si soffermi a descrivere l’architettura fascista di Sabaudia. Paradossalmente, egli notava come dietro alla forma delle città littorie fosse rimasto intatto quello stile di vita ‘a misura d’uomo’ tipico della società italiana. L’autoritarismo del Regime, infatti, non era riuscito a distruggere minimamente quelle che egli definiva “le varie realtà particolari”. (8) Vestendo i panni di Cassandra, Pasolini lanciava, infine, un monito: a distruggere ciò che era sopravvissuto al fascismo sarebbe stato il Regime democratico ed appiattito dei consumi.
La profezia si è drammaticamente avverata: quello che alcune Dittature avevano lasciato intatto, anche a costo di mantenere un Paese nell’arretratezza, è stato facilmente estirpato dalla modernità, dalle tecnologie, da quei “totalitarismi morbidi” (9) che hanno pianificato, progettato e realizzato le città del futuro.
Ecco perché, in realtà, ciò che avremmo dovuto contrastare era l’omologazione dominante e capace di eliminare alla radice “i vari modi di essere uomini”.
E allora, di questa ennesima battaglia perduta, rimarrà solo la delusione di alcuni, di coloro che apprezzavano passeggiare fra le storie, degli amanti di città che profumavano di passato. A detta degli altri, pare che ne valga la pena…Quanto è amara la sconfitta, soprattutto quando ad essere sacrificata è la disperata necessità di rimanere umani!
NOTE:
(1) Tiziano Terzani, “Un mondo che non esiste più”, Longanesi, 2010.
(2) Turtle House era la casa collocata a Bangkok e usata da Terzani come ‘appoggio’ per i suoi frequenti spostamenti in Asia, la cui demolizione è stata decisa nel 2018: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2018/02/14/le-gru-contro-turtle-house-la-casa-magica-di-terzani/4158637/
(3) https://www.chinagoesurban.com/
(4) Trattasi delle 4 città, tre le più popolose della Cina, del cui sviluppo si occupa la mostra allestita al MAO di Torino.
(5) Famoso mercato di Marrakech.
(6) Cortometraggio “La forma delle città”, dove Pier Paolo Pasolini dialoga con Ninetto Davoli intorno a questo tema, 1974. https://www.youtube.com/watch?v=btJ-EoJxwr4
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Felice espressione del filosofo Günther Anders.